E’ ancora la diffusione del coronavirus al centro del nostro approfondimento settimanale sul continente africano. Sotto la lente di ingradimento c’è la Somalia, povera, devastata dai conflitti interni e senza possibilità di affrontare il contagio con attrezzature sanitarie efficienti
di Federica Iezzi
Somalia
Sei settimane dopo aver registrato il primo caso di coronavirus, la Somalia ha confermato 928 infezioni da COVID-19 e 44 decessi. Sono state sollevate grandi preoccupazioni sul fatto che l’attuale conteggio potrebbe essere molto più alto. Il totale delle infezioni non viene rilevato perché vengono testate solo persone altamente sintomatiche.
Il Paese non ha la capacità di effettuare test di massa. Attualmente ci sono solo tre laboratori attrezzati per testare in sicurezza le infezioni da SARS-CoV-2, di cui uno nello stato semi-autonomo del Puntland e uno nella regione separatista del Somaliland. Il numero di test che questi laboratori possono eseguire è comunque molto limitato, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) in Somalia.
Il Paese del Corno d’Africa ha ricevuto 20.000 kit-test, 100.000 maschere facciali e 1.000 tute protettive e schermi facciali, che il governo dovrebbe distribuire nei vari distretti, secondo le Nazioni Unite. Attualmente nessun sistema organizzato per la registrazione delle informazioni e del follow-up è stato implementato in ospedali pubblici o cliniche e strutture sanitarie supportate da partner internazionali.
Una grande parte della popolazione vive in spazi ristretti, in insediamenti decrepiti concepiti per sfollati interni. Rimanere a casa non è un’opzione praticabile per la maggior parte dei lavoratori informali che hanno bisogno di uscire di casa ogni giorno, per poter generare una minima fonte di reddito.
La Somalia è in cima all’indice di rischio globale sulla piattaforma INFORM GRI. Ciò lo rende il Paese con la più debole capacità di far fronte allo stress aggiuntivo di una pandemia. Il problema diventa ancora più preoccupante nelle aree difficili da raggiungere, sotto il controllo dei ribelli jihadisti sunniti al-Shabaab, in cui l’assistenza sanitaria umanitaria non è autorizzata a penetrare.
Le infrastrutture sanitarie del Paese sono state sventrate da decenni di conflitti e instabilità, in un quadro di carenza di dispositivi di protezione individuale per il personale sanitario e stigma profondamente radicato delle persone colpite.
Il Martini Hospital di Mogadiscio è l’unica struttura medica dedicata al trattamento dei pazienti contagiati da COVID-19. E a causa della sua capacità limitata, l’ospedale accoglie solo i casi più gravi.
Il governo Mohamed ha istituito un call-center che i cittadini possono contattare gratuitamente per ottenere informazioni e consigli e il sistema ha avuto un grande successo, con più di 8.800 chiamate nelle sole prime 24 ore.
La Somalia ha chiuso i suoi confini a metà marzo come parte di misure volte a prevenire la diffusione della pandemia. Il governo ha anche imposto il coprifuoco a Mogadiscio all’inizio di aprile.
Sierra Leone
Una rivolta è scoppiata nella prigione centrale di Freetown, capitale della Sierra Leone, dopo la conferma di un caso di positività a coronavirus. I detenuti nella prigione di Pademba Road hanno incendiato alcuni edifici per protestare contro la polizia e le forze di sicurezza. Ci sono vittime e feriti sia tra il personale di sorveglianza che tra i detenuti.
La prigione di Pademba Road fu costruita nel 1914 con una capacità di circa 300 detenuti, ora ne ospita oltre un migliaio. È stata già colpita da una serie di rivolte negli anni 2000 a causa del sovraffollamento e delle cattive condizioni. Le prigioni della Sierra Leone sono cronicamente sovraffollate e insalubri, e le organizzazioni non governative locali avevano precedentemente sollecitato il governo a rilasciare prigionieri, con accuse di crimini minori, per alleviare il rischio di infezione.
La Sierra Leone ha registrato 231 casi di coronavirus, con 16 decessi. Il Paese non è attrezzato per gestire nessun grave focolaio infettivo a causa del suo fragile sistema sanitario, già messo dura prova nel 2014 dall’epidemia legata al virus ebola. Nel continente africano il numero delle positività per infezione da SARS-CoV-2 è intanto salito a oltre 53.000, con più di 2000 decessi, secondo i dati diffusi dal Regional Office for Africa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO AFRO).
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