Centinaia di etiopi sono scese in strada ieri in varie città del Paese per protestare contro l’ennesima uccisione da parte della polizia di un membro della loro comunità. Hanno bloccato strade e bruciato pneumatici prima di essere dispersi dalle forze dell’ordine. La vittima, Solomon Tekah, aveva solo 19 anni
di Roberto Prinzi
Roma, 2 luglio 2019, Nena News – Strade bloccate, pneumatici dati alle fiamme: così la comunità di ebrei etiopi in Israele ha protestato ieri per la morte di Solomon Tekah (19 anni) avvenuta l’altro giorno a causa di un colpo d’arma da fuoco esploso da un poliziotto non in servizio. Non è bastata la rassicurazione del premier Netanyahu che sarà aperta un’inchiesta sulle cause del decesso di Tekah per placare la rabbia di una popolazione, quella ebrea etiope dello stato israeliano, che da anni denuncia di essere discriminata. E che da anni continua a piangere di tanto in tanto la morte di un appartenente della sua comunità per mano delle forze dell’ordine.
Le manifestazioni più grosse si sono avute a Kiryat Haim, il quartiere di Haifa dove il giovane è stato ucciso: qui ci sono stati momenti di forte tensione con i poliziotti quando i dimostranti hanno incominciato a lanciare pietre e ad altri oggetti verso la stazione di polizia. Gli agenti hanno quindi risposto con granate stordenti nel tentativo di disperdere i manifestanti. Ma i membri della comunità etiope si sono mobilitati anche ad Ashdod, Be’ersheba, Netivot e Sderot. Decine di manifestanti si sono riuniti anche fuori la casa del ministro della pubblica sicurezza Erdan a Kiryat Ono (vicino a Tel Aviv). Qui gli attivisti hanno esposto cartelloni su cui era scritto: “Solomon Teka è partito per la vacanza estiva ed è tornato in una bara” e “Questo è stato un’esecuzione extragiudiziale”. Per molte ore ieri in Israele le lancette dell’orologio sono tornate indietro a 4 anni fa quando lo stato ebraico fu attraversato per giorni dalle proteste degli etiopi che culminarono con gli scontri di Piazza Rabin, nel cuore di Tel Aviv.
La dinamica di quanto accaduto due giorni fa al momento è poco chiara: il diciannovenne Teka sarebbe stato raggiunto da un colpo d’arma da fuoco in seguito ad una lite scoppiata con ufficiale non in servizio a Kiryat Haim. L’agente, di cui la stampa locale non rivela il nome, ha spiegato che ha premuto il grilletto perché Teka stava rappresentando una minaccia alla vita sua e della sua famiglia. Il proiettile sparato “in basso” sarebbe però ribalzato a terra colpendo mortalmente il giovane. Il poliziotto ha poi chiarito che era intervenuto per cercare di porre fine ad un litigio, ma che la situazione era presto degenerata: tre giovani lo avrebbero infatti aggredito lanciandogli contro delle pietre. Da qui il “pericolo di vita” che lo avrebbe portato a sparare “verso il basso” per “autodifesa”. Testimoni oculari negano però la versione dell’agente: l’uomo non era affatto in pericolo quando ha schiacciato il grilletto. In attesa delle indagini, per ora, l’uomo si trova ai domiciliari perché sospettato di omicidio.
A provare a calmare gli animi della popolazione etiope d’Israele è stato subito il premier Netanyahu. “Sono rattristato dalla tragica perdita di Solomon Tekaa avvenuta la scorsa notte ad Haifa. Mandiamo le nostre condoglianze alla famiglia” ha detto Bibi che poi ha promesso: “Ci sforzeremo per arrivare alla verità il prima possibile”. Netanyahu ha poi voluto mandare un messaggio all’intera comunità etiope del Paese: “Ci siete a cuore. Abbiamo fatto un grande sforzo negli anni recenti per integrarvi completamente all’interno della società israeliana e abbiamo ancora tanto lavoro da fare”.
Parole che si sono sentite tante volte nel corso degli anni senza che in realtà si siano compiuti concreti passi in avanti per risolvere la “questione etiope”: i leader di questa comunità– più di 135.000 persone arrivate in Israele in due grosse operazioni militari nel 1984 e 1991– continuano a denunciare di essere discriminati rispetto agli altri gruppi di ebrei. Il diverso trattamento nei loro confronti, affermano, è evidente negli abusi compiuti contro di loro da parte delle forze di polizia. A poco sono servite le parole del ministro della sicurezza pubblica Gilad che ha detto di essere rimasto “scioccato” da quanto accaduto ad Haifa spiegando che ora si aspetta che la polizia presenti i dati della sua indagine “in modo completamente trasparente”.
Le dichiarazioni del governo non hanno convinto il parlamentare dell’opposizione di origine etiope Pnina Tamano-Shata (del partito “Blu e Bianco”) che ha accusato la polizia di aver annunciato l’altro giorno “l’apertura della stagione” contro i giovani di discendenza etiope. “Le vite dei nostri bambini sono meno sicure e la reazione della comunità sarà seria” ha poi aggiunto. Tamano-Shata non ha tutti i torti: solo pochi mesi fa, lo scorso gennaio, la polizia uccideva a colpi di arma da fuoco il 24enne Yehuda Biagda a Bat Yam (vicino a Tel Aviv). Secondo le autorità, la vittima aveva minacciato l’ufficiale con un coltello. L’agente, sentitosi quindi in “pericolo di vita”, aveva premuto il grilletto come “ultima risorsa” (così affermò il suo legale). Una versione respinta dai familiari della vittima e anche da alcuni testimoni oculari che dissero che Biagda e il poliziotto erano distanti quando quest’ultimo ha esploso i colpi d’arma da fuoco. Che tradotto vuol dire: Biagda non poteva rappresentare alcun tipo di pericolo per l’agente. I genitori del ragazzo denunciarono allora la politica del “grilletto facile” della polizia quando si tratta degli ebrei etiopi. Un’accusa sostenuta dai fatti: tali episodi non succedano mai con gli ebrei ashkenaziti (cioè quelli di origine dell’Europa centro-orientale) che a 71 anni dalla nascita dello stato d’Israele continuano a rappresentare l’élite ebraica privilegiata.
L’uccisione di Biadga, così come quella dell’altro giorno di Teka, hanno riportato al centro della cronaca nazionale le discriminazioni subite dalla comunità etiope. Resta ora da capire se le manifestazioni di protesta continueranno come 4 anni fa. Nel 2015, infatti, le mobilitazioni durarono alcune settimane e si conclusero con il ferimento di 41 dimostranti durante una manifestazione molto partecipata a Tel Aviv. La repressione dura delle forze dell’ordine destò allora non poco scalpore. Dopo tutto ad essere colpiti con bombe stordenti e gas lacrimogeni erano stati ebrei, mica “arabi”. Anche se di serie B. Nena News
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