Dopo due giorni di discussioni le fazioni palestinesi chiedono ad Abu Mazen di tenere legislative e presidenziali entro un anno. Ma restano i nodi irrisolti della riconciliazione: il controllo di Gaza e la questione della sicurezza
della redazione
Roma, 23 novembre 2017, Nena News – Le elezioni legislative e presidenziali nei Territori Occupati di Cisgiordania e Gaza si dovranno tenere alla fine del prossimo anno. L’accordo è stato raggiunto ieri dai rappresentanti di 13 partiti politici palestinesi dopo due giorni di discussioni a porte chiuse al Cairo, seguito dell’accordo di riconciliazione raggiunto il mese scorso da Anp e Hamas.
Nel comunicato uscito dal Cairo si chiede al presidente palestinese Abu Mazen di individuare una data entro la fine del 2018 attraverso la consultazione dei diversi attori politici coinvolti e alla commissione elettorale di prepararsi. Le 13 fazioni plaudono all’accordo di riconciliazione, definendola “un realistico inizio per porre fine alle divisioni”.
Negli ultimi anni i palestinesi dei Territori hanno sentito più volte annunci di prossime elezioni, costantemente rinviate o da decisioni politiche o dall’intervento della Corte Suprema. Pochi mesi fa si sono tenute quelle amministrative, nella sola Cisgiordania, ma quelle legislative e presidenziali risalgono al gennaio 2006. Quelle che condussero alla rottura tra i due principali partiti palestinesi l’anno dopo, con il conflitto aperto tra Fatah e Hamas e la conseguente divisione dei Territori Occupati in due governi diversi.
Nel 2010 si sarebbero dovuto tenere nuove consultazioni. Mai successo: il presidente Abu Mazen è “illegittimo” da allora. Istituzionalmente, sì, ma anche nella percezione della popolazione. Per questo dietro quella richiesta, nuove elezioni entro un anno, si cela anche la probabile sostituzione dell’attuale presidente e una sicura gara al rimpiazzo che vede già emergere i primi protagonisti, a partire dall’uomo che ha gestito i negoziati con Hamas sul lato della sicurezza, Majed Faraj.
Nel comunicato del Cairo non si fa, invece, riferimento proprio al nodo centrale della riconciliazione, la questione della sicurezza. Lasciata ai margini nell’intenzione di affrontarla in una seconda fase, la sua gestione rischia di far saltare l’accordo visto il ruolo giocato – anche a livello politico e, in alcuni casi, non in linea con la leadership politica – del braccio armato di Hamas, le Brigate al Qassam.
Al quotidiano israeliano Haaretz un leader di Hamas, in condizione di anonimato, ha specificato che il controllo della sicurezza nella Striscia di Gaza resta al movimento islamico che ha già nominato una serie di nuovi ufficiali. Salah al-Bardaweel, membro della delegazione al Cairo per Hamas, ha inoltre espresso dubbi riguardo il comunicato congiunto, definendolo “vago” e incapace di affrontare il cuore della questione, ovvero l’apertura del valico di Rafah da parte dell’Egitto (che nonostante le promesse ha aperto solo per pochi giorni) e la cancellazione delle sanzioni imposte da Ramallah la scorsa estate (taglio del 30% degli stipendi a 60mila impiegati dell’Anp nella Striscia e della fornitura di energia elettrica a Gaza).
Da parte sua Abu Mazen insiste: le sanzioni saranno definitivamente rimosse solo quando l’Autorità Palestinese assumerà il pieno controllo dell’enclave. A parlare al Cairo è Azzam al-Ahmed, capo delegazione di Fatah in Egitto: Hamas deve farsi da parte entro il primo dicembre, per poi tornare a sedersi al tavolo il prossimo mese per valutare i passi da compiere verso la completa riconciliazione.
Crepe sull’accordo che preoccupano prima di tutto la popolazione palestinese che sulla riconciliazione tra i due principali partiti fonda le speranze di un miglioramento delle condizioni di vita a Gaza e della definizione di una visione politica nazionale. Nena News