Siriani alle elezioni amministrative nelle zone sotto il controllo del governo. Esclusi sfollati interni e rifugiati che insieme rappresentano oltre la metà della popolazione totale. Rojava, in cerca di un’autonomia riconosciuta, non si presenta
della redazione
Roma, 17 settembre 2018, Nena News – Ieri, nelle zone controllate dal governo di Damasco, si sono tenute le elezioni amministrative, a due anni dalla parlamentari del 2016 e a quattro dal voto che nel 2014 aveva confermato Bashar al-Assad presidente, in piena guerra. Seggi aperti alle 7 del mattino e chiusi cinque ore il previsto, a mezzanotte, oltre 40mila candidati per 18.478 posti da consigliere comunale.
Non sono mancate le critiche, giunte dal fronte anti-Assad, dal Consiglio di cooperazione del Golfo, da Europa e Stati Uniti che hanno definito il voto illegittimo. Si è votato quasi ovunque, vista la “reconquista” di buona parte dei territori siriani che Damasco aveva perso con l’avanzata delle opposizioni: a Damasco, a Tartus e Latakia, ma anche a Deir Ezzor, la cui provincia è ancora in parte occupata da cellule dello Stato Islamico. Niente urne aperte, invece, a Idlib, la provincia nord-occidentale tuttora controllata da gruppi islamisti e da al Qaeda e dove da settimane ci si prepara alla battaglia finale.
Accanto alle difficoltà oggettive e agli attacchi esterni, dubbi sono stati sollevati anche all’interno. Buona parte dei candidati ai consigli comunali sono membri del partito di governo, il Baath, aprendo a una nuova vittoria – scontata – delle autorità centrali. In tal senso più che a cambiare la struttura politica del paese le amministrative di ieri sono servite a Damasco a dare un senso di normalità che, se pare ormai realtà in alcune aree del paese, non riguarda tante altre: con sette milioni di sfollati interni e cinque milioni di rifugiati all’estero, tutti impossibilitati a infilare la scheda nell’urna, il voto non può certo dirsi rappresentativo tagliando fuori più della metà della popolazione.
E c’è anche chi il voto lo ha volontariamente boicottato: nella regione nord di Rojava, amministrata autonomamente dal 2011 dal Pyd attraverso la formula del confederalismo democratico teorizzato dal leader del Pkk Ocalan, i curdi hanno optato per il rifiuto. Da mesi si parla di dialogo aperto tra Rojava e il governo centrale, per il riconoscimento dell’autonomia all’interno dello Stato siriano. Nel frattempo i residenti hanno boicottato un voto che ritengono estraneo al processo politico che stanno compiendo da sette anni.
Nelle stesse ore sul Mar Nero, nella città costiera di Sochi, il presidente russo Putin incontrava di nuovo il turco Erdogan. Del meeting in corso in queste ore si sa quanto dichiarato dal ministro degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, che nei giorni scorsi ha fatto sapere che al centro dell’agenda ci sarebbe stata Idlib e la prossima offensiva – da tempo annunciata ma ancora rimasta sulla carta – delle forze governative siriane contro le milizie islamiste lì arroccate.
Secondo Lavrov, “oltre agli sforzi per organizzare accordi locali con alcuni gruppi che sono nella zona di Idlib, si creerà un corridoio umanitario per chi volesse allontanarsi”, prospettiva già paventata la scorsa settimana dal Cremlino e che spaventa Ankara che la battaglia vorrebbe del tutto evitarla. Il 7 settembre ad Astana Erdogan non è riuscito a ottenere dai partner del triumvirato negoziale Russia e Iran il cessate il fuoco che chiedeva. Un rifiuto che ha spinto la Turchia a incrementare il numero di truppe al confine con la Siria e quelle già presenti, dall’agosto 2015, in territorio siriano. Nena News
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