Gli accordi di Oslo hanno confermato lo status quo laddove il governo israeliano mantiene il controllo sul 70% delle acque mentre ai palestinesi ne viene destinato soltanto il 17% e ciò che resta viene preso dagli insediamenti coloniali.
di Rosa Schiano
Roma, 30 settembre 2015, Nena News – A 20 anni dagli accordi di Oslo II, firmati nel settembre 1995, EWASH (Emergency Water and Sanitation-Hygiene Group ) ha pubblicato lunedì un appello rivolto alla comunità internazionale ed alle comunità locali affinché garantiscano il diritto dei palestinesi all’acqua. Il gruppo, fondato nel 2002, si pone l’obiettivo di coordinare il lavoro nel settore dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari e migliorarne le condizioni. Tra i suoi membri figurano l’UNICEF, la UNRWA, l’UNDP, la Oxfam, i Palestinian Agricultural Relief Committees (PARC), Save the Children ed altre organizzazioni palestinesi e internazionali.
Gli accordi del 1995, firmati in quanto accordi temporanei per un periodo di transizione che non avrebbe dovuto eccedere i 5 anni, delineano, tra le altre cose , norme riguardanti l’accesso all’acqua in Cisgiordania e Striscia di Gaza (Articolo 40). Queste disposizioni hanno favorito la conservazione dello status quo laddove il governo israeliano mantiene il controllo sul 70% delle acque delle falde acquifere montane, fonti di acqua sotterranea condivise fra Israele e lo Stato occupato di Palestina, mentre, specifica il documento, ai palestinesi ne viene destinato soltanto il 17% e ciò che resta viene preso dagli insediamenti coloniali. In questo modo, gli accordi hanno creato un sistema discriminatorio nella gestione e distribuzione delle risorse idriche tra Israele e Palestina. Oltre a controllare le risorse di acqua sotterranee, Israele ha negato ai palestinesi l’accesso fisico al fiume Giordano, l’altra risorsa principale di acqua dolce in Cisgiordania ed ha impedito loro di godere di questa risorsa sin dall’occupazione della Cisgiordania nel 1967.
Questo squilibrio di potere delineato negli accordi si riflette nella dura realtà sul campo, si legge nel documento, poiché 20 anni dopo i palestinesi non sono stati ancora in grado di ottenere una equa condivisione delle risorse idriche. In Cisgiordania, i palestinesi hanno accesso a meno acqua pro capite rispetto al 1995 a causa delle continue restrizioni del governo israeliano sullo sviluppo delle infrastrutture essenziali palestinesi , in particolare la costruzione di pozzi. La distribuzione di acqua palestinese prelevata da queste risorse condivise è rimasta bloccata ai livelli del 1995, ma i loro reali livelli di prelievo si sono abbassati rispetto a quelli documentati in Oslo, nonostante la popolazione palestinese sia da allora raddoppiata. Infatti, la percentuale di palestinesi che ricevono acqua dalle falde acquifere delle montagne negli ultimi anni è diminuita del 10-20% rispetto alla percentuale rilevata nel 1995.
Mentre gli accordi temporanei di Oslo dovevano essere la base per una equa e giusta condivisione transfrontaliera dell’acqua, in realtà i palestinesi attualmente utilizzano non oltre l’11% della cosiddetta “Montagna acquifera”, ossia dei bacini sotterranei, mentre il governo di Israele rivendica il resto, mantenendo così il controllo sulle risorse di acqua trasfontaliere. L’accesso insufficiente all’acqua in Cisgiordania e soprattutto la bassa qualità di acqua a Gaza espongono i palestinesi a rischi di malattie e impedisce lo sviluppo di mezzi di sussistenza sostenibili.
Non è finita qui. Paradossalmente, a causa della iniqua distribuzione delle risorse idriche definita da Oslo, i palestinesi sono sempre più dipendenti dall’acquisto di acqua israeliana per soddisfare i propri bisogni essenziali. Il 30% di tutte le riserve idriche comunali disponibili ai palestinesi è acquistata da Israele, riporta EWASH.
Gli accordi di Oslo non solo si sono rivelati discriminatori nella spartizione delle risorse idriche, ma hanno anche imposto il controllo del governo israeliano sull’Area C e la necessità di ottenere approvazione e permessi da parte del governo israeliano per lo sviluppo e la manutenzione delle infrastrutture per l’acqua e servizi igienico-sanitari in quest’area che rappresenta oltre il 60% della Cisgiordania. Negli ultimi anni, il 94% delle richieste palestinesi di permessi per la costruzione in Area C è stata respinta. Solo dall’inizio del 2015, 36 strutture dalla EWASH sono state distrutte dalle autorità israeliane in Area C, per lo più per assenza di permessi di costruzione.
Nella Striscia di Gaza, meno del 5% delle acque estratte dalla falda acquifera costiera, l’unica risorsa di acqua dolce disponibile per i palestinesi di Gaza, è potabile. Essa infatti è in gran parte contaminata da nitrati e cloruro e presenta un alto tasso di salinità soprattutto nelle zone che affacciano sul mare. Secondo Oslo, il governo di Israele sarebbe stato obbligato a raddoppiare il rifornimento di acqua verso Gaza durante il periodo temporaneo dei 5 anni. Fu calcolata allora una certa quantità di acqua in base alla popolazione del 1995, ma soltanto nel 2015, venti anni dopo, Tel Aviv ha accettato di vendere a Gaza una quantità aggiuntiva di acqua, quando ormai la popolazione della Striscia è raddoppiata e tale risorsa soddisfa ora solo il 5% dei bisogni dei residenti della Striscia.
Il rapporto conclude affermando che solo cambiamenti strutturali nel controllo, accesso e gestione delle risorse idriche condivise può portare a un raggiungimento del diritto all’acqua per i palestinesi.
Oltre alle difficoltà che l’assenza di acqua potabile comporta nella vita quotidiana, ad essere colpita è anche la produzione agricola palestinese. E’ molto comune che qualche contadino palestinese, alla domanda su come vada il lavoro, risponda “Stiamo aspettando la pioggia”. I contadini attendono infatti che sia l’acqua piovana ad irrigare i campi e se questa non arriva il raccolto potrebbe essere compromesso, mentre i terreni agricoli e le belle aree verdeggianti israeliane, visibili anche dalle aride terre della buffer zone lungo il confine con Gaza spianate dai bulldozer, vengono irrigati con acqua a volontà e sistemi tecnici. Nena News