Il rapimento degli italiani riaccende l’attenzione sulla regione desertica dove regnano scontri tra tribù, anarchia e contrabbando. Abbattuto un elicottero di Haftar vicino Tobruk, il generale si prende un’altra città
di Chiara Cruciati il Manifesto
Roma, 21 settembre 2016, Nena News – Il rapimento di due italiani e un canadese vicino alla città libica di Ghat è l’ultimo di una lunga serie di episodi che svelano le condizioni della Libia a cinque anni dalla caduta e l’uccisione del colonnello Gheddafi. Preda di milizie armate fedeli ad autorità avversarie, il paese è spaccato. Tra poteri diversi, tra reti di alleanze esterne incompatibili, tra regioni geografiche.
La Libia non è solo Tripolitania e Cirenaica. È anche Fezzan, area desertica ma non per questo disabitata: qui il rapimento è stato condotto, rendendo impossibile ignorare la regione meridionale del paese, i suoi stretti legami con l’Africa subsahariana e le mire neocoloniali dei paesi europei (a partire dalla Gran Bretagna, sempre indicata come suo possibile mandatario) che conoscono bene le ricchezze del bacino petrolifero di Murzuq, da solo capace di produrre 350mila barili di greggio al giorno. Nel Fezzan a dettare legge sono le tribù – nemiche – Tuareg e Tebu, provenienti dal deserto libico ma con legami anche oltre confine, Mali, Niger, Ciad. E a prevalere oggi sono l’anarchia, lo scontro etnico, la totale assenza delle istituzioni statali, già collassate nella capitale.
Le tribù, organizzate in milizie armate che gestiscono i traffici di armi, droghe e esseri umani dai paesi vicini (il 70% delle entrate economiche in Fezzan è frutto di attività di contrabbando), vogliono la loro parte di potere politico, da Gheddafi gestito o con favori e reti clientelari o mettendo una tribù contro l’altra. Il miglior mezzo, agli occhi del colonnello, per manipolare il Fezzan e lasciarlo ai margini del paese, escludere le sue comunità e le sue minoranze dalla più vasta campagna nazionalista araba lanciata dopo il 1969.
In mezzo alle storiche rivalità accese da Gheddafi che distribuiva diritti e favori in base a pretoriana fedeltà, oggi si infilano le organizzazioni islamiste più potenti e strutturate, al Qaeda nel Maghreb e lo Stato Islamico. Intanto lungo la costa, dove il conflitto interno è più palese, gli scontri politici e militari non cessano. Ieri un elicottero dell’esercito del generale Haftar, braccio armato del parlamento di Tobruk, è stato abbattuto vicino alla città libica. Le sei persone a bordo sono morte. Tra loro, secondo quanto riportato da Agenzia Nova, il direttore dell’ufficio di Haftar, Idris Yunus. Secondo fonti locali, l’elicottero stava prendendo parte alla missione sul porto petrolifero di Ras Lanuf, al centro della contesa insieme a quelli di Brega, Sidra e Zueitina tra governo di unità di Tripoli (Gna) e Tobruk.
Eppure pare che sul campo la battaglia non sia scoppiata: le guardie petrolifere di Ibrahim Jadhran, ex alleato di Haftar poi passato al Gna per mera convenienza, avrebbero abbandonato i quattro porti dietro previo accordo con il generale. Il governo di unità non ha mandato nessuno a difenderli, vista la scarsità delle truppe a disposizione: le milizie su cui conta sono quelle di Misurata, impegnate da mesi a Sirte con il sostegno aereo Usa ma incapaci di cacciare definitivamente lo Stato Islamico dalla città costiera. Insomma, nella Mezzaluna petrolifera tutto tace.
Un accordo pare l’unica soluzione possibile. Lo dice l’Onu, che insiste per coinvolgere Haftar nell’esecutivo di Tripoli, e lo direbbe anche lo stesso premier di Tripoli al-Sarraj: nei giorni scorsi è volato al Cairo dove ha incontrato il presidente del parlamento di Tobruk, Ageela Saleh. A guidare la discussione è l’Egitto, primo sponsor di Haftar e Tobruk, piuttosto interessato a mettere le mani sul futuro libico, magari proprio sulla ribelle Cirenaica e le sue ricchezze petrolifere.
Forse al-Sarraj avrà chiesto spiegazioni in merito alla denuncia mossa nei giorni scorsi: secondo il Gna alla presa dei terminal petroliferi avrebbero partecipato aerei da guerra stranieri, egiziani per la precisione. Quasi a confermarlo è l’intervista rilasciata al quotidiano egiziano al-Ahram dallo stesso Haftar, in merito agli incontri avuti con il Cairo sulla condivisione di informazioni di intelligence: «I paesi colpiti dal terrorismo – ha detto – forniscono la loro tecnologia avanzata. Tra questi Egitto e Francia». E torna così Parigi, che sul campo di battaglia libico ha già gli stivali.
Mentre al-Sarraj discute, Haftar avanza: ieri le sue truppe hanno preso la città di Harawa, 50 km a est di Sirte, avvicinandosi significativamente ai misuratini. Qui, pare, si sarebbe rifugiato Jadhran in “fuga” dai pozzi petroliferi lasciati senza colpo ferire al generale. Nena News
Chiara Cruciati è su Twitter @ChiaraCruciati
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