A quasi una settimana dall’annuncio del nuovo governo Netanyahu-Gantz, Nazioni Unite ed Unione Europea reagiscono. Ma il redivivo primo ministro sa che potrebbe avere a disposizione pochi mesi per segnare un punto politico che, come ha insegnato la storia della questione palestinese, sarà poi difficile rimuovere
di Chiara Cruciati
Roma, 24 aprile 2020, Nena News – Le Nazioni Unite e l’Unione Europea reagiscono, a quasi una settimana dalla formazione del nuovo governo israeliano, ai piani di annessione di porzioni della Cisgiordania occupata nel 1967. Con un ritardo ormai solito, la critica è alla fine arrivata.
A inizio settimana, con la presentazione ufficiale dell’accordo di coalizione tra il premier Netanyahu e il leader di Blu e Biano Gantz, il primo ministro più longevo della storia di Israele aveva messo sul tavolo il progetto di annessione di blocchi di colonie israeliane e della Valle del Giordano, un terzo della Cisgiordania, suo unico sbocco verso il mondo esterno e zona più fertile dell’intero territorio.
La traduzione in pratica dell’Accordo del Secolo, il piano di “pace” disegnato dall’amministrazione Trump e presentato in pompa magna alla Casa Bianca dal presidente Usa e dal premier israeliano. A sentire il nuovo governo – che vedrà Netanyahu premier per i primi 18 mesi e Gantz ministro della difesa – il piano sarà portato al parlamento israeliano, la Knesset, il primo luglio prossimo.
Ieri l’inviato speciale Onu per il Medio Oriente Nickolay Mladenov ha definito il piano israeliano “un colpo devastante” alla soluzione a due Stati, ancora faro della diplomazia internazionale nonostante abbia dimostrato tutta la sua infattibilità, e “una violazione grave del diritto internazionale”. Mladenov ha parlato con il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in videoconferenza: “La prospettiva pericolosa di annessione da parte di Israele di parti della Cisgiordania occupata – ha detto – è una minaccia crescente…che chiude la porta alla ripresa dei negoziati e minaccia gli sforzi per una pace regionale”.
Nelle stesse ore interveniva anche Josep Borrell, Alto rappresentante Ue per gli affari esteri: “I 27 paesi membri – ha detto – non riconoscono la sovranità israeliana sul territorio palestinese e continueranno a monitorare da vicino la situazione e le sue implicazioni e ad agire di conseguenza”.
Eppure negli anni quest’azione di conseguenza è spesso mancata, limitata a dichiarazioni di facciata critiche verso mosse unilaterali israeliane ma che mai hanno intaccato i rapporti bilaterali tra paesi e quelli tra l’Unione e Tel Aviv. Pochissime le iniziative prese verso un alleato strategico, se non l’obbligo di etichetta per i beni prodotti nelle colonie e introdotti nel mercato europeo.
Ma la natura del nuovo esecutivo israeliano – da molti definito “governo di emergenza” perché chiamato ad affrontare l’epidemia di Covid-19, ma più realisticamente chiamato da tanti altri “governo di annessione” – è talmente palese da rendere difficile non prendere parola. Lo fanno anche singoli Stati europei, dalla Francia alla Germania fino alla Gran Bretagna ormai fuori dalla Ue.
Per Londra l’annessione viola il diritto internazionale e pone a rischio il processo di pace, in realtà inesistente. Anche Berlino si pronuncia contro, mentre Parigi – attraverso l’ambasciatore all’Onu, Nicolas de Riviére – fa un passo in più e minaccia “di rivedere le proprie relazioni con Israele”.
Netanyahu non si fa spaventare. L’animale politico che resuscita a ogni crisi apparentemente letale sa come muoversi nel consesso internazionale. E sa di avere, potenzialmente, poco tempo a disposizione. A novembre gli Stati Uniti torneranno alle urne e la rielezione di Donald Trump, per quanto probabile, non è certa. Se al suo posto dovesse arrivare un democratico, l’ex presidente Joe Biden, al fianco di Barack Obama durante la firma dello storico accordo con l’Iran, le cose potrebbero cambiare e gli assegni in bianco eclissarsi.
Per questo c’è già una data, il primo luglio, per procedere con un’annessione illegale per il diritto internazionale ma che permetterebbe a Israele di segnare un altro punto politico in futuro più difficile da rimuovere. Dopotutto è questa la strategia israeliana dal 1948 a oggi: fatti sul terreno, avanzamenti unilaterali e realtà ufficiose che in un eventuale processo di pace pesano come macigni. Nena News