«Le lotte femministe che stanno prendendo forma in Egitto sollevano questioni critiche riguardo alla violenza sessuale, la complicità della società e la responsabilità dello stato secondo una struttura a tre livelli», scrive il portale Mada Masr
di Hind Ahmed Zaki* Mada Masr
* (Traduzione di Valentina Timpani)
Roma, 27 gennaio 2021, Nena News – Alla fine di dicembre 2019 una ragazza egiziana della città di Farshout indossava il niqab mentre raccontava apertamente di essere stata violentata da un branco di uomini influenti nella piccola città di Qena nel cuore dell’Alto Egitto, finendo in prima pagina sui giornali egiziani, virtuali e cartacei. La ragazza ha rivelato dettagli terrificanti riguardo al sequestro e lo stupro avvenuto in un campo isolato. “La ragazza di Farshout”, come è conosciuta nei media, ha raccontato da dietro un velo – era possibile vedere solo gli occhi – del panico provato mentre sentiva i suoi stupratori discutere di quello che le avrebbero fatto e di aver visto con i suoi occhi un vero e proprio sudario che qualcuno si era procurato con l’idea di seppellirla dopo averla uccisa.
Ha anche raccontato di come è riuscita a fuggire dai suoi stupratori e di essersi recata, sanguinante e quasi completamente nuda, presso una stazione di polizia per sporgere denuncia contro i suoi stupratori nonostante la loro reputazione di essere brutali, e di come abbia intrapreso un’aspra lotta all’interno della sua comunità per ottenere “un po’ di giustizia” per quello che le era successo. Ha raccontato anche del rifiuto esplicito di suo padre per quello che lei aveva fatto ai suoi stupratori e di come l’avesse “ripudiato” a causa del suo mancato supporto nei confronti dello stupro da lei subito in un insolito capovolgimento delle tradizionali regole di relazioni familiari in Egitto, secondo cui i figli vengono ripudiati dai padri e non viceversa.
La scena della ragazza di Farshout non può essere compresa del tutto – nei termini di una scena che distrugge una vasta gamma di percezioni stereotipate sulle donne egiziane in generale, specialmente sa`idiyat (le donne dell’Alto Egitto) e le donne con il velo – se non la si inserisce nel contesto della lunga lotta, che va avanti da più di un decennio e mezzo, delle donne egiziane contro la violenza sessuale in Egitto.
La vittoria in tribunale di Noza al-Ostaz del 2008, la prima relativa a un caso di molestie sessuali, ha coinciso con l’emergere di una nuova generazione di istituzioni e iniziative femministe che hanno messo la questione della violenza sessuale in cima al loro programma, come Nazra for Feminist Studies (2007) e HarassMap (2010). Da quel momento in poi, il dibattito sulla violenza contro le donne non è più prerogativa di specifici gruppi culturali, circoli politici e organizzazioni femministe o che si occupano di diritti umani. Si è spostato invece ai margini del discorso mainstream.
Il periodo iniziato nel 2011 ha visto una vera e propria escalation di un movimento fluido attorno alla questione della violenza sessuale in Egitto, che ha preso forme differenti con molti partecipanti. Ci sono gruppi che hanno fatto resistenza al diffondersi della violenza sessuale nel corso degli eventi della rivoluzione del 25 gennaio 2011 e nel periodo successivo, come il gruppo “OpAntiSH” (Operazione Anti Molestie Sessuali). Alcuni gruppi sono emersi negli anni successivi e si sono focalizzati sulla diffusione di testimonianze e storie sulla violenza contro le donne, come l’iniziativa “Girls’ Revolution”. Ci sono movimenti popolari femministi che si occupano del lavoro delle donne all’interno delle loro comunità, come le iniziative “Ganoubia Hora” ad Assuan e “Daughter of the Nile” a Damanhur.
Queste due in particolare fanno a pezzi direttamente l’immagine predominante del movimento femminista in Egitto e del suo essere limitato alle organizzazioni della società civile o ai gruppi femministi che appartengono ai circoli più ampi che si occupano di diritti umani, cultura e politica. Distruggono la percezione di resistenza al riconoscere l’epidemia di violenza sessuale in Egitto, sia nella forma delle organizzazioni, che nella scrittura, che nel ricorrere alla legge o ai nuovi meccanismi di raccolta e pubblicazione di testimonianze di violenza sessuale, come prerogativa di un certo tipo di donne e non di altre. Quello che è successo a Farshout è solo uno tra dozzine di avvenimenti recenti che hanno posto la questione della violenza sessuale al centro del movimento femminista in Egitto grazie al lavoro di gruppi di ragazze che sollevano la questione apertamente, non nel ruolo delle vittime che chiedono un supporto allo stato e alla società, ma in qualità di partecipanti che sono coinvolte più attivamente nel contesto politico, sociale e legale che è storicamente complice nelle questioni di violenza contro le donne in Egitto.
Quello a cui stiamo assistendo ora è l’incremento continuo e costante di casi di violenza sessuale, sia nei circoli dell’alta società come nel caso Fairmont, che nella chiesa ortodossa copta, dove un gruppo di preti sono stati accusati di abusi sessuali da parte di alcune ragazze copte, o all’interno della comunità artistica, culturale e in quella che si occupa di diritti umani – nient’altro che vivide dimostrazioni della ferocia della questione della violenza sessuale in tutti i settori della società egiziana. Le lotte femministe che stanno prendendo forma sollevano questioni critiche riguardo alla violenza sessuale, la complicità della società e la responsabilità dello stato secondo una struttura a tre strati.
Il primo livello è quello dello stato e dei suoi strumenti legali. Al livello dello stato, le misure decisive arrivano ancora lentamente e solo in risposta alla mobilitazione delle donne e alla loro pressione, come si è visto recentemente dall’approvazione di un emendamento giuridico per proteggere la privacy degli informatori nei crimini di violenza sessuale o all’intervento diretto del pubblico ministero nell’arresto dei presunti colpevoli in una serie di casi recenti. L’attuale movimento femminista, pertanto, necessita ancora che vengano attivate leggi e procedure per rendere i processi in caso di violenza sessuale una strada più facile per le donne. L’Egitto non possiede ancora una legislazione completa per combattere questo tipo di violenza sia nella sfera pubblica che in quella privata, in linea con riforme legali simili che sono state adottate in altri paesi della zona, come la Tunisia.
Il secondo livello riguarda le politiche istituzionali contro le molestie sessuali in tutti i campi che devono essere considerati, uno sforzo che le giornaliste, le accademiche e le registe stanno facendo mettendo pressione a varie istituzioni come le università, le aziende, la stampa e i media perché abbiano politiche e meccanismi precisi per combattere la violenza sessuale sul posto di lavoro. Il terzo livello è la pubblicazione di testimonianze anonime nel ciberspazio, dove è possibile rompere il silenzio grazie alla divulgazione e dove tutti sono messi di fronte a racconti sconvolgenti e dolorosi. Le testimonianze di donne, cariche di tutte le contraddizioni dello stato e della società, sono la prova del fallimento sistemico nella gestione dei crimini di violenza sessuale. È un momento cruciale, di dolore e confusione positiva, di cui la società egiziana ha disperatamente bisogno. Nena News