Ricomincia all’insegna dello scetticismo la trattativa sul programma atomico di Teheran che accusa Washington di essere “ossessionata” dalle sanzioni. Gli Usa vorrebbero l’azzeramento dell’arricchimento dell’uranio, ma la Repubblica Islamica si rifiuta di chiudere un programma che definisce “a scopo puramente energetico”. Israele avverte i 5+1: attenti a non fare “brutti accordi”
della redazione
Roma, 18 settembre 2014, Nena News – Riprendono oggi a New York i negoziati sul programma nucleare iraniano tra Teheran e i Paesi del gruppo 5+1 (Usa, Gran Bretagna, Russia, Francia, Cina, Germania), ma paiono improbabili svolte su questa disputa decennale. E Israele, che ha sempre osteggiato la trattativa, agitando opzioni militari, ha avvertito gli alleati: attenti a non siglare un “brutto accordo”.
Persistono grandi divergenze al tavolo delle trattative, aperto fino al 24 novembre, e riguardano in particolare l’arricchimento dell’uranio, che servirebbe a costruire la bomba atomica e che Washington vorrebbero azzerare del tutto, mentre la Repubblica Islamica si rifiuta di chiudere un programma che definisce “a scopo puramente energetico”. In ballo ci sono le sanzioni imposte all’Iran, che stanno strozzando l’economia del Paese e soprattutto il suo settore energetico, ma i colloqui sono in una fase di stallo dopo l’iniziale ottimismo dei mesi scorsi, quando Teheran ha ottenuto l’alleggerimento di alcune sanzioni in cambio della conversione o della diluizione del suo uranio altamente arricchito, sotto la supervisione l’Agenzia internazionale per l’Energia atomica (Aiea). Tuttavia, la pressione sull’Iran non si è mai fermata, con nuove sanzioni imposte al Paese anche di recente, che hanno scatenato l’ira di Teheran.
Il ministro iraniano degli Esteri, Mohammad Javad Zarif, ha parlato di “ossessione” di Washington per le sanzioni: “Noi ci siamo impegnati a risolvere questa questione, ma un accordo non può prescindere dalla fine delle sanzioni Usa”. D’altronde, “hanno esaurito la loro efficacia”, ha aggiunto Zarif, spiegando che nel periodo in cui l’economia iraniana è stata colpita dalle misure occidentali, il numero di impianti di centrifugazione è aumentato da 200 a 20.000, quindi le sanzioni “hanno prodotto 18.000 centrifughe”, ha concluso ironicamente il diplomatico.
Il sottosegretario di Stato Usa, John Kerry, è tonato però sulla questione della sicurezza e non ha escluso azioni militari contro gli impianti nucleari iraniani più sospetti. “Lo scopo di un accordo” con l’Iran, ha spiegato al Congresso, è che “ogni possibilità di costruire una bomba sia eliminata. Non ci siamo ancora e non so se ci riusciremo”. Sembra che a Washington non vogliano prolungare i negoziati oltre la scadenza del 24 novembre e i deputati stiano già lavorando a nuove misure punitive contro Teheran, se il negoziato fallirà.
Alla vigilia della ripresa della trattativa è intervenuto anche Israele, contrario a ogni dialogo con la Repubblica Islamica, contro cui preferirebbe usare la forza delle armi. “Siamo profondamente preoccupati, perché riteniamo che il negoziato stia andando nella direzione sbagliata”, ha detto il ministro dell’Intelligence, Yuval Steinitz, esortando gli alleati a non tralasciare il file iraniano a causa della battaglia che si è aperta in Iraq contro i jihadisti dello Stato Islamico.
Intanto, un sondaggio ha rivelato il grande scetticismo degli iraniani verso gli Stati Uniti. La maggioranza degli intervistati sostiene la chiusura di una accordo sul nucleare, anche a costo di un impegno formale dello Stato a non costruire armi atomiche, ma trova inaccettabile la richiesta di dismettere le centrifughe e limitare la ricerca. Per molti Washington è alla ricerca di ogni pretesto per far saltare il tavolo. Il presidente iraniano, Hassan Rouhani, che ha inaugurato un nuovo corso nei rapporti con l’Occidente, si muove su un campo minato, stretto tra un’opinione pubblica che vuole la fine delle sanzioni, ma non a tutti i costi, e i falchi in Parlamento, che gli contestano una gestione “timida” del negoziato e non hanno gradito l’apertura del presidente verso la Casa Bianca.
Inoltre, il quadro regionale è cambiato negli ultimi mesi, con gli Stati Uniti di nuovo in Iraq alla guida di una coalizione militare per contrastare i jihadisti dello Stato Islamico. Un intervento criticato da Teheran. Nena News