Il regno è in fermento da 3 anni. La mobilitazione popolare nata sull’onda delle primavere arabe è stata repressa nel sangue dalla dinastia sunnita dei Khalifa e sono finiti in manette decine di attivisti, blogger, giornalisti, avvocati e persino i medici che hanno soccorso i manifestanti feriti
della redazione
Roma, 27 febbraio 2014, Nena News – La morte in custodia del 23enne Jaffar Mohammed Jaffar ha scatenato polemiche in Bahrein. Il gruppo sciita di opposizione Wefaq ha accusato le autorità di avere torturato e sottoposto a elettroshock il giovane deceduto ieri nell’ospedale Salmaniya, dove era ricoverato da settimane.
È il secondo caso dall’inizio dell’anno: l’8 gennaio il ventenne Fadhel Abbas era morto in cella in seguito a una ferita da arma da fuoco subita durante l’arresto. Jaffar, invece, soffriva di anemia falciforme, ma il ministero dell’Interno non ha chiarito come la patologia abbia contribuito alla sua morte che i famigliari attribuiscono ai maltrattamenti subiti in carcere. Era stato arrestato a dicembre nell’ambito di un’operazione anti-terrorismo ed era accusato assieme a molti altri sospettati di traffico di armi e di complotto contro il regno.
Il Bahrein è in fermento da tre anni. La mobilitazione popolare nata sull’onda delle primavere arabe, è stata repressa nel sangue dalla dinastia sunnita dei Khalifa e sono finiti in manette decine di attivisti, blogger, giornalisti, avvocati e persino i medici che hanno soccorso i manifestanti feriti. Le organizzazioni per la tutela dei diritti umani, tra cui Amnesty International e Human Rights Watch, hanno denunciano abusi e torture nelle carceri bahreinite. Inoltre, tanti attivisti con l’anemia falciforme, malattia molto diffusa tra la popolazione del regno, sono morti in seguito a complicazioni legate alla patologia mentre erano in prigione. Secondo l’opposizione, non hanno ricevuto le cure adatte. Il timore degli arresti ha anche dissuaso molti malati dal rivolgersi ai servizi sanitari, aumentando la mortalità legata a questa malattia. Inoltre, un esperto ha detto alla Bbc che l’impiego massiccio di gas lacrimogeno potrebbe avere contribuito al peggioramento delle condizioni di salute di molti malati.
Sono i risvolti di una repressione che nel quasi totale silenzio internazionale prosegue da tre anni, mentre la rivolta popolare ha assunto caratteri settari: la maggioranza sciita contro la minoranza sunnita che governa questo piccolo arcipelago che si affaccia sul Golfo Persico, da sempre attraversato da tensioni religiose. Un alleato strategico di Washington in funzione anti-Teheran e terreno di confronto tra due potenze regionali: l’Iran sciita e il regno sunnita dei Saud.
Nel 2011, la protesta fu soffocata nel sangue con il sostegno dei soldati inviati dal Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG), sorta di Nato dei Paesi della penisola arabica dominato dall’Arabia Saudita. Piazza della Perla, nel cuore di Manama, diventata il simbolo della primavera bahreinita, fu sgomberata con la forza, mentre re Hamad bin Isa Al Khalifa proclamava la legge marziale. Sono seguite leggi liberticide che impediscono ogni dissenso e di recente hanno portato alla condanna a morte di un manifestante sciita accusato di avere ucciso un poliziotto durante una dimostrazione. Nei confronti dei poliziotti accusati di avere torturato e ucciso manifestanti in cella, invece, sono state applicate pene leggere. Ma non tute le proteste sono state pacifiche: i villaggi sciiti sono spesso stati teatro di attentati contro le caserme.
Da oltre un anno si è aperto un negoziato tra il governo di Manama e l’opposizione sciita, ma la trattativa resta al palo. Le riforme istituzionali invocate dalla piazza per dare maggiore rappresentanza ai sudditi del regno non sono state accolte e le promesse di riforme non sono state mantenute. Nena News