La regione tra Serbia e Montenegro, a maggioranza musulmana, è da anni polo di attrazione dell’intervento turco, sotto forma di aiuti e investimenti finanziari, promozione culturale, restauri di moschee e sostegno all’economia. Per Ankara, una delle vie di penetrazione politica nei Balcani
di Marco Siragusa
Roma, 23 novembre 2018, Nena News – Lo scorso 29 ottobre il ministro delle Costruzioni, dei Trasporti e delle Infrastrutture della Serbia, Zorana Mihajlovic, ha firmato con la compagnia turca Tasyapi un accordo commerciale, dal valore di 24 milioni di euro, per la costruzione della strada statale Novi Pazar-Tutin. Lo stesso giorno il Consiglio Nazionale Bosniaco, con sede a Novi Pazar, ha distribuito materiale scolastico in lingua bosniaca destinato ad oltre 1.800 bambini delle scuole dell’area. L’acquisto è stato finanziato dall’Agenzia turca per la cooperazione e il coordinamento (Tika).
Cosa spinge le autorità turche a investire in un progetto infrastrutturale di appena 20 km nel Sangiaccato (Sandžak) serbo, una terra di confine con il Kosovo, il Montenegro e la Bosnia? L’interesse turco per l’area non nasce certo negli ultimi mesi ma deriva da una lunga storia comune, risalente ai tempi dell’impero ottomano, che ha lasciato evidenti eredità sino ai giorni nostri. Il Sangiaccato è una regione suddivisa tra Montenegro e Serbia ed è, escludendo il Kosovo, l’unica a maggioranza musulmana di tutta la Serbia.
Durante il Medioevo questa zona rappresentò il nucleo centrale della Rascia (Raška), dal cui sviluppo nacque nel XII secolo il primo Regno di Serbia, per poi essere conquistata dall’Impero Ottomano a partire dal XV secolo. Lo stesso termine “sangiaccato” deriva dal turco sancak (“distretto”) e rappresentava una delle divisioni amministrative dell’Impero, nata con l’intenzione di separare serbi e montenegrini e creare un collegamento diretto con i musulmani bosniaci. Il dominio ottomano si protrasse per circa cinque secoli con un breve intervallo di tempo tra il 1878, quando la regione venne concessa all’Impero austroungarico dal Congresso di Berlino, e il 1908, anno in cui tornò all’Impero Ottomano. Diviso tra Serbia e Montenegro durante la Jugoslavia socialista, con le guerre degli anni ’90 il Sangiaccato venne attraversato dagli scontri inter-etnici provocando una imponente emigrazione di massa della componente musulmana in direzione della Turchia. La maggior parte dei circa 5 milioni di bosniaci che vivono in Turchia provengono proprio da quest’area.
Gli stretti legami storici e la presenza di un’ampia diaspora hanno favorito il mantenimento di ottimi rapporti tra le parti, sostenuti anche dal forte interessamento turco per l’intera regione balcanica. Negli ultimi anni, con la distensione nelle relazioni bilaterali tra Belgrado e Ankara, gli interventi turchi in campo economico e culturale nell’area si sono fatti sempre più frequenti.
Nel luglio 2010, durante una visita congiunta con il presidente serbo Boris Tadić a Novi Pazar, il presidente turco Erdogan ha partecipato all’apertura del primo centro culturale turco. Le attività del centro si pongono come obiettivo quello di promuovere il patrimonio culturale turco attraverso l’organizzazione di eventi come, ad esempio, esposizioni di artisti turchi. Due anni dopo, nel settembre 2012, Tika ha dato vita a un altro centro culturale nella città di Sjenica. Novi Pazar è inoltre la sede dell’Associazione dei Turchi in Serbia, costituita nel 2014 con il compito di sviluppare la reciproca amicizia della comunità serbo-turca, coltivare relazioni di buon vicinato e sostenere la protezione dei monumenti culturali e storici.
Il supporto turco, però, non si è concentrato solo nel campo culturale ma anche in quello più generale degli aiuti economici destinati alla tutela della popolazione musulmana. In tal senso, nel 2015 Tika ha finanziato progetti di costruzione ed equipaggiamento di scuole nelle aree rurali per investimenti di oltre 2,5 milioni di euro. Significativo anche il sostegno destinato alla Cooperativa femminile “Cilim” che si occupa di lavorazione di tappeti cui sono stati forniti telai e materie prime.
Gli investimenti hanno riguardato anche il settore della sanità con l’attuazione di due grandi progetti, per circa 5 milioni di euro, per il rinnovamento generale degli ospedali e, nello specifico, del Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale di Novi Pazar. Sempre nel 2015 la Serbia era stata colpita da forti piogge che avevano provocato inondazioni proprio nella zona del Sangiaccato. Anche in questo caso, Tika non ha fatto mancare il suo supporto materiale inviando asciugatrici e pompe idrauliche per sostenere le famiglie colpite dall’alluvione. Nel 2017, invece, l’Agenzia turca ha sostenuto la coltivazione di lamponi, principale fonte di reddito per buona parte della popolazione locale, con l’avvio di nuove piantagioni.
I finanziamenti turchi non potevano che essere indirizzati anche nella ricostruzione delle moschee, simbolo della comune appartenenza religiosa e del legame culturale che lega i due popoli. Nel 2017 è stato avviato il restauro della moschea di Sjenica, Valide Sultan. Costruita nel 1870, la struttura è l’unico esempio di moschea “imperiale” (costruita cioè direttamente dalla famiglia del Sultano) di tutta la Serbia e considerata uno dei simboli più importanti degli Ottomani nella regione.
Chiaramente il sostegno all’economia locale e alla cultura musulmana dell’area ha avuto importanti ripercussioni anche in campo politico. A distanza di sette anni dalla prima visita, nell’ottobre dell’anno scorso Erdogan è tornato a visitare la città di Novi Pazar accompagnato dal presidente serbo Vucic. La sua presenza è stata accolta con grande entusiasmo dalla popolazione musulmana che considera la Turchia un vero e proprio punto di riferimento. Emblematico è stato il forte coinvolgimento durante la celebrazione del secondo anniversario del fallito colpo di Stato in Turchia. Il 15 luglio di quest’anno si sono svolte imponenti manifestazioni sia a Sjenica che a Novi Pazar, organizzate dalla comunità locale, dalle organizzazioni non governative bosniache e dalle istituzioni turche. Due giorni prima erano stati inaugurati il “Parco della democrazia”, a Novi Pazar, e un bosco commemorativo, a Sjenica. I finanziamenti provenivano ovviamente sempre dall’Agenzia turca Tika.
Negli ultimi anni Ankara ha cercato, senza successo, di svolgere un ruolo di mediazione tra le due comunità islamiche presenti in Serbia. Nel 2007 infatti si era verificato uno scisma all’interno della comunità che aveva portato alla creazione di due entità separate: la Comunità islamica in Serbia con sede a Novi Pazar, guidata da Muamer Zukorlic, e la Comunità islamica di Serbia, con sede a Belgrado e guidata da Adem Zilkic. Il primo sostiene l’unione con la Comunità islamica della Bosnia Erzegovina, mentre il secondo afferma che la Comunità islamica serba dovrebbe essere autonoma. Nonostante gli sforzi turchi di trovare una soluzione per il superamento dello scisma, le distanza tra le due visioni, che riguardano ovviamente anche aspetti politici legati all’appartenenza ad un partito piuttosto che all’altro, rimangono ancora notevoli.
Nonostante questo fallimento, la Turchia continua ad essere un potente polo attrattivo per la comunità musulmana del Sangiaccato serbo. Ai legami culturali si aggiunge la particolare attenzione posta allo sviluppo economico della regione che fanno apparire le istituzioni turche come le uniche realmente interessate al benessere della popolazione locale, ancor più dello stesso governo serbo più volte criticato per la poca attenzione rivolta a quest’area. Il Sangiaccato serbo gioca quindi un ruolo centrale nella strategia di Ankara di penetrazione nei Balcani. Situata tra Serbia, Bosnia, Montenegro e Kosovo, la regione risulta fondamentale per la diffusione di un sentimento di vicinanza e amicizia e, soprattutto, per futuri progetti di investimenti in grado di sostenere un’area economicamente ancora in difficoltà. Nena News