Dopo i festeggiamenti per l’ambasciata americana a Gerusalemme e la tiepida risposta araba, Trump si prepara ad annunciare l’«accordo del secolo» dopo l’Id al-Fitr. L’estate prossima ci sarà la «normalizzazione» definitiva di Israele, le notizie e i primi inquietanti dettagli sono venuti a galla, la collusione è all’apice e la scena è in fase di preparazione
di Abdul Bari Atwan – Ray al-Youm
Traduzione di Filippo Teri
Roma, 28 maggio 2018, Nena News – Con il coincidere dei festeggiamenti per lo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, la sua consacrazione come capitale eterna dell’occupazione israeliana e la settantesima ricorrenza dell’invasione della Palestina, arriva la prima e più importante premessa per l’esecuzione dell’«accordo del secolo», che, se le cose procedono come vuole l’amministrazione del presidente Trump,incarnerà la soluzione finale della questione palestinese.
L’accellerazione dello spostamento dell’ambasciata americana e il legame con la ricorrenza della Nakba arrivano come un ballon d’essai per sondare le reazioni internazionali e dei paesi arabi in preparazione dell’annuncio del suddetto accordo. Le reazioni sembrano essere tragicamente tiepide nella maggior parte dei territori palestinesi ad eccezione della Striscia di Gaza, dove, per più di sei settimane, si è assistito a manifestazioni di massa durante le quali sono morte più di 100 persone e oltre 3.000 sono state ferite dai proiettili dei cecchini israeliani.
L’agenzia di stampa internazionale Associated Press ha iniziato a far trapelare le trattative di questo accordo ieri quando ieri [sabato scorso, ndr] ha pubblicato un rapporto di cinque alti funzionari americani anonimi in cui si diceva che il presidente Donald Trump avrebbe annunciato, dopo il mese di Ramadan, i dettagli dell’accordo, le cui linee guida sono state tracciate insieme al genero Jared Kushner e l’inviato per «la pace» nel Medio Oriente Jason Greenblatt, con la diretta supervisione del presidente del consiglio israeliano Benjamin Netanyahu.
La blanda e persino complice risposta araba al trasferimento dell’ambasciata e al massacro nella Striscia di Gaza dà l’impressione che i principali Stati arabi, in particolare Egitto, Giordania e la maggior parte dei paesi del Golfo, siano a conoscenza dei dettagli del futuro piano americano. A tal proposito non è stato convocato alcun summit arabo d’emergenza e la partecipazione dei suddetti paesi al summit islamico, convocato dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, è stata minima (fatta eccezione per la Giordania). Inoltre la maggior parte dei paesi del Golfo (eccetto il Kuwait) sono stati rappresentati dai loro ministri degli affari esteri.
Nessuno Stato che intrattiene relazioni diplomatiche con Israele, come Egitto e Giordania, ha avuto il coraggio di richiamare i propri ambasciatori o espellere quello israeliano dalle loro capitali in segno di protesta, come hanno già fatto altri paesi non arabi come Turchia, Bolivia, Sudafrica, Irlanda e Belgio. Questo ci fa capire molto sulle scioccanti sorprese che avverranno nei prossimi mesi.
Il presidente egiziano Abd al-Fatah al-Sisi ha convocato al Cairo Ismail Haniyeh inviando un aereo privato all’aeroporto di al-Harish per lui e il suo entourage, nel tentativo, da parte sua e per richiesta americana, di fermare le marce per il Ritorno e calmare le acque nella Striscia di Gaza. Si è, inoltre, discusso di una tregua di dieci anni. Alcuni circoli di Hamas hanno fatto trapelare l’emanazione di un probabile «accordo» che dovrebbe interrompere l’assedio di Gaza.
Gli Stati Uniti, insieme ai loro alleati arabi come l’Egitto, la Giordania e i paesi del Golfo seguiranno la politica del «bastone e la carota» con i palestinesi, o meglio dire con la loro leadership in Cisgiordania e nella Striscia. Il bastone è la fine degli aiuti finanziari e dell’inasprimento dell’occupazione; la carota invece sarà rappresentata dalle promesse di ricoprire la Cisgiordania e la Striscia di Gaza di fondi arabi e occidentali in cambio della rinuncia di Gerusalemme, del diritto al Ritorno e della loro non opposizione all’accordo.
La decisione improvvisa e senza precedenti del presidente al-Sisi di aprire il valico di Rafah per tutto il mese di Ramadan, arriva nel quadro di un possibile accordo per calmare o fermare la veemenza delle marce per il ritorno, contenere l’indignazione del popolo gazawi e migliorare le [loro] condizioni di vita. I gazawi, su richiesta di Hamas, sono stati gli unici ad essersi ribellati al piano americano rovinando così i festeggiamenti per lo spostamento dell’ambasciata e svelando l’orrendo volto terrorista di Israele. Ma il quadro potrebbe cambiare radicalmente, se la leadership di Hamas dovesse rifiutare la «carota» americana presentata su un piatto arabo. Tutto ciò è possibile perché, all’interno del movimento, esiste una forte corrente che ha alzato la bandiera dell’opposizione.
I dettagli trapelati fino a ora sul contenuto dell’«accordo del secolo» trattano dell’ampiamento della Striscia di Gaza con l’annessione di 720 km di terra dalla parte del Sinai e l’estensione della costa fino a comprendere la città di Harish e Sheikh Zuweid; la creazione di un porto e un aeroporto, a condizione che l’Egitto otterrà la stessa quantità di territorio occupato nel Negev. In cambio verrà costruita la città di «Neom» sul confine tra Egitto, Giordania e Arabia Saudita. Verranno investiti 500 miliardi per l’assorbimento della maggior parte dei disoccupati,immettendo nell’economia egiziana un maggior numero di investimenti indiretti. La Cisgiordania, invece, otterrà soltanto una maggiore sicurezza economica e un miglioramento delle condizioni di autogoverno.
Il «bastone» americano consiste nel congelamento degli aiuti economici all’Autorità Palestinese nel caso in cui dovesse rifiutare di collaborare. Attualmente sono stati già congelati 200 milioni di dollari dal budget di quest’anno unitamente ad altri 65 milioni dal bilancio dell’URWA. La decisione di interrompere tutti gli aiuti da parte del Golfo alla Giordania va nella stessa direzione in quanto fa pressioni su di lei e sui palestinesi [presenti] sul suo territorio ad accettare l’accordo se non vogliono pagarne le conseguenze considerando [anche] che il processo di marginalizzazione del ruolo di Amman è già iniziato e si rafforzerà.
In alcuni paesi del Golfo, specialmente in Arabia Saudita, sono in aumento le campagne d’«odio» verso il popolo palestinese accusato di vendere le proprie terre attraverso l’impiego di un esercito elettronico di importanti scrittori vicini al regime, nel quadro di un piano ben organizzato che va di pari passo con un processo di normalizzazione crescente con Israele che riflette il ruolo del Golfo nel provare a far passare questo accordo. L’arresto il 18 maggio di cinque attivisti e attiviste noti per la loro resistenza al detto processo è solo la prima avvisaglia.
Prendere di mira l’asse della resistenza, il bombardamento delle postazioni iraniane in Siria da parte dei jet e missili israeliani, l’obbligo delle sanzioni verso Hassan Nasrallah e altri nove leader di Hezbollah con l’inserimento dell’intero partito, inclusa l’ala politica e militare all’interno della lista dei terroristi, sono tutti provvedimenti [che vanno letti] nel quadro delle mosse degli Stati Uniti per imporre l’accordo del secolo e sfruttare lo stato di attuale debolezza arabo-islamica come un’opportunità storica che non si ripeterà.
Non escludiamo un’imminente dichiarazione israeliana di accettazione dell’Iniziativa per la pace araba, dopo averla svuotata dei suoi pilastri più importanti, ovvero, risolvere il futuro di Gerusalemme rimuovendola dal tavolo di eventuali futuri negoziati, così come non escludiamo visite reciproche tra funzionari israeliani e arabi dalla regione del Golfo dopo l’Id al-Fitr.
La prossima estate araba potrebbe essere quella della normalizzazione in cui potrebbero essere rivelatii dettagli di questo accordo avvelenato. Lo abbiamo detto, Dio ne sia testimone!