Alta tensione in città: ieri sera si sono ripetuti gli scontri fuori la Spianata delle moschee. Fatah proclama per oggi una “Giornata della rabbia”. La Knesset passa in prima lettura una proposta di legge per combattere segretamente il Bds
AGGIORNAMENTO:
ore 12:30 Spianata delle moschee chiusa agli ebrei. Netanyahu dall’Ungheria sta avendo una riunione su Gerusalemme
Il comandante del distretto di Gerusalemme Yoram Halevy ha stabilito poco fa la chiusura agli ebrei della Spianata delle Moschee. La decisione è stata presa dopo che alcuni di loro, fa sapere la polizia, avevano violato “le regole di visita” al luogo sacro.
Gli estremisti ebrei (“visitatori” così li definisce la stampa israeliana) sono stati espulsi dall’Haram al-Sharif (Monte del Tempio per l’ebraismo) dopo che, libri sacri alla mano, avevano provato a pregare all’interno del compound.
Fonti all’interno dell’entourage del premier Netanyahu, intanto, fanno sapere che il primo ministro dall’Ungheria starebbe avendo una riunione su Gerusalemme con diversi ufficiali israeliani. Tra questi, scrive Haaretz, ci sarebbero i ministri della difesa e della Sicurezza pubblica, il capo dello Stato maggiore, il commissario di polizia e quello dello Shin Bet (sicurezza interna) e il coordinatore del governo per i Territori occupati.
Al momento, ha detto la fonte al quotidiano israeliano, non è stata presa alcuna decisione. Una nuova riunione dovrebbe avere luogo nel pomeriggio
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di Roberto Prinzi
Roma, 19 luglio 2017, Nena News – Si sono ripetuti anche ieri sera gli scontri tra palestinesi e polizia israeliana fuori la Spianata delle moschee a Gerusalemme dove in serata si erano radunati almeno 3.000 fedeli musulmani (presenti anche alcuni parlamentari arabi della Knesset).
Secondo un primo bilancio fornito dalla mezzaluna rossa palestinese, 14 fedeli sono rimasti feriti nei tafferugli, uno questi sarebbe in gravi condizioni. Due, invece, gli agenti rimasti lievemente contusi. Secondo la versione fornita dalle forze dell’ordine israeliane, i palestinesi avrebbero lanciato bottiglie e pietre contro i poliziotti che a quel punto avrebbero risposto disperdendoli.
L’area in cui venerdì un commando di tre palestinesi cittadini d’Israele ha sparato e ucciso 2 agenti israeliani è ormai il fulcro delle tensioni in città. Ma non è affatto migliore la situazione in altre aree di Gerusalemme est: scontri, infatti, si sono registrati anche a Silwan e Isawiyah. Il bilancio, riferisce la croce rossa palestinese, è qui di 15 persone ferite in modo leggero.
Nel tentativo di calmare gli animi, il capo dell’Alto comitato arabo, Mohammed Barakeh, e il presidente della Commissione dei sindaci arabi, Mazen Ghanaim, hanno visitato ieri pomeriggio le famiglie dei due poliziotti israeliani uccisi venerdì. La visita ha suscitato più di qualche malumore e polemica all’interno della comunità drusa a cui appartenevano le due vittime. Gli esponenti politici palestinesi d’Israele, questa è l’accusa, non avrebbero infatti condannato le uccisioni e perciò sarebbero complici degli aggressori. Per fugare ogni dubbio, Barakeh ha ieri deplorato l’attentato e ha sottolineato come la lotta della comunità palestinese d’Israele sia una battaglia popolare, politica che non istiga alla violenza e che si oppone al confronto armato e a danneggiare i luoghi sacri.
Ma se Barakeh e Ghanaim provano a fare i pompieri, ben diversa è la posizione di altri leader palestinesi furiosi per le nuove misure di sicurezze stabilite da Israele venerdì sulla Spianata delle Moschee (terzo luogo sacro dell’Islam). I palestinesi temono che queste procedure (metal detector e telecamere di sorveglianza) rientrino in una più ampia politica di Tel Aviv volta a cambiare lo status quo sul sito sacro che è sotto il controllo giordano. Di fronte al timore di vedere sull’Haram al-Sharif riproposto il modello realizzato nel 1994 da Israele a Hebron con la moschea di Abramo divisa a metà con una parte diventata sinagoga riservata per i coloni, i palestinesi chiedono che le nuove istallazioni “vengano immediatamente rimosse” senza se e senza ma. Raggiunto dall’agenzia Ma’an, Shaykh Abd al-Athim Salahb, capo del Consiglio Unito del Waqf (l’ente islamico che controlla la Spianata) è chiaro a riguardo: “L’Occupazione [Israele, ndr] vuole cambiare la situazione storica nella moschea e implementare i suoi piani per dividerla. Ma ciò è inaccettabile perché al-Aqsa, i suoi cortili, le moschee e i vicoli sono tutti di proprietà islamica”. Sulla stessa lunghezza d’onda è Sheikh Ikrima Sabri, capo dell’Alto comitato islamico. Secondo quanto riferisce Sabri, i leader religiosi stanno organizzando regolarmente riunioni nel tentativo di “resistere” ai nuovi provvedimenti israeliani.
Se Fatah, il partito del presidente palestinese Abbas, ha proclamato per oggi una “Giornata della rabbia”, le fazioni militari e politiche di Gaza non restano con le mani in mano. “Avremo la nostra parola suprema e forte se i piani sionisti [israeliani, ndr] ad al-Aqsa continueranno” hanno annunciato ieri in conferenza stampa – Non permetteremo al nostro nemico di invadere al-Aqsa, i nostri luoghi sacri, la nostra gente di Gerusalemme”. Il loro messaggio è chiaro: “l’offensiva” sull’Haram al-Sharif rappresenta la “scintilla che farà esplodere la regione”.
Con Netanyahu all’estero (ieri in Ungheria ha incontrato il premier di estrema destra Orban non senza suscitare polemiche nel mondo ebraico) a rispondere ai palestinesi è stato oggi su Facebook il sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat. “La decisione della polizia di istallare i magnometri è giusta e necessaria e preverrà altri attacchi terroristici nel sito - ha scritto il sindaco. “I leader musulmani e il mondo intero – ha aggiunto devono capire che il Monte del Tempio non può essere usato come luogo di rifugio, di pianificazione o di incontro per terroristi e assassini”. Barkat ha poi chiosato: “Consiglio ai manifestanti di rivolgere la loro rabbia ai terroristi che hanno reso necessario tutto ciò [i nuovi provvedimenti, ndr], non alla polizia”.
La coalizione governativa israeliana per ora mantiene un profilo basso: dopo le reazioni a caldo, soprattutto del “partito dei coloni” Casa ebraica, l’esecutivo con i suoi tanti falchi tace. Assenza di Netanyahu o consapevolezza che al momento è meglio abbassare i toni? Quel che è certo, però, è che la battaglia contro i “nemici” dello stato ebraico continua senza soste.
Ieri, infatti, è passata alla Knesset in prima lettura (25 voti favorevoli, 12 contrari e un astenuto) una proposta di legge che renderà la lotta contro il movimento per il Boicottaggio d’Israele (Bds) completamente segreta esentandola dalla Legge della Libertà d’informazione d’Israele che assicura ai cittadini israeliani di avere il “diritto ad ottenere informazioni dall’autorità pubblica”. Tra i promotori della proposta vi è il ministro degli Affari strategici Gilad Erdan (Likud, il partito di Netanyahu): “Le organizzazioni per il boicottaggio – ha spiegato il ministro – sono diffuse geograficamente e operano in aree differenti. Hanno costruito un network e agiscono insieme all’Autorità Palestinese. C’è una campagna di bugie che alimenta l’odio”. Di fronte a tale scenario, perciò, “uno dei principi per avere la meglio [sul Bds] è mantenere segreti i nostri metodi d’azione dato che la maggior parte delle iniziative del ministero non sono sue, ma avvengono grazie a organismi sparsi nel il mondo che non vogliono rivelare il legame che hanno con stato” ha aggiunto Erdan. La mossa del ministro non ha convinto pienamente l’opposizione che con Micky Rosenthal del centrista Campo sionista ha fatto sapere che per combattere gli attivisti “non è necessario colpire la Legge sulla Libertà d’Informazione”.
Funzionale o meno che sia, l’iniziativa ribadisce come il tema del boicottaggio continui ad essere una grossa preoccupazione per gran parte dello spettro politico israeliano (non solo del governo) e che pertanto va combattuto duramente: una legge passata soltanto lo scorso marzo impedisce agli stranieri che hanno apertamente sostenuto il Bds di entrare nel Paese. Ad ogni modo, almeno per oggi, Israele potrà tirare un sospiro di sollievo e accogliere con tutti gli onori i Radiohead che stasera si esibiranno a Tel Aviv, nonostante le pressioni del Bds e le richieste a boicottare lo stato ebraico del regista britannico Ken Loach, dell’ex Pink Floyd Roger Waters e del chitarrista dei Faithless Dave Randall.
“La musica deve creare ponti, non dividere” ha sostenuto in questi mesi Thom Yorke, il frontman del super gruppo inglese. Chi sa cosa ne penseranno i palestinesi del distretto di Betlemme che lunedì, denunciano, si sono visti sottratti da Israele 70 dunam di terra per “motivi militari”. Forse, chissà, tra rabbia e indignazione, in omaggio alla celebre band avranno commentato con un “No surprises”. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir