I parenti della famiglia palestinese di Duma (Nablus) chiedono a Tel Aviv un risarcimento per il rogo del luglio del 2015 in cui hanno perso la vita un neonato di 18 mesi e i suoi due genitori. La marina ha sparato di nuovo oggi contro i pescatori della Striscia di Gaza
della redazione
Roma, 9 maggio 2017, Nena News – I parenti della famiglia palestinese Dawabsha hanno deciso ieri di fare causa contro lo stato d’Israele per ottenere un risarcimento per il rogo di quasi due anni fa. I fatti risalgono al luglio del 2015 quando alcuni coloni israeliani diedero fuoco alla casa dei Dawabsha nel villaggio di Duma (Nablus) uccidendo un neonato (Ali, 18 mesi) e i suoi genitori Riham e Saad (sarebbero morti successivamente per le gravissime ustioni riportate). L’unico sopravvissuto fu Ahmad (allora 4 anni) che fu ricoverato per circa un mese in ospedale per le ferite riportate alla faccia e al corpo. Nel gennaio 2016 due israeliani sono stati incriminati per quell’attacco, mentre un terzo colono, arrestato da Tel Aviv perché sospettato di aver partecipato all’azione, è stato rilasciato qualche mese dopo.
La decisione dei parenti dei Dawabsha giunge una settimana dopo che il ministro della difesa Avidgdor Lieberman ha spiegato alla stampa che il piccolo sopravvissuto Ahmad non è una “vittima del terrorismo” perché non è un cittadino israeliano e pertanto non può ricevere un indennizzo dallo stato ebraico. Secondo il portale israeliano The Times of Israel, tuttavia, il ministro avrebbe chiesto ai Dawabsha di inviare una richiesta di risarcimento ad una commissione inter-ministeriale, ma la famiglia si sarebbe rifiutata di accettare “l’offerta” decidendo di procedere con l’azione legale contro lo stato ebraico. Per il sito israeliano Ynet, i parenti delle vittime di Duma chiedono una ricompensa di 10 milioni di shekel (circa 2,7 milioni di dollari).
Intervistato dal canale 2 della televisione israeliana, Tawfiq Mohammed del Centro Mezan per i diritti umani ha confermato che i Dawabsha si rivolgeranno ad un tribunale di Nazareth perché ritengono “il governo israeliano totalmente responsabile per l’attacco terroristico in cui sono stati uccisi un padre, una madre e il neonato Ali e che ha causato al bambino Ahamd Dawabsha ustioni gravi”. “Intenteremo una causa contro lo stato d’Israele – ha poi aggiunto Mohammed – per ottenere un risarcimento perché riteniamo lo stato ebraico responsabile sia per la legge israeliana che per quella internazionale”.
Israele, ha spiegato ancora l’avvocato, occupa militarmente i territori palestinesi e pratica politiche discriminatorie contro di loro istigando i coloni alla violenza. “[I vari] governi israeliani hanno appoggiato la presenza illegale delle colonie e hanno ignorato l’incitamento delle organizzazioni terroristiche ebraiche. Questi governi non hanno applicato la legge nelle aree in cui i terroristi hanno dato fuoco alla famiglia Dawabsha. Perciò è soprattutto lo stato [ebraico] ad essere responsabile per quanto accaduto”. Un’affermazione ampiamente condivisa dai palestinesi e dalle organizzazioni di sinistra israeliane che accusano Tel Aviv di proteggere i coloni sia fisicamente (con l’esercito) che a livello legale e parlano pertanto di “cultura di impunità”.
Secondo l’ong israeliana Yesh Din, infatti, più dell’85% delle inchieste aperte per casi di violenza commessi dai settler contro i palestinesi non ha portato a capi d’accusa contro i primi e solo l’1,9% delle denunce contro di loro si è concluso con una condanna. Eppure gli episodi di violenza non mancano: uno studio dell’Ufficio delle Nazioni Uniti per il Coordinamento per gli Affari umanitari (Ocha) ha documentato finora 46 attacchi di coloni contro i palestinesi e le loro proprietà in Cisgiordania e nella parte occupata di Gerusalemme est. Nel 2015, l’anno in cui è avvenuto il rogo di Duma, gli attacchi riportati dall’Ocha sono stati 221.
Tra questi vanno considerati anche quelli di ritorsione noti in ebraico con il nome Tag Mechir (price tag in inglese). Generalmente compiuti da coloni fondamentalisti, i price tag sono atti di vandalismo e aggressioni che prendono di mira i palestinesi della Cisgiordania, i cittadini palestinesi d’Israele, i gruppi di sinistra israeliani e finanche le forze di sicurezza quando queste, a giudizio degli estremisti ebrei, ostacolano l’attività coloniale nei Territori occupati. Soltanto stamane la polizia israeliana ha registrato più di una ventina attacchi contro macchine e case appartenenti a palestinesi di Gerusalemme est e a quelli della Galilea (nord d’Israele). La stampa israeliana riporta oggi anche di alcuni colpi di arma da fuoco sparati da un palestinese verso le macchine israeliane che transitavano vicino a Rabud (sud della Cisgiordania). Non sono stati segnalati né danni né feriti. Il presunto aggressore, di cui non si conoscono ancora le generalità, è stato arrestato e interrogato dalle forze di sicurezza.
Stamane, intanto, la marina israeliana è tornata ad aprire il fuoco contro i pescatori gazawi in due diversi “incidenti”. Una situazione simile si era verificata ieri nel nord della Striscia quando le forze armate israeliane hanno sparato e ferito un pescatore vicino alla costa di Beit Lahiya. Sempre stamattina, all’agenzia di stampa Ma’an, alcuni contadini palestinesi hanno detto che alcuni droni israeliani avrebbero sparato pesticidi sui loro raccolti danneggiando la loro attività economica. I presunti attacchi sarebbero avvenuti nel centro e nel sud della Striscia a confine con Israele. In entrambi i casi l’esercito israeliano ha fatto sapere che aprirà un’inchiesta su quanto accaduto. Nena News