Sono i condannati del processo contro il presunto “Hezbollah del Bahrain”. I centri per i diritti umani denunciano le sentenze e accusano i giudici di eseguire gli ordini del regime
di Michele Giorgio – Il Manifesto
Roma, 17 aprile 2019, Nena News – Condannati a detenzioni che vanno da tre anni fino all’ergastolo e spogliati della cittadinanza. È questa la conclusione ieri del processo contro 138 bahraniti che il pubblico ministero, Ahmad al Hammadi, ha descritto come membri dell’«Hezbollah del Bahrain», un presunto gruppo terroristico che avrebbe collegamenti con i Pasdaran iranini.
Alcuni degli imputati sono stati condannati perché aver organizzato «attentati e tentati omicidi», altri perché avrebbero ricevuto un addestramento in Libano, Iran e Iraq. I dubbi sulle prove prodotte dall’accusa sono molti, in considerazione della narrazione degli eventi fatta dal regime del re sunnita Hamad bin Isa al Khalifa che dipinge le richieste di riforme democratiche da parte degli oppositori – quasi tutti incarcerati negli ultimi anni – come parte di un complotto dell’Iran volto a rovesciarlo e a creare in Bahrain una repubblica sciita.
L’attivista Sayed Alwadaei ha descritto il verdetto come «il peggiore dal 2012, dimostra ancora una volta la corruzione della magistratura». Un processo di massa, spiega Alwadaei, «non può produrre un risultato giusto e aver reso tutte queste persone apolidi è una chiara violazione del diritto internazionale». Con questo verdetto, denuncia l’Istituto del Bahrein per i diritti e la democrazia (Bird), sale a 990 il numero dei cittadini sciiti privati della cittadinanza, un provvedimento usato dal regime per la prima volta nel 2012 e diventato legge nel 2014.
Allo stesso tempo re Hamad continua a concedere la cittadinanza a sauditi, emiratini e altri arabi di fede musulmana sunnita per alterare la composizione religiosa della popolazione del Bahrain, ora a maggioranza sciita. Non è noto quanti stranieri abbiano ottenuto la cittadinanza ma l’opposizione parla di numeri in forte crescita.
Prosegue nel frattempo la campagna per il rilascio dei prigionieri di coscienza, tra i quali i noti attivisti per i diritti umani Abdulhadi Al Khawaja e Nabeel Rajab, soggetti a nuove e più pesanti restrizioni durante l’incontro con i familiari dai quali sono ora separati da una barriera di vetro.
Al Khawaja sconta l’ergastolo per aver partecipato alle manifestazioni per la democrazia in Piazza della Perla nel 2011. Rajab è stato condannato a cinque anni per aver criticato sul suo account Twitter le morti di civili nello Yemen a causa dei bombardamenti della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, protettrice di re Hamad.
Abusi e violazioni dei diritti umani di cui non crediamo che il sottosegretario di Stato italiano per gli affari esteri, Guglielmo Picchi, abbia discusso in alcun modo con il ministro degli esteri del Bahrein, Khalid bin Ahmed bin Mohammed al Khalifa, durante la visita a Manama del mese scorso.