Dopo sei ore di vertice a porte chiuse i presidenti Erdogan e Putin giungono a un’intesa, fragile ma necessaria ad entrambi: tregua e corridoio per il rientro degli sfollati. A stare a cuore ai due non è il popolo siriano, ma l’esigenza di mantenere in piedi un matrimonio di interesse e le rispettive zone di influenza
della redazione
Roma, 6 marzo 2020, Nena News – Cessate il fuoco a Idlib: il risultato dell’incontro tra i presidenti turco Erdogan e russo Putin è arrivato dopo una giornata difficile. Sei ore di vertice al Cremlino, prima faccia a faccia e poi con la partecipazione dei ministri degli Esteri, mentre nella provincia nord-occidentale siriana un bombardamento aereo – russo, secondo i gruppi islamisti di opposizione – uccideva 16 civili.
L’intesa prevede anche la creazione di un corridoio di sicurezza per il rientro degli sfollati di sei km a nord e sei a sud dell’autostrada M4 e, a a partire dal 15 marzo, pattugliamenti congiunti russo-turchi lungo la M4, strategica perché collega Latakia e Aleppo e si unisce alla M5, tra Aleppo e Damasco.
Il cessate il fuoco è entrato in vigore a mezzanotte dopo due settimane di operazioni turche a Idlib: con l’invio di truppe, armi e carri armati, Ankara ha messo in piedi una vera e propria offensiva contro il governo di Damasco, ribattezzata pochi giorni fa “Spring Shield” dopo l’uccisione di 33 soldati turchi da parte dell’esercito di Assad.
Presto l’operazione si è spostata in aria. La guerra dei droni ha permesso a Erdogan di abbattere ben tre aerei militari siriani, mentre la contraerea di Damasco rispondeva abbattendo una manciata di droni turchi.
A Putin, ha detto il presidente turco dopo l’incontro di ieri, la Turchia ha ribadito che non sarebbe rimasta “in silenzio” di fronte agli attacchi siriani e che avrebbe reagito a qualsiasi tipo di assalto militare. Il presidente russo ha tenuto a precisare la sua contrarietà e la sovranità siriana su Idlib, che rende illegale e illegittima l’operazione turca. Ma tant’è, l’accordo si è fatto per impedire – dice Mosca – altra sofferenza ai civili.
Così non è. I due leader non hanno a cuore i siriani quanto le rispettive zone di influenza nell’area, salvabili solo a fronte di un’intesa tra potenze militari. Lo scontro va evitato per non mettere a repentaglio i rapporti commerciali e militari tra Mosca e Ankara, per garantire la tenuta di un asse che spinge i turchi ai margini della Nato e per non sovraccaricare economicamente due paesi dalle basi fragili, entrambi alle prese con severe crisi economiche.
Alla base dell’accordo raggiunto ieri stanno i vecchi riferimenti negoziali, i processi diplomatici a tre – Russia, Turchia e Iran – di Astana e Sochi che nel settembre 2018 avevano portato a definire le cosiddette zone di de-escalation. A Idlib i turchi avrebbero dovuto provvedere al disarmo e l’allontanamento della galassia islamista e salafita che ruota intorno al qaedista Tahrir al Sham, l’ex Fronte al-Nusra. Da parte sua Mosca avrebbe dovuto fermare la lunga controffensiva del governo di Damasco.
Tutto collassato lo scorso anno quando l’operazione militare siriana è ripresa con forza e brutalità, accesa dagli attacchi islamisti alle postazioni governative: i bombardamenti di questi mesi hanno preso di mira l’intera provincia, costringendo alla fuga centinaia di migliaia di persone. Quasi un milione gli sfollati da dicembre, secondo i dati Onu, oggi all’addiaccio in campi profughi nel nord siriano che non riescono ad accogliere più nessuno.
Sono loro, i rifugiati siriani, l’arma di Erdogan. Non diretta alla Russia, o almeno non direttamente. Il destinatario è l’Europa che da giorni respinge, usando le forze di polizia e l’esercito greci, migliaia di rifugiati arrivati dalla Turchia dopo l’apertura dei confini ordinata da Ankara. Estreme, brutali, le violenze che la Grecia sta perpetrando contro i profughi: gas lacrimogeni, proiettili di gomma, granate stordenti a chi tenta di passare a piedi la frontiera sul fiume Evros, spari sui barconi che cercano di attraversare via mare. Abusi a cui si sommano le ronde e le aggressioni sulle isole da parte di squadre di estrema destra.
La risposta europea è denaro per la Grecia, 700 milioni per gestire i profughi e non farli incamminare sulla rotta balcanica, e aerei e navi militari per intercettarli prima, come fossero un esercito invasore. Non manca un primo cedimento alle pressioni turche: i ministri degli Esteri dei 27 paesi membri, in un vertice informale ieri a Zagabria, hanno discusso della possibilità di creare una no-fly zone nel nord ovest siriano, come richiesto da Ankara. “Una buona iniziativa”, il commento dell’Alto rappresentante Ue agli Affari esteri Borrell. Purché, ha aggiunto, organizzata da Nato o Nazioni Unite. Nena News.
Pingback: Siria, Turchia, Grecia: una cronologia degli eventi dell’ultimo mese – Lungo la rotta balcanica – Along the Balkan Route