Alle famiglie palestinesi minacciate di sgombero proposta molto simile alla precedente: restare per 15 anni come affittuari protetti ma riconoscendo la proprietà delle terre e delle case ai coloni. Ma il quartiere non intende accettare

Manifestazione a Sheikh Jarrah nel giorno della Nakba, il 15 maggio 2021 (Foto: Alisdare Hickson/Flickr)
della redazione
Roma, 6 ottobre 2021, Nena News – Sono passati solo due mesi dalla prima proposta mossa dalla Corte suprema israeliana alle famiglie palestinesi di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est, da anni minacciate di sgombero a favore dell’associazione di coloni Nahalat Shimon. Lunedì i giudici hanno mosso una nuova proposta, molto simile alla precedente: alle 4 famiglie (delle 28 coinvolte) su cui questo caso legale si incentra è stato offerto di rimanere nelle proprie case 15 anni come “affittuari protetti” in cambio di un affitto biennale di 2.400 shekel (circa 640 euro).
I palestinesi, nei 15 anni in questione, potranno apportare modifiche alle case costruite nel 1956 e in cui vivono da allora senza chiedere alcuna autorizzazione ai proprietari. Perché i proprietari, per la Corte, non sono le famiglie Iskafi, al-Kurd, Jaanoi e Qasseme (40 persone), ma Nahalat Shimon: in cambio della concessione di rimanere per un decennio e mezzo le famiglie palestinesi dovranno riconoscere la proprietà delle terre e quindi delle case che vi sorgono all’organizzazione dei coloni (oltre al pagamento di 30mila shekel di spese legali).
Ultimo elemento: tra 15 anni, hanno stabilito i giudici, le due parti potranno ripresentarsi di fronte alla Corte per una nuova discussione. Un modo da parte israeliana per scansare la questione, farla dimenticare, senza però far arretrare la posizione dei coloni: ne discuteremo più avanti, ma intanto i palestinesi riconoscano la proprietà delle terre e delle case a Nahalat Shimon.
La proposta è molto simile alla precedente che già ad agosto le famiglie di Sheikh Jarrah avevano rifiutato. Stavolta, durante l’udienza, i palestinesi non hanno parlato. I giudici hanno dato loro tempo fino al 2 novembre per decidere. Dietro le quinte si parla già di un rifiuto. Sono tante le ragioni: accettare significherebbe segnare un precedente per le altre famiglie del quartiere di Gerusalemme est su cui pesa la minaccia di sgombero. Ma soprattutto significherebbe riconoscere come legittima la diseguaglianza di trattamento che la legge israeliana prevede tra palestinesi ed ebrei israeliani.
Le origini della questione risalgono infatti agli anni precedenti lo Stato di Israele e quelli immediatamente successivi. Una legge israeliana, approvata dopo il 1967 e l’occupazione di Gerusalemme est, Cisgiordania e Gaza, permette ai discendenti degli ebrei residenti nella città santa prima del 1948 e la fondazione di Israele di reclamare proprietà nella zona est. Una regola che non vale per i palestinesi rifugiati che si sono visti confiscare ogni proprietà: nel caso dei palestinesi cacciati dalle proprie case a Gerusalemme Ovest e nel resto dello Stato di Israele, la cosiddetta “Legge degli Assenti” (1950) ha permesso alle autorità statali di confiscare terre e case senza riconoscere alcun diritto di reclamo.
Uno strumento legislativo centrale nella costruzione dello Stato che ha permesso al neonato Israele di impossessarsi di quasi tutto il territorio e le sue costruzioni, togliendole ai proprietari palestinesi privati. Per questo la battaglia di Sheikh Jarrah è tanto centrale e perché, nel maggio scorso, il movimento popolare nato a sua difesa portò l’intera Palestina storica a sollevarsi, dalle città palestinesi dentro Israele alla Cisgiordania. Un’escalation che si concluse con un fitto lancio di razzi da parte di Hamas e i bombardamenti israeliani su Gaza, undici giorni di operazione militare che uccisero 256 palestinesi. Nena News