Tawfiq al-Hakim è stato uno dei grandi maestri della letteratura araba moderna. La sua carriera di drammaturgo ha accompagnato la storia del teatro egiziano. I romanzi pubblicati fra le due guerre hanno inaugurato il periodo più felice della narrativa egiziana
di Cristina Micalusi
Tawfiq al-Hakim è uno dei maggior rappresentanti della letteratura araba del Novecento. Il suo campo privilegiato è stato, fin dagli esordi, il teatro. Solo cinque sono i suoi romanzi tutti pubblicati in un arco di tempo ristretto, tra il 1933 e il 1944. Il Diario di un procuratore di campagna del 1937 è, secondo il parere di molti intellettuali, quello letterariamente più riuscito.
Tra gli intellettuali della sua epoca, al-Hakim è in teoria quello che più ha aderito alla cultura europea con più spontaneità. Questa considerazione si deve al suo senso dell’umorismo da una parte e al suo stile scorrevole e naturale dall’altra.
Il suo interesse per l’Occidente è innanzitutto di carattere estetico e si allarga, oltre che alla letteratura e al teatro, anche alla pittura e alla musica. Andò da giovane in Europa per studiarne i segreti della bellezza e della conoscenza, ritornerà in Egitto con la consapevolezza che uno scrittore è soprattutto un pensatore, politico e riformatore. Il suo primo romanzo “Il Ritorno dello Spirito” è una sorta di epopea dell’insurrezione egiziana del 1919 contro il protettorato britannico. Il fervore nazionalista portò al Hakim a celebrare la campagna come forza eroica della nazione, con la stessa retorica che aveva caratterizzato la narrativa egiziana fino al primo dopoguerra.
Dopo questo periodo, al-Hakim si concentra sul suo Oriente, quello interno delle classi popolari del Cairo e soprattutto la provincia rurale. Si inserisce in quel filone letterario che ha creato la figura del magistrato-scrittore, personaggio simbolo di quel potere dello stato moderno.
Il Diario di un sostituto procuratore deriva da un’esperienza personale ma non può dirsi un vero romanzo autobiografico. Alcuni critici hanno sostenuto il libro di al-Hakim come “un insuperato documento di critica sociale”. Esso infatti denuncia la separazione tra il linguaggio astratto del potere e la realtà viva del mondo sottolinenando tale aspetto nella profonda ambiguità del funzionario-artista. Il sostituto procuratore che con una scrollata di spalle elimina ogni possibilità di resistenza agli ingranaggi burocratici, che appaiono come uno degli autoritratti più tragici che l’élite intellettuale ha dato di sé. Questo magistrato chiamato a “vegliare sugli istinti” ma che vorrebbe soltanto dormire, ha scarsa fiducia nella razionalità della legge e che si limita ad applicare passivamente.
Questa scarsa fiducia nella civiltà moderna, che è la sfiducia dell’autore assorbita durante il soggiorno europeo, affiora nell’opppsizione tra cuore e intelletto, spirito e corpo, bellezza e verità. Temi enunciati in modo palese quando il sostituto procuratore rinuncia ad ordinare l’autopsia di Rim, l’immagine unica di bellezza, e anche l’unica cosa che non suscita la sua ripugnanza o la sua ironia, proprio perché non è di questo mondo.
Tawfiq al-Hakim, nato ad Alessandria nel 1898, è stato uno dei grandi maestri della letteratura araba moderna. La sua carriera di drammaturgo ha accompagnato la storia del teatro egiziano dai primi decenni del Novecento agli anni ’70. I romanzi pubblicati fra le due guerre hanno inaugurato il periodo più felice della narrativa egiziana. È morto nel 1987.
Titolo: Diario di un Procuratore di Campagna
Titolo originale: Yawmiyyat na’ib fi l-aryaf
Autore: Tawfiq al-Hakim
Edizioni: Nottetempo
Anno: 2005