Nel corso della storia, le donne algerine hanno combattuto contro le ingiustizie a lavoro, in casa e sui campi di battaglia, ma il loro contributo viene celebrato solo in parte
di Ouissal Harize* Middle East Eye
* (Traduzione a cura di Valentina Timpani)
Roma, 13 lugli0 2020, Nena News – Nel corso della storia algerina sotto il dominio francese le donne hanno svolto un ruolo fondamentale nella lotta per l’autodeterminazione, nella protezione e nello sviluppo della cultura e delle tradizioni nazionali.
Ciò è stato particolarmente evidente durante la Guerra d’Indipendenza (1954-1962), quando gli algerini lottarono per liberare il paese nordafricano da 132 anni di dominio francese in una battaglia che sarebbe poi diventata simbolo della feroce resistenza rivoluzionaria.
Guidate dalla determinazione di liberare l’Algeria a tutti i costi, le donne presero parte alla battaglia ricoprendo un’ampia varietà di ruoli: come combattenti paramilitari, autiste, organizzatrici di raccolte fondi, infermiere, cuoche e comunicatrici
Una delle tante tattiche spesso adottata dalle agenti donne durante la guerra era di fare da ponte tra i soldati algerini e il resto della popolazione, in modo da raccogliere fondi e diffondere notizie sulla rivoluzione. Paradossalmente, nel prendere parte a operazioni così rischiose, le algerine sovvertirono strategicamente lo stereotipo coloniale della donna autoctona, mite e remissiva, che era stato loro attribuito dall’inconsapevole esercito francese.
Il 5 luglio 1962 la rivoluzione si concluse con la liberazione dell’Algeria. Ma mentre una battaglia finiva, altre sarebbero presto iniziate per la popolazione femminile del paese.
Le donne algerine avrebbero continuato a impegnarsi attivamente nella politica nazionale negli anni che seguirono l’indipendenza, combattendo contro il patriarcato, la misoginia e l’alienazione politica da parte di ex compagni combattenti che non vedevano di buon occhio la loro presenza al tavolo governativo del nuovo stato.
Nonostante i molti ostacoli che hanno affrontato, le donne algerine sono rimaste socialmente e politicamente attive. Lo si può notare dal loro ritorno in prima linea nel lancio del movimento popolare Hirak, così come nella rivoluzione del sorriso.
Le proteste si sono innescate dopo l’annuncio del 10 febbraio 2019 da parte dell’ex presidente Abdelaziz Bouteflika, in cui riferiva che si sarebbe candidato per quello che sarebbe stato il suo quinto mandato. L’Hirak è riuscito a cacciarlo, ma la lotta per demolire la struttura dell’intero regime continua.
Nonostante gli enormi contributi storici, le donne iconiche dell’Algeria restano in qualche modo sconosciute al di fuori del Grand Maghreb e del mondo arabo.
Ecco otto donne algerine rivoluzionarie il cui sprezzo delle norme sociali e di genere ha conferito loro un posto nella storia.
Lalla Fadhma N’Soumer (1830–1863)
Nata in una famiglia di marabutti nel 1830 (durante la caduta dell’Algeria sotto il dominio francese) in un paese chiamato Soumer nella regione della Cabilia, Lalla Fadhma N’Soumer è rinomata per essere un’icona della militanza armata femminile e un’autorità religiosa islamica del tempo.
Famosa per il suo intelletto e per la sua ferocia, guidò la prima ondata di resistenza (1850-1857) contro la Francia dopo la morte di Cherif Boubaghla nella battaglia del 26 dicembre 1854.
I nemici la chiamavano la Giovanna D’Arco delle montagne Djurdjura per le sue campagne militari, ma ci si rivolgeva a lei anche chiamandola “lalla” o “signora” a volerne indicare l’onore e la santità.
Nel suo articolo su Lalla N’Soumer, la studiosa Samia Touati racconta che il giorno in cui la donna venne catturata dall’esercito francese, Marshal Jacques Louis Cesar Alexandre Randon (1795-1871) le chiese perché i suoi uomini resistevano violentemente contro le truppe francesi.
N’Soumer rispose: “L’ha voluto Dio. Non è colpa tua, né mia. I tuoi soldati sono usciti dai ranghi per introdursi nel mio villaggio. I miei si sono difesi. Ora io sono tua prigioniera. Non ho niente di cui biasimarti. Tu non dovresti avere niente di cui biasimarmi. Era scritto così!”
Zoulikha Oudai (1911-1957)
Nata nel 1911 con il nome Yamina Echaib da una famiglia istruita di Hadjout, l’impegno di Zoulikha di combattere in nome della libertà ebbe inizio con il ruolo di mediatrice tra il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) e il popolo algerino.
Il FNL, un partito nazionalista formato nel 1954, che continuò a governare l’Algeria dopo l’indipendenza, inizialmente resisté al colonialismo francese con l’impiego di guerriglie paramilitari.
La segretezza delle operazioni d’indipendenza dell’Algeria giustificava la necessità di mediatori come Oudai per contattare individualmente le famiglie algerine e raccogliere fondi per il FLN confidenzialmente.
Nell’ottobre del 1957, l’esercito francese arrestò Oudai e la torturò per dieci giorni.
Dopo che la donna si rifiutò di divulgare informazioni segrete, i soldati francesi la spinsero giù da un elicottero, facendole guadagnare il titolo di “madre dei martiri”.
La scrittrice algerina Assia Djebar evoca la figura di Zoulikha Oudai nel film del 1977, La nouba des femmes du Mont Chenoua e nel romanzo del 2002 La femme sans sepulture (“La donna senza sepoltura”).
Djamila Bouhired (1935 – )
Nata nel 1935 nello storico quartiere di Al-Casbah ad Algeri, la militante Djamila Bouhired mostrò segni precoci di leadership politica già nei primi anni della sua infanzia. Quando studiava in una scuola francese, una volta cantò ribelle “la nostra madre è l’Algeria” invece che “la nostra madre è la Francia”.
All’età di venti anni, Bouhired si unì con entusiasmo al FNL e più avanti ai Fedayeen (militanti armati) per prendere parte alla guerriglia contro i coloni francesi.
Dopo essere stata arrestata nel 1957, Bouhired fu torturata: subì percosse, bruciature e scariche elettriche nella prigione di Reims, dove era stata incarcerata.
Attivisti di tutto il mondo marciarono per chiederne la scarcerazione. Alla loro richiesta si unirono il rinomato poeta siriano Nizar Qabbani, il regista egiziano Youssef Chahine, il leader sovietico Nikita Khrushchev e il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser.
Bouhired fu celebrata da personalità chiave della zona: Nasser la ricevette in Egitto, Qabbani scrisse una poesia su di lei, la cantante libanese Fairuz le dedicò una canzone, e Chainine diresse il film del 1958 sulla sua vita: Jamila, l’algerina. Bouhired partecipò anche alla produzione italo-algerina del 1966 La battaglia di Algeri.
Tuttavia, dopo l’indipendenza i combattenti maschi del FNL la allontanarono deliberatamente dalla scena politica. Nonostante ciò Bouhired ha deciso di combattere ancora un’altra battaglia contro l’elezione di Bouteflika, marciando lo scorso anno accanto ai giovani studenti attivisti.
Esasperata dall’ingiustizia del patriarcato, ha affermato il ruolo delle donne nella liberazione dell’Algeria annunciando durante le proteste: “Il nostro sangue è lo stesso degli uomini. Il nostro sangue non è acqua. Il nostro sangue è sangue.”
Louisette Ighilahriz
Nata nel 1936, la militante e autrice Louisette Ighilahriz ha dedicato la sua gioventù alla rivoluzione algerina lavorando come corriere per trasportare i documenti e le armi del FLN.
Ighlahriz ha documentato la sua incarcerazione e la tortura per mano dei francesi nell’ autobiografia Algerienne. Un resoconto che non solo testimonia il coinvolgimento attivo delle donne durante la guerra algerina, ma mette anche in luce il vasto impiego della tortura da parte dei francesi, che è stata finalmente riconosciuta nel 2018.
Sono passati decenni prima che Ighilahriz fosse pronta a parlare degli orrori che ha dovuto subire. Nel suo libro fornisce un racconto doloroso del trattamento disumanizzante che subì mentre era in prigione, le percosse e lo stupro per mano del capitano dell’esercito francese Jean Graziani.
In aggiunta alla tortura fisica, Ighilahriz era costretta a vivere nei suoi escrementi: “La mia urina fuoriusciva dal lenzuolo che copriva il letto, gli escrementi si mischiavano al sangue mestruale e formavano uno strato disgustoso” che la spinsero sull’orlo della follia.
Il resoconto di queste torture è simile alle narrazioni di altre attiviste, inclusi la biografia Pour Djamila Bouhired di Jacques Verges (1957), La question di Henri Alleg (1961) e Djamila Boupacha (1962) di Gisele Halimi. Ighilahriz è stata, tuttavia, la prima donna algerina a parlare apertamente di stupro in un’autobiografia.
Oggi, la ottantatreenne resta attiva, parla del tradimento della rivoluzione da parte dei suoi stessi militanti dopo l’indipendenza e partecipa alla rivoluzione odierna.
Zohra Drif (1934 – )
Nata da una famiglia altolocata nel 1934, fu l’istruzione di Zohra Drif, avvocata in pensione e politica, che la portò a sviluppare solide posizioni anti-coloniali e femministe, che la spinsero a impegnarsi attivamente nel FLN.
Nel suo memoir, Drif racconta la gioia di avere accesso alle informazioni sulla resistenza mentre era all’università.
“Avevamo finalmente accesso alle pubblicazioni di molti partiti e associazioni compreso il nostro movimento nazionale: La Republique Algerienne dell’UDMA, L’Algerie Libre del PPA-MTLD; ed El Bassair, pubblicato dall’oulema. La stampa ci portava informazioni, articoli d’opinione e analisi da parte di diverse prospettive, mentre le conferenze tenute proprio da coloro che erano coinvolti nelle prime battaglie ci diedero gli strumenti per separare il buono dal cattivo”.
Dopo l’indipendenza Drif continuò il suo impegno politico sia come avvocata che come membro del Consiglio Algerino della Nazione. La sua autobiografia Mémoires d’une combattante de l’ALN: Zone Autonome d’Alger è una testimonianza della sua lotta durante la rivoluzione algerina. Il suo attivismo femminista è continuato dopo l’indipendenza come critica verso alcune delle politiche del governo.
Quando nel 1981 venne proposto un nuovo codice familiare islamico che avrebbe sostanzialmente limitato i diritti delle donne in casa, Drif si unì alle compagne femministe che si riversarono per le strade di Algeri chiamandolo il “codice dell’infamia”.
Drif si è anche unita alle masse che hanno marciato contro la candidatura dell’ex presidente Abdelaziz Bouteflika a un quinto mandato in Algeria lo scorso anno, chiedendo le dimissioni del presidente e opponendosi allo stato militare.
Salima Ghezali (1958 -)
Membro fondante del gruppo Donne in Europa e in Maghreb e presidente dell’Associazione per l’Avanzamento delle Donne, ad Algeri, Salima Ghezali è famosa per il suo ruolo attivo nella lotta contro il fondamentalismo durante la guerra civile degli anni 90 in Algeria.
L’ascesa del patriarcato islamista in Algeria fu delineata, sulla scena politica, dalla proposta di un nuovo codice familiare nel 1981 che designava il patriarca uomo come capo di ogni famiglia, conferendogli così autorità sulle donne.
Lavorare come editrice del settimanale La Nation mise la vita di Ghezali in serio pericolo a causa della sua ferma opposizione politica al governo dell’ex presidente Chadli Benjedid e al partito islamista (FIS). Il suo dissenso contro la censura fece infuriare sia gli islamisti che i funzionari di governo.
Il coraggio di Ghezali in quanto giornalista e femminista è stato riconosciuto in tutto il mondo; ha ricevuto encomi da parte del World Press Review e del parlamento europeo.
Nour El houda Dahmani e Nour El houda Oggadi
La rivoluzione di oggi è costruita sulle spalle delle lotte del passato. Le giovani studentesse Nour El houda Dahmani e Nour El houda Oggadi sono due donne che si sono unite alle marce anti-corruzione lo scorso anno per chiedere riforme democratiche attese da tempo e un sistema politico che rappresenti il suo popolo giovane.
L’attivista e studentessa di giurisprudenza Nour El Houda Dahmani, 22 anni, è stata arrestata a settembre del 2019 mentre marciava nelle proteste guidate dagli studenti del movimento Hirak contro le elezioni presidenziali imposte militarmente.
Dhamani, che nel momento in cui è stata arrestata aveva un cartellone con la scritta: “Tutti i corrotti devono essere ritenuti responsabili”, è diventata presto uno dei molti volti iconici della rivoluzione del sorriso.
Nonostante Dahmani abbia affermato che non è stata maltrattata in prigione, l’esperienza dell’incarcerazione è stata traumatica. Dahmani è stata supportata da un vasto numero di persone, come ha spiegato lei stessa in un’intervista alla Berbère Télévision: “Quando ho letto gli articoli scritti su di me, e ho sentito le persone dell’Hirak che marciavano per chiedere la mia scarcerazione, la prigionia non mi è sembrata più una cosa così crudele”.
Dopo essere stata scarcerata, Dhamani aveva un solo obiettivo: tornare all’università anche se aveva perso un intero semestre.
Come Dhamani, Nour El houda Oggadi è una studentessa e attivista arrestata un paio di mesi dopo, il 19 dicembre. È stata accusata di “aver disincentivato l’esercito” a causa dei suoi post sui social media e dei cartelli che portava mentre marciava, che erano parte delle richieste affinché l’Algeria funzionasse come uno stato civile, non militare. Oggadi ha passato 45 giorni in prigione.
La prigione non l’ha scoraggiata; dopo la scarcerazione, Oggadi ha affermato di essere orgogliosa del suo ruolo nell’Hirak, che descrive come “la nascita di una nuova generazione”.
Le due studentesse sono diventate potenti simboli della resistenza femminile in Algeria, due di una lunga schiera di donne che combattono contro la tirannia e l’ingiustizia. Nena News