L’attentato è avvenuto ieri nel villaggio di Jaw (a sud di Manama). La tensione resta alta nel Paese dove continua il duro giro di vite di re Hamad contro gli oppositori
della redazione
Roma, 27 febbraio 2017, Nena News – Non si placano le tensioni nel Bahrain. Ieri quattro poliziotti sono rimasti feriti in un attacco bomba vicino al villaggio di Jaw, a sud della capitale Manama. A riferirlo è stata una nota del ministero degli Interni. Le condizioni degli agenti, si legge in un breve comunicato ufficiale, sarebbero “stabili”. Non è la prima volta che Jaw è teatro di episodi di violenza: a inizio anno alcuni uomini armati hanno attaccato la prigione locale – dove sono detenuti per lo più manifestanti anti-governativi – uccidendo un poliziotto e facendo scappare 10 reclusi.
La tensione è altissima presso la comunità sciita del Paese (la maggioranza in una monarchia però sunnita) da quando lo scorso mese sono stati giustiziati tre oppositori per la presunta uccisione di tre poliziotti. Le loro confessioni, secondo infatti i centri per i diritti umani, sarebbero state estorte con la tortura. A scaldare gli animi è stata anche la recente uccisione in circostanze oscure di quattro ricercati da parte della polizia.
A fomentare le tensioni poi vi sono anche le decisioni delle autorità bahrenite. La scorsa settimana, infatti, la Camera Bassa dell’Assemblea Nazionale, controllata da re Hamad bin Isa al-Khalifa, ha approvato un emendamento alla Costituzione che consentirà ai tribunali militari di processare i civili. L’obiettivo è chiaro: la monarchia sunnita sta imponendo sempre di più un rigido stato di polizia nel piccolo arcipelago del Golfo optando per la strada dello scontro con il movimento per le riforme emerso in Piazza della Perla nel 2011.
Una violenza che re Hamad può adoperare senza grossi problemi a livello internazionale grazie alla sua forte alleanza con l’Arabia Saudita, con paesi europei (anche l’Italia) ma soprattutto con Inghilterra e Stati Uniti. Washington ha qui la base della V Flotta e giustifica le misure liberticide con l’urgenza di combattere un “complotto” messo in atto dal vicino (e “nemico”) Iran. Resta da capire come il movimento di opposizione, per anni rimasto pacifico, continuerà la sua mobilitazione anti-regime. L’impressione è che sempre più giovani siano ormai stanchi dall’assenza di risultati politici ottenuti dalle pratiche non violente e comincino a sfidare la leadership storica dell’opposizione bahrenita. Intervistato la scorsa settimana dal Manifesto, il leader del partito socialista Waad, Ibrahim Sharif, ha detto che finora “solo un gruppo ha compiuto operazioni armate contro le forze di sicurezza” assicurando che gli oppositori a re Hamad continueranno a scegliere la strada della non violenza.
L’impennata della repressione operata da re Hamad si è registrata lo scorso giugno: nel giro di due settimane per futili motivi o per capi d’accusa mai provati è stata tolta la nazionalità all’importante guida religiosa sciita Shaykh Isa Qassim, è stato bandito il principale partito di opposizione (al-Wefaaq), è stato arrestato il noto attivista dei diritti umani Nabeel Rajab ed è stata costretta all’esilio la dissidente Zeinab al-Khawajah perché minacciata di essere nuovamente arrestata per un periodo di tempo indefinito. Si tenga presente poi che Ali Salman, il leader di al-Wefaaq, è in prigione dove sta scontando una pena di nove anni.
Accanto a questi casi più celebri, vi sono le storie degli oppositori meno noti che, da un giorno all’altro, si ritrovano dietro le sbarre a scontare pene ingiuste (spesso per reati non commessi) nell’indifferenza della comunità internazionale.
Ma se boia e carcerieri parlano arabo ad assisterli ci sono occidentali, soprattutto di madrelingua inglese. Lo scorso ottobre, infatti, l’organizzazione non governativa britannica Reprieve ha affermato che la compagnia Northern Ireland Co-operation Overseas (NI-CO) avrebbe ricevuto almeno un milione di sterline nel 2015 per collaborare con il ministero degli interni del Bahrain. Secondo i dati offerti dalla ong, due anni fa sono stati più di una dozzina gli esperti del NI-CO che hanno lavorato nelle carceri bahrenite per formando circa 400 guardie.
Harriet McCulloch, la vice direttrice della organizzazione britannica, ha puntato il dito contro il Regno Unito perché insabbierebbe i casi di tortura che avvengono nel piccolo arcipelago arabo. Downing Street finge di non vedere: in ballo c’è l’apertura ormai prossima di una base militare britannica in Bahrain. E, soprattutto, fiumi di denaro pronti a entrare nella casse di Londra: il tour della premier May nel Golfo qualche mese fa lo ha confermato. Nena News