Il Paese negli ultimi tre anni ha visto infrangersi il sogno rivoluzionario che nel 2011 ha portato all’inaspettata fine del regime trentennale di Mubarak. Le ragioni di sicurezza sono usate per reprimere il dissenso
della redazione
Roma, 4 luglio 2014, Nena News – È stato un anniversario segnato da attentati dinamitardi, blitz anti-terrorismo e manifestazioni represse con la forza quello di ieri in Egitto, dove è trascorso un anno dal golpe militare (il 3 luglio 2013) che ha deposto l’ex presidente Mohammed Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani e primo capo di Stato del Paese salito al potere in elezioni libere, ora in carcere assieme a centinaia di sostenitori della Fratellanza.
Ieri sera due ordigni sono esplosi nello scompartimento di un treno nella città di Alessandria, ferendo almeno nove persone, tra cui un bambino in maniera grave, mentre al Cairo sono state detonate diverse bombe artigianali in differenti punti della capitale: due persone hanno perso la vita. Gli ordigni sono stati piazzati in un appartamento del distretto di Kerdasa, in un’automobile nei pressi del palazzo presidenziale e altre tre bombe sono esplose a Imbaba. Al momento gli attacchi non sono stati rivendicati, ma sono diventati quasi quotidiani come le manifestazioni dei sostenitori di Morsi, che continuano dal 3 luglio dell’anno scorso, quando le proteste popolari portarono al potere il generale Abdel Fattah al-Sisi, consacrato alla guida del Paese dalle recenti presidenziali.
Ieri le proteste in diverse città egiziane sono state represse dall’intervento della polizia, sostenuta da una serie di leggi liberticide approvate nell’ultimo anno e dalla messa al bando del movimento islamico Fratelli Musulmani. Norme che impediscono le manifestazioni e hanno mandato in carcere migliaia di persone con generiche accuse di “terrorismo”, tra cui tanti membri di quell’opposizione laica che nel 2011 scese in piazza per cacciare, riuscendoci, Hosni Mubarak. In cella anche alcuni giornalisti della tv qatariota Al Jazeera. Una stretta repressiva che ha fatto centinaia di morti e ha scatenato la condanna internazionale, ma continua a essere giustificata da ragioni di sicurezza. Ieri Amnesty International ha denunciato torture e stupri nelle prigioni egiziane, ottenendo la risposta stizzita del governo del Cairo: “Menzogne prive di alcuna logica”.
L’ultimo anno ha visto anche l’emergere di gruppi islamici radicali che hanno preso di mira caserme e check point, soprattutto nell’instabile Penisola del Sinai, dove ieri la polizia ha detto di avere ucciso 17 jihadisti in una sparatoria. Gli attentati contro militari e poliziotti sono stati spesso attribuiti alla Fratellanza che dal canto suo ha sempre negato ogni coinvolgimento.
L’Egitto negli ultimi tre anni ha visto infrangersi il sogno rivoluzionario che nel 2011 ha portato all’inaspettata fine del regime trentennale di Mubarak. Dopo la vittoria della Fratellanza alle urne e il golpe militare di un anno fa, il cammino verso uno Stato democratico sembra essersi fermato. Ogni forma di dissenso è silenziato da rigide norme liberticide giustificate da ragioni di sicurezza, mentre il presidente al Sisi continua a promettere una transizione democratica. Nena News