Pubblichiamo oggi la seconda e ultima parte relativa al duo femminista delle sorelle egiziane Marina e Mariam Samir conosciute con il nome Elbouma
di Bahira Amin* – Middle East Eye
*(Traduzione Valentina Timpani)
(Per leggere la prima parte clicca qui)
Roma 5 ottobre, 2021, Nena News –
Circoli di storytelling nell’Alto Egitto
Parte di quello che è significato per il team produrre un album femminista è stato guardare fuori al Cairo, che è solitamente sovra rappresentato come l’alfa e l’omega delle esperienze egiziane. “Era importante che tutto fosse una creazione collettiva”, dice Marina.
“Volevamo uscire da noi stesse, ignorare le nostre esperienze come donne borghesi del Cairo, con particolari circostanze che hanno definito sia la nostra consapevolezza che il nostro femminismo.”
Tra agosto 2016 e febbraio 2017, la band ha organizzato tre workshop nell’Alto Egitto. Ad Abu Ghreir in Minya, a Deir Drunka in Assiut, e ad Aswan, 34 donne si sono ritrovate per dei workshop di una settimana. Per tre giorni, la band ha organizzato i circoli di storytelling, seguiti da tre giorni di scrittura e composizione.
Alla fine di ogni workshop, la band presentava un concerto a cui tutta la comunità era invitata per ascoltare i primi demo delle canzoni. Ogni volta, invitavano le partecipanti al workshop a cantare con loro sul palco.
Solo ad Aswan le donne erano entusiaste di esibirsi, ma era necessaria la precauzione di proteggersi da una possibile reazione negativa.
Per evitare le molestie per aver eseguito canzoni che potrebbero essere viste come offensive nei confronti dei valori conservatori, tutto il gruppo ha deciso di salire sul palco indossando gli stessi vestiti, mettendo le stesse maschere, in modo che nessuno avrebbe saputo chi era chi.
“Questa potrebbe essere la prima volta che indosso una maschera che vedete… ma quante migliaia di volte ho indossato una maschera che avete amato, mentre parlavamo o ci salutavamo o facevamo progetti”, dice El Sellem El Moussiqui (La scala musicale), l’ottava traccia dell’album, notevolmente brillante, sulla gioia infantile di cantare insieme sul palco.
Sebbene Mariam trovi che sia quasi impossibile scegliere una canzone preferita tra quelle dell’album, dice che il momento che cattura El Sellem El Moussiqui – l’energia di cantare con tutte sul palco – è quello che le è rimasto di più.
Marina, dall’altro lato, indica la sua preferita in un batter d’occhio: Ya Arousa (Oh sposa).
Basata sulle esperienze delle partecipanti del workshop di Assiut del 2016, la seconda traccia dell’album si apre su una zaffa, il tradizionale corteo popolare nelle cerimonie nuziali egiziane. C’è un matrimonio e tutti i suoni di gioia che seguono, ma già, le parole sono smorzate. Per tutta la canzone, sia la musica che il testo diventano sempre più distorti, mentre la canzone prende una svolta sempre più traumatizzante.
Nello stesso canto incantevole di Kont Fakra, con un’essenza inquieta nei confronti di quella che dovrebbe essere una gioiosa zaffa, cantano:
Ti hanno messo in un vestito da sposa,
e l’hanno imbottito per farlo andare bene al tuo corpo minuscolo.
Bambole, cavalli giocattolo, e biglie saranno parte della sua dote.
Isolatela dietro un muro,
e alzatelo un centimetro,
dopo l’altro,
dopo l’altro.
“Sottolinea un paradosso che trovo molto importante”, dice Marina al Middle East Eye. “Come la felicità di un matrimonio possa essere la maschera che nasconde tanta infelicità.
“Anche se la canzone parla di che vuol dire essere una sposa bambina, che è qualcosa che io non ho vissuto, capisco come il matrimonio e la famiglia in quanto istituzioni possano causare così tanta infelicità a così tante donne. L’espressione peggiore di ciò sono le ragazze che si sposano da bambine, ma non è l’unica”.
Un eco nel buio
Sebbene una buona parte dell’album sia delicato – spesso solo in apparenza – Mazghuna non è sempre un ascolto facile, una scelta che il duo ha fatto intenzionalmente man mano che ci si addentrava. ‘Al Wesh Banet (Si vede dalla tua faccia) fa iniziare l’album con una melodia piacevole e ritmata, che dura appena per metà canzone prima che inizi la dissonanza. I suoni diventano irritanti su un pezzo di spoken word, ed è abbastanza difficile da ascoltare, specialmente con le cuffie.
La scelta di mettere questa canzone per prima è esplicita, per impostare il tono dell’album. La canzone, secondo Mariam e Marina, riflette un senso di frustrazione, ma fa un passo in più e porta realmente l’ascoltatore nell’esperienza descritta.
“Ogni volta che andavamo da qualche parte per fare il mixaggio e il mastering, provavano a trasformarci in una canzone pop”, dice Mariam. “Ma non è quello che siamo, e non ci importa che il suono esca esattamente ‘giusto’, o puro. Ci importa che esca un suono espressivo, pieno e reale, più di qualsiasi altra cosa”.
“Ci sono delle cose che sappiamo essere fastidiose”, aggiunge. “Ma mi sta bene essere un po’ frustrante, sono contenta di avere quello spazio. Quello che significa per me che questo sia un album femminista ha molto a che fare con quale voce permetto esca fuori da me, dato che sto prendendo decisioni sulla musica. Qual è il suono a cui permettete di esistere? È assolutamente perfetto o è espressivo?”
Prima che la band ricevesse un finanziamento da FRIDA, il Young Feminist Fund, aveva lanciato una campagna di crowdfunding su Indiegogo per produrre l’album nell’autunno del 2017. Nei circoli di attivisti alcuni hanno sollevato una questione: perché questa opera d’arte dovrebbe essere una priorità femminista? Nella sequenza di battaglie legali, violenze sessuali e casi di abusi, e molestie sessuali notoriamente dilaganti, perché quest’album è importante?
“La musica potrà non cambiare tutto”, dice Marina. “Ma per come la vedo io, qualcuna può svegliarsi un giorno sentendosi sola, come se nessuno subisse quello che subisce lei, e poi scoprire per caso una canzone su Soundcloud e trovarci un eco della sua voce”.
“Penso che questa sia la prima cosa da cui può venire il cambiamento, trovarci”.
Mazghuna sembra spesso un richiamo l’una all’altra nel buio, e il sentire – come nella settima traccia dell’album 7 Follat (7 gelsomini) – le nostre parole che tornano a noi con la voce di un’altra.
Esplorando quel senso di affinità, la voce familiare canta:
La mia tristezza ricorre
nelle storie di altre ragazze
Fate scorta di gelsomini
Sei, sette gelsomini… Nello sfogo o nel pianto,
i sette gelsomini si riuniscono.
Mazghouna è disponibile su YouTube e Soundcloud.