La protesta iniziata sull’onda delle primavere arabe ha assunto un carattere settario, con la maggioranza sciita che lamenta discriminazioni e vessazioni da parte delle autorità dominate dai sunniti. Le Ong denunciano violazioni dei diritti umani
della redazione
Roma, 19 febbraio 2014, Nena News – La stretta repressiva in Bahrein continua a mandare in carcere, con pene pesantissime, gli attivisti che da tre anni scendono in strada per protestare contro il regime della dinastia sunnita al Khalifa che guida il piccolo regno della penisola arabica da quasi duecento anni. La protesta iniziata sull’onda delle primavere arabe ha ormai assunto un carattere settario, con la comunità sciita, la maggioranza della popolazione, che lamenta discriminazioni e vessazioni da parte delle autorità dominate dai sunniti.
Oggi un uomo, uno sciita, è stato condannato a morte (di solito questa pena è commutata in carcere a vita) e altri sei all’ergastolo per l’omicidio di un poliziotto l’anno scorso, durante una manifestazione in un villaggio vicino alla capitale Manama. Il poliziotto è stato colpito da una bomba carta durante gli scontri, sempre più frequenti nel regno, tra dimostranti e forze di sicurezza. Gli imputati sono stati anche condannati per “manifestazione non autorizzata”, come prevede una delle leggi liberticide approvate dal governo di Manama per mettere il bavaglio alle proteste che da tre anni scandiscono la vita del piccolo arcipelago affacciato sul Golfo Persico. Al contrario, nei confronti dei poliziotti accusati di avere torturato e ucciso manifestanti in cella sono state applicate pene leggere. Ma non tute le proteste sono state pacifiche: i villaggi sciiti sono spesso stati teatro di attentati contro le caserme.
Il Bahrein è in fermento, ma la mobilitazione popolare resta quasi del tutto ignorata dalla stampa internazionale, mentre basta poco per finire in manette. Le organizzazioni per la tutela dei diritti umani denunciano abusi e maltrattamenti, torture nelle carceri dove sono stati rinchiusi molti minorenni, blogger, giornalisti, avvocati, attivisti per i diritti umani e persino i medici che avevano soccorso i dimostranti feriti.
Nel 2011, la protesta era stata soffocata nel sangue con il sostegno dei soldati inviati dal Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG), sorta di Nato dei Paesi della penisola arabica dominato dall’Arabia Saudita. Piazza della Perla, nel cuore di Manama, diventata il simbolo della primavera bahreinita, fu sgomberata con la forza, mentre il sovrano proclamava la legge marziale e il governo imponeva la chiusura del quotidiano Al Wasat, colpevole di avere criticato l’esecutivo. L’attacco ai manifestanti in presidio da settimane nella piazza iniziò il 14 marzo del 2011 e fece decine di morti. Una commissione d’inchiesta (la Bahrain Independent Commission of Inquiry-BICI) nominata dallo stesso re Hamad bin Isa Al Khalifa ha stabilito che in quel mese di repressione, dalla metà di febbraio alla metà di marzo del 2011, c’è stata una sistematica violazione dei diritti dei manifestanti e contro gli arrestati è stata usata la tortura fisica e psicologica, ma non sono stati fatti i nomi dei colpevoli.
Questo piccolo regno è stato sempre attraversato da tensioni religiose tra la maggioranza sciita e i sunniti che sono al potere. Inoltre, ha una notevole rilevanza strategica per gli alleati occidentali, in particolare per gli Stati Uniti che qui hanno la loro V flotta, quella impegnata nel conflitto in Afghanistan, ed è al centro del confronto tra due potenze regionali: l’Iran sciita e il regno sunnita dei Saud.
Un anno fa si è aperta una fase di dialogo tra il governo e l’opposizione sciita, segnata però da continui stop dovuti alla stretta repressiva di Manama. Sul tavolo della trattativa ci sono le riforme istituzionali per garantire una maggiore rappresentanza e partecipazione ai cittadini del regno, diventato una monarchia costituzionale nel 2002. Ma la fine del sultanato e una serie di riforme calate dall’alto non hanno intaccato l’oligarchia sunnita né il potere assoluto del monarca che ha sempre l’ultima parola su tutto: il re nomina il Consiglio della Shura che ha diritto di veto sulla Camera bassa che è invece eletta. Nena News