A cinque anni e mezzo da piazza Tahrir centinaia di funzionari di polizia e servizi segreti sono stati assolti: nessuna giustizia per gli 864 manifestanti uccisi nel 2011. Ma liberi sono soprattutto i vertici di allora
di Chiara Cruciati
Roma, 6 ottobre 2016, Nena News – Il tradimento della rivoluzione di piazza Tahrir è un martello che continua a battere sul chiodo delle ambizioni democratiche del popolo egiziano. A distanza di cinque anni e mezzo dal 25 gennaio 2011, le cronache sono costellate di assoluzioni per i tanti morti che la polizia dell’allora presidente Mubarak provocò per fermare la rivolta, 864 persone.
Sotto il regime di al-Sisi, figlio di un golpe militare e controllato dall’esercito esattamente come ai tempi del precedente rais, i responsabili di decenni di dittatura e delle uccisioni di piazza sono liberi: in tutto, dopo oltre cinque anni dalla rivolta, circa 170 funzionari di polizia e servizi sono stati assolti o per mancanza di prove o per “legittima difesa”. Una politica chiara, una strategia precisa: da una parte al-Sisi si garantisce la fedeltà delle forze armate e di polizia, unica fonte di legittimazione per un ex generale senza partiti politici alle spalle; dall’altra crea l’humus necessario all’attuale impunità, quella che copre da tre anni la campagna di repressione della società civile, fatta di decine di migliaia di desaparecidos, torturati, decessi nelle carceri o per le strade.
L’ultima assoluzione è di ieri: la corte penale di Qalioubiya ha giudicato non colpevoli Farouk Lashin, ex capo della sicurezza a Qalioubiya, e i suoi due bracci destri per gli omicidi dei manifestanti nella rivoluzione di piazza Tahrir. Secondo i giudici l’accusa non è riuscita a dimostrare l’utilizzo da parte della polizia e delle forze di sicurezza interna di proiettili.
Il mese scorso era toccato a Mohammed Ibrahim Abdel Moneim, detto “Al-Sunni”, ufficiale di minor grado assolto per l’uccisione di 18 manifestanti perché il giudice ha stabilito che si stava semplicemente difendendo dalla folla che voleva attaccare la stazione di polizia dove era di servizio.
Già a marzo del 2012, prima del golpe di al-Sisi, la lunga serie di assoluzioni aveva preso il via: dieci poliziotti delle stazioni di Hadayek al-Qubba e di Sayeda Zeinab erano stati lasciati liberi. E a maggio dello stesso anno la corte penale del Cairo che aveva assolto quattro poliziotti accusati di aver ucciso tre manifestanti e di averne feriti sette il 28 gennaio 2011: secondo l’accusa Hazem Abdel Fattah, Moataz Bellah al-Gohary, Mostafa al-Habashy e Ahmed Abdel Fattah avevano aperto il fuoco sulla folla dal tetto della loro stazione di polizia.
Nel febbraio 2014 erano stati altri sei i funzionari di polizia ad essere salvati dall’accusa di aver ucciso ben 83 manifestanti nella città di Alessandria. Nelle stesse settimane a subire per davvero il sistema giudiziario egiziano era il presidente deposto Morsi, in carcere dal luglio 2013, e il solo insieme ai suoi sostenitori, ministri e funzionari a finire dietro le sbarre.
Decisioni che non stupiscono nemmeno più se si guarda ai vertici della dittatura di allora: da marzo Habib al-Adly, ministro dell’Interno dalla fine degli anni ’90 al gennaio 2011, è stato scarcerato dopo essere stato condannato all’ergastolo per aver ordinato la repressione delle proteste. La Corte di Cassazione, nel suo caso, stabilì che la procura non poteva dimostrare le uccisioni né di aver ispezionato a fondo la scena del crimine. Una situazione kafkiana, viste le manifestazioni di piazza durate 18 giorni che rendevano impossibile una simile attività investigativa, insieme al collasso dello Stato.
Ma soprattutto senza condanna è rimasto l’ex presidente Mubarak che, dopo essere stato condannato all’ergastolo per la repressione armata della rivolta e l’uccisione di 240 persone, a novembre del 2014 ha vinto l’appello. Il giudice al-Rashidi, quel giorno, aveva lasciato a Dio la punizione degli ex vertici dello Stato per le azioni commesse, la corruzione e la mala gestione degli affari interni. Tutto rimandato all’alto dei cieli, ma nessuna pena nella vita terrena. Fuori dal tribunale, centinaia di persone urlavano la loro rabbia. Nena News
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati
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