Nuova notte di proteste e repressione nel quartiere gerusalemita di Sheikh Jarrah, da cui oggi 40 palestinesi potrebbero essere cacciati per ordine del tribunale israeliano. Un giovane ucciso dall’esercito israeliano in Cisgiordania, dove prosegue la mobilitazione palestinese contro gli incendi appiccati dai coloni alle terre e contro le operazioni militari di Tel Aviv
della redazione
Roma, 6 maggio 2021, Nena News – Sono giorni e notti di grandissima tensione e violenza nei Territori occupati palestinesi. Durissima la repressione israeliana che si sta abbattendo sulla protesta palestinese contro la cacciata di famiglie dal quartiere gerusalemita di Sheikh Jarrah e contro gli attacchi, sempre più brutali, dei coloni in Cisgiordania. Una tensione che mostra la faccia dell’occupazione nel silenzio delle cancellerie occidentali e della stessa leadership israeliana, più concentrata a tentare di formare fragili governi dopo quattro voti in due anni.
Mentre il premier più longevo di Israele, Benyamin Netanyahu, era costretto due sere fa a rinunciare all’incarico di formare un nuovo esecutivo di destra e la palla passava al centrista-destrorso Yair Lapid, a Gerusalemme est le strade continuavano a infiammarsi. A una settimana dalle marce razziste anti-arabe degli estremisti israeliani, di nuovo stanotte epicentro della protesta palestinese è stato il quartiere di Sheikh Jarrah.
E’ qui che oggi si dovrebbe assistere all’ennesima cacciata di famiglie palestinesi dalle case in cui vivono da dopo la Nakba del 1948: 40 palestinesi, tra cui 10 bambini, per ordine del tribunale dovranno cedere le loro abitazioni ai coloni israeliani che ne rivendicano la proprietà, se la Corte suprema chiamata a esprimersi rigetterà il ricorso palestinese. Alla base sta una legge israeliana, approvata dopo il 1967, che permette ai discendenti degli ebrei residenti a Gerusalemme prima della nascita dello Stato di Israele di reclamare proprietà nella zona est.
Come spesso accade, lo stesso non vale per i palestinesi: quelli cacciati dalle proprie case a Gerusalemme ovest e nel resto di Israele durante la Nakba sono stati privati del diritto di rivendicare le proprie abitazioni e le proprie terre dalla “Legge degli Assenti” del 1950.
Per questo a Sheikh Jarrah si continua a protestare. Di fronte ai giovani palestinesi, ma anche ad attivisti ebrei israeliani, ci sono cordoni della polizia, molti a cavallo, che li respingono con granate stordenti, gas lacrimogeni e la famigerata “skunk water”, acqua chimica dall’odore insopportabile. Almeno dieci gli arresti ieri notte tra cui un medico, decine i feriti, mentre i gas lacrimogeni e l’acqua chimica invadevano le case palestinesi del quartiere. Sullo sfondo gruppi di coloni che cantano lo slogan di una settimana fa, “Morte agli arabi”.
Da parte loro, le famiglie coinvolte – i Kurd, i Jaouini, i Qaasem e gli Skafi – promettono di battersi, nonostante l’assedio di fatto che la polizia ha eretto intorno a Sheikh Jarrah. Che negli anni ha cambiato faccia: dal 2002 sono state 43 le famiglie forzatamente trasferite, le loro proprietà passate in mano ai coloni, spesso riuniti in organizzazioni di estrema destra.
La stessa tensione e la stessa violenza stanno infiammando anche la Cisgiordania, teatro in questi giorni di incendi appiccati dai coloni ai campi palestinesi in risposta al ferimento di due israeliani a Zaatara, vicino Nablus: ieri notte uno dei due è morto in ospedale. Alle violenze dei coloni si aggiunge quella dell’esercito che sta compiendo raid nei villaggi e arresti di massa di palestinesi. E nella notte si è registrata una vittima: un 16enne palestinese, Saeed Yousef Mohammad Odah, del villaggio di Odala, nel nord della Cisgiordania, è stato ucciso con colpi di arma da fuoco allo stomaco.
Un secondo giovane è stato ferito. L’esercito israeliano ha dato la sua versione dei fatti: i due stavano lanciando molotov ai soldati impegnati “in operazioni di routine a sud di Nablus”. Secondo il Defense for Children International Palestine, invece, Odah è stato colpito due volte alla schiena e all’ambulanza è stato impedito di soccorrerlo per almeno 15 minuti: è stato dichiarato morto poco dopo l’arrivo in ospedale.
Subito è ripresa la protesta della comunità di Odala e del vicino villaggio di Beita, con scontri tra palestinesi e soldati israeliani, una situazione che va avanti da alcune notti in risposta ai rastrellamenti israeliani nella zona e gli incendi appiccati dai coloni nelle campagne e le comunità intorno Nablus. In fiamme gli uliveti e i campi coltivati, primaria fonte di sussistenza per i palestinesi residenti nelle zone rurali, circondate dalle colonie da cui provengono gli aggressori.
Per l’esercito israeliano, che non interviene per fermare i coloni, come spesso denunciato dalle organizzazioni per i diritti umani, la colpa è dei palestinesi: sono loro a dare fuoco ai campi, dicono. La realtà è un’altra: è quello che viene chiamato “trasferimento silenzioso”, ovvero la creazione di un’atmosfera invivibile per i palestinesi, per spingerli a lasciare le proprie terre a favore dell’espansione degli insediamenti israeliani, illegali per il diritto internazionale. Secondo l’Ocha, agenzia dell’Onu, i coloni sono responsabili di almeno 127 attacchi contro i residenti e le proprietà palestinesi dall’inizio del 2021. Nena News
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