Gli islamisti di Ennhda si attestano come prima forza politica del Paese con circa 40 seggi, ma potrebbero non riuscire a formare una coalizione di governo. Seconda forza è Qalb Tunis del candidato presidenziale Karoi (33). Un’eventuale impasse politica potrebbe essere un duro colpo per la fragile economia nazionale
della redazione
Roma, 8 ottobre 2019, Nena News – È una Tunisia politicamente frammentata quella che esce dalle legislative di domenica. Stando ai dati degli exit poll, il partito islamista Ennahda si attesta sì come il principale partito del Paese (40 seggi), ma le proiezioni mostrano che dovrà obbligatoriamente unirsi a molti altri partiti per formare una coalizione governativa (109 seggi). Un compito non affatto semplice. Lo sanno bene negli ambienti di Ennhada. “Sarà molto complicato raggiungere un accordo per formare un governo” ha ammesso candidamente Yamina Zoglami, figura di spicco della forza islamista.
La difficoltà nasce dal fatto che molte altre forze politiche si sono già dette contrarie ad unirsi con Ennhda e pertanto, al momento, il rischio di prolungati negoziati che potrebbero portare ad un nulla di fatto (e quindi a nuove elezioni) è uno scenario più che probabile. La frammentazione politica va poi inserita nell’incognita del ballottaggio presidenziale di domenica tra due candidati considerati anti-sistema: l’indipendente Kais Saied e il “Berlusconi di Tunisia” Nabil Karoui il quale, in prigione per accuse di corruzione, potrebbe ricorrere in appello qualora dovesse perdere domenica.
Se i risultati ufficiali delle legislative previsti per oggi dovessero confermare Ennhada come primo partito, la formazione islamista avrà due mesi di tempo per mettere su una coalizione governativa. In caso di fallimento, trascorsi 60 giorni, il presidente della repubblica potrebbe affidare l’incarico ad un’altra forza politica. Se anche questo tentativo non dovesse produrre frutti, allora i tunisini sarebbero chiamati alle urne nuovamente.
Uno scenario che Ennhada cerca di scongiurare a tutti i costi. Il suo leader Rashid Ghannouchi definisce il risultato di domenica una “vittoria indiscutibile” e promette che si consulteranno “con tutti i partiti favorevoli a combattere la corruzione e povertà” e che lavoreranno per implementare “i principali obiettivi della rivoluzione tunisina, specialmente libertà, giustizia e lavoro”.
Sta di fatto che la matematica non appare un’alleata degli islamisti: per avere una coalizione governativa è necessario avere 109 seggi. Al momento, secondo i dati della compagnia Sigma, Ennhada avrebbe 40 seggi (il 17,5% delle preferenze, un calo netto rispetto alle ultime legislative del 2014 dove ottenne il 27,5%) mentre Qalb Tunis (“Il cuore della Tunisia”) di Karoui, che prima delle elezioni si è detto contrario a collaborare con gli islamisti, è dato al secondo posto con 33 seggi.
Anche Attayar (12 seggi) ha già fatto sapere con il suo leader Mohammad Abbou che sarà “una opposizione responsabile e seria”. A giocare a favore di Ennhada potrebbe essere invece il partito conservatore Karama (6,1% di preferenze). Un dato da sottolineare è soprattutto la bassissima affluenza alle urne: 41,3% contro il 69% del 2014. Un numero che mostra con tutta evidenza la profonda disillusione dei tunisini.
Se al momento è difficile fare previsioni su quello che potrebbe succedere nel giro dei prossimi giorni, quel che è certo è che uno stallo politico potrebbe creare non pochi problemi alla fragile economia del Paese che non si è mai ripresa dalle proteste del 2011 che hanno portato alla deposizione del presidente autoritario Ben Ali e dato il via alle rivolte nel resto del mondo arabo.
A gravare sul destino della Tunisia sono i diktat del Fondo monetario internazionale che impone a Tunisi di fermare il suo debito pubblico attraverso politiche “lacrime e sangue”. Politiche che rappresentano però un colpo mortale per l’economia di un Paese che vanta dati tutt’altro che positivi: disoccupazione a livello nazionale al 15%, ma 30% nelle aree interne; inflazione al 6,8% e il turismo che solo quest’anno ha segnato i primi segnali di ripresa dopo gli anni disastrosi che hanno fatto seguito ai due attentati terroristici del 2015.
Secondo molti analisti, proprio la crisi economica e l’atavico problema della corruzione hanno spinto molti tunisini a optare alle presidenziali per personalità sulla carta antisistema punendo così i principali partiti per gli scarsi risultati ottenuti. Nena News