Hamas e Fatah al Cairo si accordano sui “meccanismi” delle elezioni. La campagna delle donne kuwaitiane contro le violenze. Da Londra 1,88 miliardi di dollari in armi a Riyadh
della redazione
Roma, 10 febbraio 2021, Nena News
Palestina, Hamas e Fatah al Cairo si accordano sui “meccanismi” delle elezioni
Ieri al Cairo, tradizionale luogo di incontro delle leadership di Hamas e Fatah, le delegazioni di 12 partiti politici palestinesi hanno raggiunto un accordo sullo svolgimento e le tempistiche delle elezioni legislative e presidenziali previste per quest’anno. Dopo due giorni di incontri, è uscito un comunicato congiunto in cui si confermano le date (22 maggio per il Consiglio legislativo palestinese e 31 luglio per le presidenziali, in entrambi i casi il primo voto in 15 anni).
Sarà formata una “corte elettorale”, composta da giudici provenienti sia dalla Cisgiordania, dove a governare è l’Autorità nazionale palestinese monopolizzata da Fatah, e da Gaza, dove il governo de facto è quello del movimento islamista. Spetterà alla corte monitorare la validità del processo elettorale e risolvere le eventuali dispute successive al voto.
Infine, l’accordo prevede il rilascio dei rispettivi prigionieri politici e la garanzia di una campagna elettorale libera e senza restrizioni per gli avversari nelle due enclavi palestinesi. L’incontro non ha dissipato la disillusione dei palestinesi che da anni si vedono annunciare elezioni poi costantemente cancellate.
Kuwait, la campagna delle donne contro le violenze
Si allarga a macchia d’olio la denuncia di violenze sessuali, fisiche e verbali delle donne kuwaitiane e lo fa sul web. L’hashtag “I will not be silenced” è divenuto in breve virale su Twitter, insieme alla pagina Instagram lanciata dalla dottoressa 27enne Shayma Shamo, luogo virtuale in cui racconta tramite infografiche i numeri delle violenze e dà spazio alle donne che vogliono denunciare un abuso subito, sia cittadine che migranti.
All’Afp Shamo ha affidato il suo stupore: “Non appena ho aperto l’account, i messaggi hanno cominciato ad arrivare in massa, da donne e ragazze che hanno avuto esperienza di vessazioni verbali, fisiche e sessuali. Dobbiamo parlarne, unirci e difenderci perché quello che sta accadendo è inaccettabile”.
Tramite i due social, Twitter e Instagram, le donne si rivolgono direttamente al governo chiedendo politiche nuove e leggi che proteggano le donne e che, allo stesso tempo, lavorino per cancellare i pregiudizi in materia. Una battaglia che si è subito allargata alle lavoratrici migranti, che insieme ai lavoratori uomini stranieri rappresentano due terzi della popolazione del Kuwait e che vivono in condizioni di semi-schiavitù sotto il sistema della kafala.
Al momento nel paese del Golfo non esistono leggi che puniscono la violenza domestica, lo stupro o il matrimonio riparatore. Le donne hanno ottenuto il diritto di votare solo 15 anni fa e la loro partecipazione politica ed economica è ridotta al lumicino.
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Arabia Saudita, da Londra 1,88 miliardi di dollari in armi
Mentre l’Italia e gli Stati Uniti bloccano le armi in partenza per Riyadh, la Gran Bretagna va avanti per la sua strada. La denuncia arriva da diverse organizzazioni per i diritti umani, a partire da Caat (Campaign against Arms Trade), da anni in prima fila contro la vendita militare a regimi: Londra ha autorizzato esportazioni di armi verso l’Arabia Saudita per un valore totale di 1,88 miliardi dollari tra luglio e settembre 2020, ovvero subito dopo l’anno di sospensione alla vendita ordinato dalla Corte di Appello di Londra per le violazioni saudite in Yemen.
Tra le armi autorizzate, ci sono missili e bombe, dunque strumenti direttamente utilizzabili nella guerra che dal 2015 devasta il paese vicino. “Questi numeri sono scioccati – scrive in un comunicato Caat – e una volta di più mostra la determinazione del governo britannico di continuare a fornire armi ad ogni costo. Le armi prodotte in Gran Bretagna hanno giocato un ruolo devastante negli attacchi sauditi allo Yemen e nella crisi umanitaria, eppure il governo ha fatto di tutto pur di proseguire nel flusso di armi”.
Protesta anche Oxfam che definisce le vendite “immorali” e ricorda che dal marzo 2015 – inizio dell’offensiva militare contro lo Yemen – Londra ha concesso un totale di 6,7 miliardi di dollari in armi alla petromonarchia saudita.
La risposta del governo arriva a stretto giro: secondo il ministero degli esteri, la vendita avviene “con grande cura” per evitare che porti a violazioni del diritto umanitario. Parole inaccettabili per chi si batte da anni per la fine del conflitto. Nena News
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