Tre pellicole con uno sguardo sul passato coloniale e la guerra d’indipendenza algerina: il cinema racconta il conflitto e riflette sull’Algeria libera
di Silvia Mascheroni
Roma, 9 novembre 2020, Nena News – Settanta attentati e dieci morti: è il primo novembre 1954 e questi numeri segnano l’inizio di una guerra che durerà otto anni e porterà l’Algeria all’indipendenza. Si registrano attacchi su tutto il territorio algerino, concentrati in particolare nell’Aurès: la regione montuosa accoglie l’inizio della rivoluzione e la storia della protagonista di Le Vent des Aurès di Mohamed Lakhdar Hamina (1966, disponibile su YouTube – in arabo/francese, sottotitoli in francese).
Dopo il bombardamento del suo villaggio e la morte del marito, una donna attraversa l’Aurès alla ricerca del figlio. Il paesaggio non è solo terra e suolo, ma la campagna è abitata e riporta le tracce degli algerini che la vivono, in un atto di riappropriazione – anche visiva – dello spazio dopo l’occupazione coloniale. Deportazioni, bombardamenti e violenze hanno segnato l’Algeria e i suoi abitanti: se colonialismo e guerra hanno interrotto il legame tra terra e identità, il cinema dell’Algeria indipendente prova a ricostruire la relazione di appartenenza tra il territorio e la sua popolazione.
Commissionato dal Fronte di Liberazione Nazionale algerino, La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo (1965, disponibile su YouTube) mette in scena lo scontro per il controllo della città tra le cellule della resistenza algerine e i militari francesi nei luoghi della battaglia del 1957.
Non è demonizzata la Francia coloniale, ma vengono mostrate le violenze e le torture di cui l’esercito ha fatto uso; la rappresentazione del conflitto non è chiaramente di parte, ma la chiave di lettura è in linea con la politica del FLN. Il film è un tassello importante nel processo di miticizzazione della guerra e dei suoi martiri: prima e dopo il 1962, le azioni di opposizione al regime coloniale vengono esaltate nel nome dell’ideale dell’indipendenza e lo slogan “un solo eroe, il popolo” è ripetuto e scritto sui muri.
Tutti sono inclusi in questo racconto della guerra, tutti sono eroi, tutti saranno liberi e potranno scendere in piazza con bandiere e striscioni per festeggiare l’indipendenza. Tutti inclusi – tranne gli altri, siano essi gli oppositori politici del FLN, i berberi, le donne. Il cinema dell’indipendenza dimentica, a volte, di raccontare con uno sguardo obiettivo la realtà post-coloniale perché preferisce contribuire alla trasmissione di un’identità e di un immaginario nazionali apparentemente unitari, ma sempre più parziali.
Bisogna aspettare la fine degli anni Settanta per vedere il primo film a regia femminile: La Nouba des femmes du Mont Chenoua di Assia Djebar (1977, disponibile su Vimeo – in arabo/francese, sottotitoli in inglese) ascolta le voci di generazioni di donne silenziate o ignorate dalla storia e dalla memoria ufficiali.
“L’indipendenza, l’alba, era ieri”, ma la liberazione dalla Francia non ha coinciso con la liberazione dal patriarcato: il ruolo avuto dalle donne durante la guerra viene dimenticato o ridimensionato; le prospettive di uguaglianza ed emancipazione vengono strumentalizzate prima e poi taciute.
Le donne della Nouba, allora, parlano, raccontano la loro storia, trasmettono le loro memorie alle figlie e alle nipoti. Non svolgono silenziosamente un compito come le donne de La battaglia di Algeri; non vedono la loro esigenza drammatica ed esistenziale esaurirsi nel ruolo di mogli e madri come la protagonista di Le Vent des Aurès. La rivoluzione delle donne della Nouba è rivendicare un tempo e uno spazio per preservare la memoria, per raccontare le loro storie, la Storia.