Il teatro come forma di conoscenza e dubbio non solo per il pubblico, ma in primo luogo per gli attori e i registi: una forma d’arte che coniuga le tradizionali storie palestinesi allo storytelling moderno
di Cecilia D’Abrosca
Roma, 10 luglio 2017, Nena News – Drammaturgo e regista palestinese, Bashar Murkus, è uno dei protagonisti più vivaci della scena teatrale indipendente palestinese. Autore acclamato e più volte premitato, abile a trasformare la realtà quotidiana in sequenze sceniche e trame narrative fruite da un pubblico eterogeneo. Dal legame con la Palestina trae slancio ad approfondire e analizzare i nessi tra la vita della comunità e i fattori politici e sociali che incidono sulla situazione odierna.
Cosa intende veicolare il teatro palestinese se non un progetto che racchiude un tentativo di resistenza e smantellamento dello status quo? Ancora una volta la risposta ad una realtà schiacciante prende forma per mezzo delle arti. Il teatro è uno strumento che educa, orienta, instilla dubbi; è un linguaggio di espressione ma è altresì testo, che va letto seguendo una scenografia, le figure umane che scorrono in scena, le musiche e le parole che danno vita ai contenuti, presi a prestito da storie e episodi di vita che interessano fasce della popolazione, di gruppi etnici o categorie professionali e sociali, le cui condizioni di vita sono contraddistinte da criticità e rischio.
Fatte queste premesse, il teatro indipendente palestinese, nello specificio, nasce dall’impegno di Bashar Murkus e sorge dal punto di vista fisico nel quartiere di Wadi Salib ad Haifa, città in cui vivono sia palestinesi israeliani che ebrei israeliani. Questo esperimento artistico, iniziato nel 2011, prende il nome di Khashabi Theatre e costituisce il primo esempio di teatro indipendente in città.
Il logo – un albero bianco dominato da uno sfondo nero – è il simbolo delle aspirazioni dei suoi fondatori: piantare radici nella città e creare le condizioni all’affermazione del teatro palestinese indipendente in Israele.
Il Khashabi Theatre congiunge due mondi, la tradizione culturale e letteraria della Palestina con il metodo dello storytelling moderno. Le commedie prodotte hanno uno stile vario – che riprende Chekhov e le tecniche del documentario teatrale – sebbene il lavoro intellettuale finale emerga da un intenso processo di ricerca e contaminazioni.
A Parallel Time (“Un Tempo Parallelo), è una testo teatrale politico scritto da Bashar Murkus, tradotto e diretto da Rebekah Maggor. La commedia evoca la lotta quotidiana dietro le sbarre per un gruppo di prigionieri politici palestinesi e la loro battaglia collettiva per superare la disperazione dell’arresto a lungo termine. L’opera è stata rappresentata al teatro Al-Midan di Haifa, con sottotitoli in lingua ebraica, suscitando reazioni da parte di coloro che hanno interpretato il testo come una sorta di propaganda ai prigionieri palestinesi.
La commedia è basata, in parte, sulla vita di Walid Dakka, un prigioniero palestinese accusato di aver ucciso un soldato israeliano. Bashar Murkus sostiene che la commedia non aspira ad affrontare la questione del crimine, ma il rapporto dei prigionieri con il tempo che passa. Dunque, la prospettiva che insegue l’autore è imperniata sull’aspetto umano e narrativo. La commedia prova a descrivere la relazione tra i prigionieri e le modalità di creazione di senso all’interno della prigione, piuttosto che soffermarsi sulla causa nazionale palestinese.
Il concetto – di fare teatro in modo da amplificare la forza dei palestinesi e prendere da loro qualcosa in cambio, che identifichi il “loro” teatro – avvolge il lavoro del Khashabi, i testi del drammaturgo e dei suoi colleghi. Uno degli obiettivi dei fondatori del teatro è stimolare la partecipazione e il coinvolgimento della popolazione nelle attività teatrali attraverso i workshop di attori locali, le giornate riservate ai gruppi di artisti non locali e ai loro spettacoli, e i festival riservati alla proiezione di corti audiovisivi sulla danza e sulle arti visive.
Il Khashabi Theatre è espressione di un modo di pensare, di agire e interagire con il pubblico; peculiare è l’approccio alla scrittura per il teatro, che segue un metodo interdisciplinare adottato dai membri della compagnia sin dagli anni dell’università. Partendo da un tema definito, ad esempio, la città di “Haifa” o il tema dell’ “identità”, gli autori fissano un periodo di tempo da dedicare alla ricerca all’interno della comunità palestinese; ciò comporta una interdipendenza tra strategia di lavoro e comunità locale, dal momento che “quando fai ricerca sulla tua comunità e con il sostegno di quest’ultima – dice Bashar – prendi in cambio molte cose e ne restituisci delle altre dando”. “Con il tempo, la gente diviene parte del processo, fino a trasformarsi in audience”.
Partendo da un esempio concreto, nel caso di A Parallel Time, si è al cospetto di una commedia che mostra in che modo, le condizioni di isolamento soffochino le istanze creative. Il nodo tematico, sviluppato lungo tutta la narrazione, tenta di ricostruire il travaglio, vissuto dall’autore, durante l’evoluzione del processo artistico. In altri momenti, il rapporto tra la ricerca, la forma e il contesto è molto esplicito. E’ il caso della scelta dell’area del quartiere da destinare al teatro e dei contenuti legati alla memoria della Nakba e al passato palestinese da riproporre ad un pubblico trasversale.
L’équipe teatrale si rende conto di dover riconsiderare la relazione tra la città di Haifa e la narrativa della storia palestinese, in quanto la conoscenza limitata di alcune vicende storiche da parte dei più giovani, non vissute in prima persona, ma legate alla loro terra, li rende consapevoli di ignorare, ad esempio, il significato profondo della Nakba e di ricondurre l’esperienza di vita alla memoria degli anziani. Da qui, il riconoscimento della debolezza della relazione che i giovani hanno con il passato.
Vi è una ulteriore commedia, frutto del lavoro del Teatro, che soddisfa, in un certo modo, le perplessità espresse poc’anzi. Si tratta di Sitt bil Ouffeh: A Theatrical Dinner (“Una Cena Teatrale”): l’opera vede in scena due donne intente a cucinare dei piatti tradizionali, che nel frattempo raccontano storie che hanno udito dalle loro nonne, fondendo i ricordi personali alla trama dell’opera, che non ha nulla di scritto, in perfetto storytelling moderno.
La commedia spinge alla piena identificazione l’audience; la scelta drammaturgica di Bashar Murkus prevale, l’atto di cucinare in scena innesca una connessione sensoriale con lo stile del racconto/cultura orale che la commedia desidera richiamare.
L’effetto della visione è diverso a seconda della composizione del pubblico: gli anziani prestano molta attenzione alle storie narrate dalle giovani donne durante la rappresentazione, poichè le conoscono, le hanno vissute sulla loro pelle e le hanno raccontate ad altri; al contrario, il pubblico più giovane si confronta con le stesse domande di Bashar Murkus e dei suoi colleghi, in merito ai passaggi storici decisivi per la Palestina, ammettendo che si avverte un dolore, si respira, è qui. Nena News