In un comunicato pubblicato ieri, 47 esperti indipendenti delle Nazioni Unite hanno condannato il piano israeliano di annettere parti consistenti del territorio cisgiordano a partire dal 1 luglio. Un progetto che, si legge nella nota, “intensificherà le violazioni dei diritti umani dei palestinesi”. Gli Emirati Arabi, intanto, aprono sempre più ad Israele: “Abu Dhabi può lavorare con Tel Aviv in alcuni campi”
della redazione
Roma, 17 giugno 2020, Nena News – In un comunicato pubblicato ieri, 47 esperti indipendenti dell’Onu per i diritti umani hanno condannato il piano israeliano di annettere parti consistenti della Cisgiordania occupata palestinese definendolo un progetto da “apartheid del 21esimo secolo”. Gli esperti affermano che l’occupazione israeliana del territorio cisgiordano è causa di “profonde violazioni dei diritti umani” palestinesi, innanzitutto perché nega il diritto all’autodeterminazione. Un quadro che, affermano gli autori del comunicato, “si intensificherà dopo le annessioni [israeliane]”. “Quello che resterà della Cisgiordania saranno isole separate di Bantustan palestinesi completamente circondate da Israele con nessun collegamento territoriale con il mondo esterno”. “Così – si legge ancora nella nota – la mattina successiva all’annessione ci sarà la cristallizzazione di una realtà già ingiusta: due popoli che vivono lo stesso spazio governati dallo stesso stato, ma con diritti profondamente disuguali. Questa è una visione da apartheid da 21esimo secolo”.
Secondo quanto ha riportato la scorsa settimana il portale The Times of Israel, Tel Aviv dovrebbe iniziare ad annettere il 1 luglio i tre maggiori blocchi coloniali: Maale Adumim, nella parte occupata di Gerusalemme est; Ariel, nel nord della Cisgiordania; Gush Etzion, vicino alle città palestinesi di Betlemme e Hebron. In una seconda fase, a settembre, sarà annessa la Valle del Giordano.
Se Israele può procedere con il suo progetto di annessioni è perché ha la copertura statunitense: le annessioni sono state infatti sdoganate dal cosiddetto “Piano del Secolo” rivelato a gennaio dal presidente Usa Donald Trump. Il piano permette ad Israele di accaparrarsi di un terzo della Cisgiordania in cambio di un riconoscimento di uno stato palestinese disunito con nessun controllo sui suoi confini terrestri e del suo spazio aereo. Un progetto che è stato immediatamente respinto dai palestinesi. Proprio al “Piano del Secolo” gli esperti dell’Onu hanno fatto implicitamente riferimento ieri quando hanno espresso nel loro comunicato “grande rammarico” per il ruolo di Washington nel “sostenere e incoraggiare i progetti illegali israeliani”. Gli Usa, sottolineano gli autori, dovrebbero invece “opporsi con forza” alla violazione del diritto internazionale “piuttosto che agevolarne attivamente le sue infrazioni”.
Per ora non c’è stato alcun commento da parte del governo israeliano sul documento degli esperti. Soddisfazione, invece, è stata espressa a Ramallah, sede dell’Autorità nazionale palestinese. Il capo negoziatore Saeb Erekat ha parlato di “promemoria per la comunità internazionale delle sue responsabilità, della gravità della situazione e dell’urgenza di implementare misure che pongano fine all’impresa coloniale illegale [israeliana]”.
Non sono giunte solo cattive notizie ieri per Israele. Intervenendo alla conferenza del Comitato degli ebrei americani (Ajc), il ministro degli esteri degli Emirati Arabi, Anwar Gargash, ha detto che comunicare con Israele è importante e darebbe maggiori risultati rispetto ad altre strade prese nel passato. Non solo: Gargash ha sostenuto che Abu Dhabi può lavorare con Tel Aviv in alcuni campi, come ad esempio nella lotta contro il Coronavirus o nel settore tecnologico, nonostante le differenze politiche tra i due Paesi.
Le sue parole sono state definite “storiche” dall’Ajc e giungono a distanza di pochi giorni dall’editoriale pubblicato sul quotidiano israeliano Yediot Ahronot di un altro alto ufficiale emiratino in cui, se da un lato si sosteneva che Israele non può aspettarsi di normalizzare le relazioni con il mondo arabo qualora dovesse decidere di annettere parti della Cisgiordania, dall’altro si ammetteva implicitamente che lo status quo attuale (quindi di occupazione e senza alcuna pre-condizione) basta agli Emirati per intraprendere relazioni politiche alla luce del sole con quella che un tempo (ormai un passato lontano) era definita nel mondo arabo “entità sionista”.
“Posso avere un disaccordo politico con Israele, ma allo stesso tempo provo a creare un ponte in altre aree? Penso di sì e penso che è dove fondamentalmente siamo”, ha detto ieri Garghash. Di fatto l’ennesima dichiarazione di normalizzazione dei rapporti tra emiratini e israeliani. Nena News