Jet della coalizione hanno compiuto ieri una nuova strage: questa volta nella provincia di Hajjah (30 i morti). I ribelli sciiti avvisano: “Attaccheremo porti e aeroporti dell’Arabia Saudita e degli Emirati”. Onu preoccupata dall’embargo di Riyadh: “Situazione umanitaria catastrofica”
della redazione
Roma, 8 novembre 2017, Nena News – Purghe interne, minacce all’Iran e bombe agli yemeniti. Si può riassumere così l’operato del re saudita Salman e di suo figlio Mohammed negli ultimi due giorni. L’ultima mattanza di civili in Yemen firmata dalla coalizione saudita ha avuto luogo tra la notte di lunedì e martedì nel villaggio di Hiran, nella provincia nord occidentale di Hajjah. Secondo i media locali il bilancio sarebbe di 30 persone uccise. Tra le vittime, molte donne e bambini.
Intervistato da al-Jazeera, l’attivista pro-houthi Hussain al-Bukhaiti ha parlato di almeno 16 raid compiuti ieri su Hiran dai jet della coalizione. L’obiettivo dei bombardamenti, ha dichiarato Bukhaiti citando i residenti del villaggio, sarebbe stata la casa di sheykh Hamdi, sostenitore dei ribelli sciiti houthi. A pagare il prezzo, però, è stata anche la sua famiglia rimasta uccisa insieme a lui. I raid, iniziati a mezzanotte, sono poi continuati ieri pomeriggio fino alle cinque ora locale (le tre in Italia).
Secondo la tv al-Masirah vicina agli houthi – che controllano la provincia di Hajjah – i jet della coalizione a guida saudita avrebbero ucciso anche 10 paramedici. Una notizia che non è possibile al momento verificare in modo indipendente.
Gli attacchi di ieri giungevano pressappoco nelle stesse ore in cui le Nazioni Unite chiedevano ai sauditi e ai suoi alleati della coalizione di porre fine al blocco via mare, terra e cielo imposto domenica nel Paese. Un embargo nato ufficialmente in seguito al lancio di un missile houthi sabato in direzione della capitale saudita Riyadh. “Un atto di guerra” per l’Arabia Saudita che, sostenuta dal presidente Usa Donald Trump, ha subito puntato il dito contro l’Iran per “l’aggressione militare”. Teheran nega però il suo coinvolgimento. In una telefonata con il suo pari britannico Boris Johnson, il ministro degli esteri iraniano Mohammd Javad Zarif, ha parlato di “accuse contrarie alla realtà” e ha denunciato “le azioni provocatorie da parte del governo saudita nella regione”.
Le Nazioni Unite guardano con preoccupazione l’evoluzione degli eventi yemeniti: l’embargo, hanno ieri ribadito, deve essere rimosso perché impedisce l’arrivo di aiuti umanitari in un Paese già devastato dagli oltre due anni di guerra. Chiarissimo è stato a riguardo il portavoce dell’Ocha (Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari) Jens Laerke che ieri a Ginevra ha parlato di situazione “catastrofica” per gli yemeniti se non viene rimosso il blocco. Un embargo ancora più insostenibile, ha sottolineato, se si tiene presente che il Paese già vive “la peggiore crisi umanitaria mondiale”. “Cibo, carburante e medicine devono entrare nel Paese. Il problema di accesso [degli aiuti] è di dimensioni colossali” ha detto allarmato Laerke. Nel tentativo di raggiungere almeno un’intesa per far atterrare gli aerei contenenti gli aiuti umanitari, ieri ufficiali dell’Onu hanno incontrato alcuni rappresentanti della coalizione.
A ottobre, riferendosi alla situazione yemenita, il sotto segretario generale per gli affari umanitari dell’Onu Mark Lowcock ha parlato senza mezzi termini di condizioni umanitarie “scioccanti” esortando le parti in lotta a rispettare il diritto internazionale. I numeri sono del resto inquietanti: sette milioni di yemeniti sono a rischio fame, 17 milioni necessitano di cibo. Accanto a questi due dati bisogna tenere presente le già 10.000 (cifra a ribasso) vittime del conflitto e i più di 2.000 morti per colera (oltre 700.000 casi registrati). Non è la prima volta che le Nazioni Unite bacchettano la coalizione: a ottobre l’Onu l’aveva messa sulla blacklist per aver ucciso e mutilato 683 bambini nel solo 2016 e per 38 attacchi contro scuole e ospedali.
Quel che si vive in Yemen è un clima di forte tensione: al blocco saudita, hanno risposto ieri anche gli houthi con uno scarno, ma significativo comunicato: “Tutti gli aeroporti, porti, valichi di confine e aree ritenute importanti dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti saranno obiettivo delle nostre armi. E’ un [nostro] diritto legittimo”.
Ieri, inoltre, un po’ a sorpresa, i ribelli sciiti si sono offerti poi di offrire asilo politico ai principi sauditi arrestati negli ultimi giorni in Arabia Saudita con l’accusa di corruzione. “Siamo pronti a dare rifugio ad ogni membro della famiglia al-Saud o a qualunque saudita che vuole scappare dall’oppressione e dalla persecuzione” ha detto una fonte houthi alla rete panaraba al-Jazeera che ha negato qualunque “ritorno politico” da questa ospitalità.
L’offerta è stata ufficializzata su Twitter dallo stesso presidente del comitato rivoluzionario houthi, Mohammed Ali al-Houthi. “Ai nostri reali al-Saud, o a chiunque faccia parte della famiglia reale, a qualunque impiegato o persona che si sente preso di mira dal regime, siamo pronti ad accogliervi a braccia aperte qui da noi come nostri fratelli oppressi”.
Un’offerta che gli houthi sanno bene che non potrà mai essere accettata dall’altro lato, ma che nasce solo con un obiettivo: quello di provocare i nemici sauditi. Nena News