L’indebolimento del Consiglio di Cooperazione del Golfo e l’idea di creare un comitato ex novo sono frutto dell’alleanza tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti che, dalla Libia al Qatar, cercano di ridurre le possibili opposizioni degli altri paesi membri
di Francesca La Bella
Roma, 11 dicembre 2017, Nena News - Martedì 5 dicembre si è tenuto il primo incontro del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg) dopo l’inizio della crisi tra Arabia Saudita e Qatar. Gli effetti sui rapporti d’area di questi lunghi mesi di contrasto si sono resi evidenti. Solo Qatar e Kuwait hanno partecipato con i propri rappresentanti ufficiali mentre gli altri paesi hanno inviato membri di secondo piano e così un assemblea che avrebbe dovuto durare due giorni si è conclusa in poche ore senza essere giunta a conclusioni significative.
Ciò che ha reso il Consiglio influente a livello regionale e internazionale è stato che, dalla sua istituzione il 25 maggio 1981, si è progressivamente trasformato in un compatto blocco economico e politico grazie ad una superficie e una popolazione contenute, 2,41 km quadrati e 50 milioni di abitanti, e un PIL superiore a 1,6 trilioni di dollari. Ad oggi, però, le tensioni all’interno del Ccg dovute alla campagna contro il Qatar e al progressivo peggioramento della crisi yemenita sembrano aver portato ad una vera e propria rottura dell’alleanza dell’area del Golfo. Ad accentuare questa distanza ha contribuito anche la mancata attuazione del programma di implementazione del Consiglio attraverso unione doganale, mercato comune, moneta unica e banca centrale unica.
Una frattura ulteriormente approfondita dall’annuncio da parte di Emirati Arabi Uniti (Eau) e Arabia Saudita della nascita di un nuovo consiglio di cooperazione che, lavorando indipendentemente e senza le limitazioni del Ccg, coordinerà i due paesi i tutti i principali settori: militare, politico, economico, commerciale e culturale. Secondo quanto riportato da Gulf News il presidente emiratino Shaikh Khalifa Bin Zayed Al Nahyan, lunedì scorso, ha emesso una risoluzione con la quale viene istituito un comitato di cooperazione Eau-Arabia Saudita.
La risoluzione stabilisce che il comitato sarà presieduto da Shaikh Mohammad Bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi e vicecomandante supremo delle forze armate degli Emirati Arabi Uniti, mentre Shaikh Mansour Bin Zayed Al Nahyan, vice primo ministro e ministro degli Affari presidenziali, ricoprirà il ruolo di vice presidente.
A riprova delle tensioni che hanno attraversato il summit si guardi alle azioni del governo saudita nei giorni immediatamente successivi. Venerdì il ministro degli Esteri Saudita Adel al-Jubeir, rappresentante di Ryad durante lo scorso Ccg, è stato licenziato e sostituito con Khalid bin Salman bin Abdulaziz Al Saud, fratello minore del principe ereditario saudita. Per quanto i due episodi non siano direttamente correlati e la nuova nomina sia probabilmente legata più agli eventi palestinesi che non alle dinamiche in atto all’interno del Ccg, è significativo rilevare come al Consiglio sia stato inviato un rappresentante “sacrificabile” e che la famiglia Saud stia progressivamente accentrando su di sé tutti i principali poteri e ruoli dirigenziali all’interno dello Stato.
La nascita di questo nuovo organo di coordinamento e la parallela marginalizzazione del ben più longevo Ccg sono conseguenza di un generale riallineamento delle alleanze d’area e mostrano le diverse velocità a cui si muovono gli ex alleati del Golfo. Si tenga presente che i due paesi condividono il vertice della classifica dei più ricchi della regione mediorientale. In base alle analisi sul reddito delle famiglie riportate nel Global Wealth Report 2017 del Credit Suisse Research Institute, l’Arabia Saudita avrebbe raggiunto i 772 miliardi di dollari, mentre la ricchezza degli Emirati Arabi Uniti sarebbe stimata in 603 miliardi. A riprova della distanza con gli altri paesi del Ccg si noti che la ricchezza totale del Kuwait e del Qatar è stimata rispettivamente a 292 miliardi e 218 miliardi di dollari.
Se da un lato, dunque, la necessità di creare un comitato ex novo può essere considerato indice dell’incapacità dei sauditi di controllare efficacemente il Ccg e di estromettere i propri avversari da quella arena, dall’altro il rafforzamento della relazione Eau-Arabia Saudita è frutto della convergenza di interessi e di visioni tra i due paesi.
Il processo di avvicinamento non inizia, però, con quest’ultimo atto. Nel maggio dello scorso anno, un incontro a Jedda tra il sovrano saudita e il presidente Uae portò all’annuncio di un comitato di coordinamento composto da alti funzionari governativi di entrambi i paesi per implementare i “legami religiosi, storici, sociali e culturali condivisi tra gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita” secondo quanto riferito dalla Emirates News Agency. Successivamente, nello scorso dicembre, durante una visita ufficiale in cui il re saudita venne insignito del più alto onore emiratino, la medaglia Zayed, Sheikh Mohammed bin Rashid, vicepresidente e governatore di Dubai, dichiarò che vi era stato un radicale cambiamento di paradigma nei rapporti bilaterali tra i due paesi.
La crescente interdipendenza tra Abu Dhabi e Riyadh ha, inoltre, una significativa relazione con le più ampie dinamiche che investono Medio Oriente e Nord Africa. La vicinanza tra i due paesi è in primo luogo collegata allo Yemen e allo sforzo bellico profuso da entrambi. Attualmente, la coalizione guidata dall’Arabia Saudita si trova in una fase particolarmente critica a causa delle accresciute capacità tecniche dei ribelli Houthi, capaci di attacchi al territorio saudita con missili a lungo raggio e di minacce alle strutture nucleari in costruzione negli Emirati Arabi Uniti.
A questo si aggiungano la difficoltà di Riyadh nel trovare alleati in territorio yemenita, problema diventato ancor più pressante con la morte il 4 dicembre dell’ex presidente Ali Abduallah Saleh e la recrudescenza delle tensioni. L’esistenza di un organo alternativo al Ccg potrebbe, però, permettere all’Arabia Saudita e agli Emirati di agire in maniera unilaterale e di portare avanti i propri obiettivi strategici senza le limitazioni imposte dalla concertazione all’interno della coalizione del Ccg.
Gli interessi dei due oaesi non si limitano, però, alla sola penisola arabica. Paesi come Libia, Iraq o Libano stanno diventando sempre di più territori in cui Riyadh ed Abu Dhabi provano a ampliare la propria influenza. Le dinamiche libiche, in particolare, sono state cruciali nella decisione di imporre il blocco del Qatar e di attuare nuove strategie per l’intero Medio Oriente. L’avanzata delle forze di Tobruk e del Generale Khalifa Haftar, legate a doppio filo con l’Egitto, principale partner delle due potenze del Golfo Persico, gioca sicuramente a favore dell’asse guidato da Riyadh.
Paesi come il Bahrein che, nella contrapposizione con il Qatar ha investito molte energie, potrebbero scegliere, infatti, di appoggiare senza riserve le scelte saudite come già avvenuto in precedenza. Il mantenimento del consesso Ccg obbligherebbe, invece, i due paesi a mediare con paesi alleati con il fronte opposto e a politiche non sempre uniformi. Nena News
Francesca La Bella è su Twitter @LBFra