Per Trump la pace significa sicurezza per Israele e stabilità politica. Per la leadership non eletta e non rappresentativa dell’Anp, il rafforzamento dei propri interessi economici e politici
di Alaa Tartir – Middle East Eye
Ramallah, 10 maggio 2017, Nena News – Nelle dichiarazioni di apertura della conferenza stampa con Mahmoud Abbas, Donald Trump ha lodato il presidente palestinese per aver coraggiosamente firmato la Dichiarazione di Principi (Dop) – il nome ufficiale degli Accordi di Oslo – nel giardino della Casa Bianca 24 anni fa.
Secondo Trump, il Dop “ha gettato le fondamenta per la pace tra israeliani e palestinesi”. Ugualmente importante, ha detto ad Abbas, “tu hai messo il tuo nome sul primo accordo di pace israelo-palestinese”. Trump ha elogiato Abbas per “essere il leader palestinese che ha firmato il finale e più importante accordo di pace che porta sicurezza, stabilità e prosperità ad entrambi i popoli e alla regione”.
Musica per le orecchie di Abbas che ha sperato in un simile riconoscimento per tanto tempo. Si è sempre lamentato di non aver ricevuto il sufficiente riconoscimento del suo ruolo storico nel firmare quell’“importantissimo documento”, con tutti gli onori andati all’allora leader dell’Olp Yasser Arafat, compreso il Nobel per la pace.
Indubbiamente, le dichiarazioni iniziali di Trump hanno caricato l’ego di Abbas in un momento in cui soffre una grave crisi di legittimità in casa, criticato dal popolo palestinese per aver trasformato il sistema politico in un autoritarismo – soprattutto attraverso la repressione subappaltata – e per aver consolidato uno Stato palestinese di polizia sotto occupazione militare israeliana.
Leader che non accettano la realtà
L’apparente calda accoglienza di Trump pare abbia preoccupato e confuso gli israeliani. In cambio Abbas ha fatto sua questo “trumpismo” della narrativa e questa celebrazione dell’ego dicendogli: “Adesso, signor presidente, con te abbiamo speranza”. Prima ancora Abbas aveva detto a Trump: “La tua coraggiosa amministrazione e la tua saggezza, così come la tua grande capacità di negoziatore” porteranno alla pace.
Questa raggiante retorica, l’ipocrisia e l’egotismo hanno impedito agli occhi e le menti dei due presidenti di ammettere il crudo fallimento del Dop nel portare prosperità e sicurezza ad entrambe le parti, palestinese e israeliana.
Infatti gli Accordi di Oslo hanno permesso a Israele di allargare le sue colonie ebraiche illegali nella Cisgiordania e nella Gerusalemme occupate e di continuare la colonizzazione delle terre palestinesi. Il fallimento del celebrato Dop e della sua impalcatura hanno significato per Israele il radicamento delle politiche di apartheid, le pratiche e le strutture.
Quel Dop non è stato che un accordo di sicurezza tra il colonizzato e il colonizzatore a vantaggio di quest’ultimo, molto lontano dall’essere dunque un accordo di pace, e a danno delle condizioni di vita del popolo palestinese.
Partnership dubbiosa
Le misure di sicurezza e di contro-terrorismo sono stati al centro delle dichiarazioni di Trump, in linea con le richieste israeliane e la dottrina della sicurezza imposta dal donatore all’Autorità Palestinese. Trump ha chiaramente detto: “Dobbiamo continuare a costruire la nostra partnership con le forze di sicurezza palestinesi per sconfiggere il terrorismo”. E ha aggiusto: “Loro [le strutture di sicurezza palestinese e israeliana] tirano avanti incredibilmente bene…lavora insieme benissimo” – parole che hanno oltraggiato molti palestinesi.
Senza sorprendere, Abbas ha annuito con la testa durante tutta la conferenza stampa considerando il coordinamento alla sicurezza come “un interesse nazionale palestinese” e una dottrina “sacra”. In realtà questa si traduce in una partnership che punta a criminalizzare la resistenza palestinese contro l’occupazione israeliana. È una partnership che punta a rafforzare il dominio della struttura della sicurezza e delle forze palestinesi, rendendole un corpo repressivo che presidia il popolo palestinese e la sua lotta per l’autodeterminazione.
Questa partnership inoltre si manifesta attraverso la sponsorizzazione delle trasformazioni autoritarie che hanno accompagnato il progetto di costruzione dello Stato palestinese, in particolare nell’ultimo decennio. La maggioranza del popolo palestinese rigetta questo “sacro” coordinamento alla sicurezza tra Anp e Israele, che ha significativamente contribuito ad allargare il gap di legittimità tra il popolo e l’élite politica e della sicurezza.
Ma né ad Abbas né a Trump interessa abbastanza delle aspirazioni e le richieste del popolo palestinese. Entrambi i presidenti non capiscono che, prima di tutto, un accordo di pace durevole e di senso non è possibile senza l’approvazione e l’appoggio del popolo. Raggiungere la pace, al contrario di quanto Trump e Abbas dicono, è molto più complesso della mera firma di “un documento”.
La pace non può essere comprata
Come molte delle precedenti amministrazioni Usa, Trump concepisce “il grande accordo finale” attraverso le lenti della sicurezza e dell’economia. Per questo sta rafforzando un sentiero battuto e un paradigma fallito, quello della pace “securizzata” e dell’approccio della pace economica.
Trump rifiuta di riconoscere che l’aiuto economico non può comprare la pace politica. L’attuale amministrazione ha bisogno solo di guardare all’approccio della pace economico fallito dell’amministrazione Obama per trarre ovvie conclusioni.
Anche una breve esamina dell’Iniziativa economica palestinese (Pei) dell’ex segretario di Stato Usa John Kerry fornisce tantissimi esempi e lezioni sul perché “le nuove opportunità economiche”, così come dettate dagli Stati Uniti all’interno di un quadro di pace e di approccio da “accordo finale”, non porteranno alla pace. Infatti è vero l’esatto opposto: sostiene e rafforza uno status quo che nega i diritti umani basilari, l’uguaglianza e la libertà.
Trump ha concluso il meeting dicendo: “Lanceremo un processo che speriamo porti alla pace”. Non ha né definito il processo e i suoi paramenti né menzionato lo Stato palestinese o la soluzione a due Stati che Abbas ha portato avanti in tutta la sua carriera politica. Abbas ha semplicemente detto: “Okay”. Ha approvato “l’avvio di un processo” e accettato di iniziare un viaggio verso la pace sotto la leadership di Trump.
Per Trump, come per buona parte delle precedenti amministrazioni, la pace significa sicurezza per Israele e stabilità politica. Per la leadership politica israeliana, come evidenziato dai loro fatti sul terreno, la pace significa annessione, colonizzazione e apartheid. Per la leadership non eletta e non rappresentativa dell’Anp, la pace significa il rafforzamento dei propri interessi economici e l’ottenimento (vero o immaginato) di potere e autorità.
Abbas, i suoi consiglieri e i leader politici palestinesi sono incapaci di imparare la semplice lezione decennale, sostenuta da una prova sufficiente: gli Usa sono un negoziatore disonesto per la pace. Portare davvero la pace significherebbe prevedere la decolonizzazione e lo smantellamento del regime di apartheid di Israele e porre fine all’occupazione militare illegale: questo è il primo passo.
Ma né l’amministrazione Usa né Abbas e Netanyahu intendono percorrere questa strada. Potrebbero avviare un processo che soddisferà i loro ego e le loro fantasie ideologiche, ma certamente non garantirà una pace giusta e durevole. Questo sarà un lavoro per la prossima generazione di leader.
Alaa Tartir è il direttore di al-Shabaka – The Palestinian Policy Network
Traduzione a cura della redazione di Nena News