L’ultima tappa del nostro percorso sulla situazione del giornalismo investigativo nei Balcani ci porta nei due paesi più a sud della regione: Albania e Macedonia del Nord. Per entrambi, nonostante le aspettative, è stata recentemente rimandata l’apertura dei negoziati per l’adesione all’UE anche se, in questo caso, la scarsa libertà di stampa non ha giocato nessun ruolo rilevante
di Marco Siragusa
Roma, 28 ottobre 2019, Nena News –
Macedonia del Nord
Negli ultimi tre anni la Macedonia del Nord ha nettamente migliorato la propria posizione nella classifica stilata da Reporters Senza Frontiere (RSF), guadagnando ben sedici posizioni rispetto al 2017. Sebbene la fine del decennale dominio politico di Nikola Gruevski e del suo partito VMRO-DPMNE, nel 2016, abbia prodotto un effettivo avanzamento nella libertà di stampa, il paese rimane agli ultimi posti tra quelli della regione piazzandosi quest’anno ad un poco invidiabile 95esimo posto.
L’ultimo report annuale prodotto dalla Commissione Europea conferma il miglioramento della libertà dei media ma sottolinea anche l’assenza di una sempre più necessaria riforma sistemica. In realtà un primo passo è stato compiuto tra la fine del 2018 e il febbraio 2019 con la modifica della Legge sui servizi Audio-Visivi volta a promuovere la cooperazione tra la società civile, i media e gli attori statali. Questo approccio era stato già anticipato lo scorso anno dalla firma, a marzo, di un Memorandum tra l’OSCE e l’Associazione dei giornali di Macedonia (AJM) che prevedeva l’organizzazione di workshop sulla sicurezza dei giornalisti con la compartecipazione di membri della polizia. Tra maggio e giugno di quest’anno si sono svolti sei incontri, in altrettante città del paese, incentrati soprattutto sui meccanismi di protezione del lavoro dei reporters. Nonostante gli attacchi ai giornalisti, secondo i dati di RSF, si siano ridotti di quasi un terzo tra il 2017 e il 2018 non sono mancati anche quest’anno eclatanti casi di violenze. A gennaio la corrispondente dell’emittente privata Kanal 5, Mirjana Mircevska-Jovanović, è stata aggredita, prima verbalmente e poi anche fisicamente, da una guardia di una chiesa durante alcune interviste nel giorno dell’Epifania ortodossa (19 gennaio).
Ancora più grave, soprattutto per i soggetti coinvolti, quanto accaduto ad aprile ad una troupe di TV21. I reporter sono stati minacciati da funzionari della città di Aračinovo, ad est della capitale Skopje. I giornalisti avevano chiesto un’intervista con il sindaco Milikije Halimi ottenendo come risposta la richiesta di cancellare le riprese effettuate con i cittadini. Al loro rifiuto i reporter sono stati chiusi in una stanza e poi trasportati fino alla sede di TV21 a Skopje, dove i funzionari pubblici hanno minacciato pure il direttore prima dell’arrivo della polizia.
La libertà dei media non è però messa in discussione solo dalle violenze ma anche dalle forti influenze esercitate dal potere politico, anche tramite la diffusione di fake news, e da gravi episodi di corruzione. L’esempio più noto è quello che ha riguardato, il mese scorso, la stazione 1TV. Inaugurata appena due anni fa, alla presenza di politici del partito Socialdemocratico (SDSM) al governo, e presentata come una novità nel panorama televisivo macedone con la presenza nel palinsesto di numerosi dibattiti politici e talk show, l’emittente faceva capo all’uomo d’affari Bojan Jovanovski coinvolto nella più grande inchiesta contro la corruzione che vede protagonisti politici, giudici e businessman e chiamata “Estorsione”. L’arresto di Jovanovski ha costretto la Tv a sospendere le trasmissioni in attesa di risolvere il problema sull’effettiva proprietà.
Per quanto riguarda le influenze politiche la AJM ha criticato la proposta di introdurre ulteriori criteri per l’accreditamento mediatico per seguire gli eventi del governo. Secondo l’Associazione questo potrebbe favorire solo i giornali vicini all’esecutivo, limitando ulteriormente la libertà e il pluralismo dei media. A questo si aggiunge la richieste portata avanti dall’AJM, dal Consiglio per l’Etica mediatica della Macedonia (SEMM), dall’Unione indipendente dei giornalisti e dei lavoratori dei media (SSNM) e dall’Istituto macedone dei media (MIM) di sbloccare la riforma tanto richiesta dall’Unione Europea e procedere all’elezione, spettante a precisi organi parlamentari, dei membri del Consiglio del regolatore dei media e del Consiglio di programmazione della televisione radiofonica macedone.
Ai problemi già esposti si aggiungono anche le inchieste giudiziarie verso i cronisti. La storia più nota è quella riguardante Tomislav Kezarovski, reporter investigativo incarcerato nel 2013 con l’accusa di aver rivelato, anni prima, l’identità di un testimone in un caso di omicidio sospettato di essere motivato politicamente. Condannato inizialmente a quattro anni, nel 2015 la pena è stata ridotta in appello a due anni di reclusione. Quest’anno, però, la Corte suprema ha deciso di rinviare nuovamente il caso e aprire un nuovo processo nei confronti di Kezarovski.
Albania
Se in Macedonia del Nord la situazione è in lento miglioramento, l’Albania registra invece un preoccupante passo indietro passando dal 76esimo posto del 2017 all’82esimo di quest’anno. Per RSF “gli attacchi ai media sia da parte del governo che del crimine organizzato hanno raggiunto un livello senza precedenti nel 2018”.
Paradossalmente, gli attacchi politici contro i media non provengono solo dal partito del premier Edi Rama, il Partito Socialista d’Albania (PSSH), ma anche dal Partito Democratico all’opposizione. Rama è solito parlare dei giornalisti riferendosi loro con il termine “Kazan” che tradotto significa letteralmente “bidone della spazzatura” facendo in questo modo trapelare ben poco rispetto nei loro confronti. Il disegno di legge sulla riforma dei media presentato lo scorso luglio dall’esecutivo è stato fortemente criticato dalle associazioni di categoria che denunciano il rischio di perdita di autonomia dell’Autorità per i Media Audiovisivi (AMA) il cui Presidente e Consiglio verrebbero eletti dalla maggioranza parlamentare. Le denunce riguardano inoltre la mancata depenalizzazione del reato di diffamazione, usato come strumento per limitare l’operato dei giornalisti, e le pesanti sanzioni previste per i media che si rendono protagonisti di non meglio specificate “violazioni della dignità e della privacy dei cittadini”.
Il rappresentante dell’OSCE per la libertà di stampa, Harlem Desir, subito dopo l’approvazione della riforma al Consiglio dei Ministri aveva rilasciato un rapporto in cui criticava apertamente il blocco o la sospensione dei contenuti online considerandole una “misura estrema intrapresa dallo stato rispetto al diritto della libertà di espressione”. Preoccupazione è stata espressa anche dall’Ambasciatore dell’UE a Tirana, Luigi Soreca, in quanto contrario al principio di autoregolamentazione dei media sostenuto dall’Unione stessa. Dall’altro lato il Partito Democratico (PD) di Lulzim Basha, protagonista nell’ultimo anno di importanti e violente manifestazioni di piazza, ha diffuso tra i propri membri una circolare in cui si consiglia di evitare di rilasciare interviste e dichiarazioni ad una serie di media, espressamente indicati nella nota.
In generale le istituzioni albanesi tendono ad ostacolare il lavoro d’inchiesta negando o ritardando l’accesso a documenti di interesse pubblico, soprattutto quelli relativi agli appalti pubblici. A questo vanno aggiunte le continue influenze e pressioni politiche esercitate direttamente contro tv e giornali. Nel mese di settembre la tv News 24, uno dei canali di informazione più seguiti del paese, ha annunciato una ristrutturazione del proprio palinsesto. Non è passata inosservata la soppressione di due talk show famosi per le loro posizioni critiche nei confronti del governo: “Te Paekspozuarit” (“I non esposti”) di Ylli Rakipi e “A show” del giornalista Adi Krasta.
Ylli Rakipi ha chiaramente incolpato il governo, e il premier Rama in prima persona, per la chiusura del suo programma accusandolo di aver imposto ai propri membri la non partecipazione alla sua trasmissione. Rakipi in passato era già stato querelato da Rama per diffamazione nel mese di gennaio per averlo chiamato “pagliaccio” e “uomo con un’intelligenza inferiore alla media”. Per le sue posizioni critiche e le sue inchieste sulla corruzione nel sistema degli appalti riguardanti importanti progetti urbanistici a Tirana, Rakipi era stato vittima di minacce di morte.
Altro aspetto problematico è quello emerso da uno studio condotto da Media Ownership Monitor che sottolinea la forte concentrazione nella proprietà dei media in Albania. Analizzando i dati di due agenzie, Abacus e Telemetrix, risulta che per quanto riguarda la carta stampata circa il 40% del pubblico è raggiunto da giornali di proprietà di quattro famiglie. La percentuale sale ulteriormente, mediamente poco sopra il 50%, per quanto riguarda la televisione.
Così come negli altri paesi della regione, quindi, anche in Albania i giornalisti sono soggetti a pressioni politiche più o meno dirette e a violenze fisiche e verbali che ne limitano l’indipendenza e la possibilità di svolgere un reale servizio di informazione e d’inchiesta. Nena News