Rinnovato il “no” alla guida per le saudite da parte di re Salman: il Regno non sarebbe ancora pronto per quella che è considerata una “questione pericolosa”. Non si contano più, invece, i casi di comportamenti anti-islamici dei rampolli della casa reale saudita: non sanzionati in patria, ma neppure menzionati
di Giorgia Grifoni
Roma, 30 aprile 2016, Nena News - Ci avevano creduto. Per giorni, sul blog delle attiviste saudite per il diritto alla guida si erano rincorse voci sul prossimo annuncio dell’abolizione del divieto, che fa della monarchia saudita l’unico paese al mondo che ancora impedisce alle donne di guidare. Si vociferava addirittura che re Salman stesse per ordinare al Consiglio della Shura di legiferare sulla questione. Ma qualche giorno fa è arrivata la doccia fredda: “L’Arabia Saudita non è pronta per permettere alle donne di guidare”. Parola del giovane principe Mohammad bin Salman, 30 anni, figlio del re considerato uno degli uomini più potenti del Regno, in una dichiarazione raccolta lunedì scorso da Gulf News. “Non è tanto una questione religiosa – ha aggiunto – quanto una questione della società stessa che lo accetta o lo rifiuta”.
Questa volta non sarebbe colpa dell’Islam. Lo aveva spiegato vagamente anche nell’intervista rilasciata due settimane fa a Bloomberg in cui, oltre che sul nuovo piano economico saudita, era stato interrogato anche sui diritti delle donne. “Crediamo – ha dichiarato il principe nell’intervista – che le donne nell’Islam abbiano dei diritti che devono ancora ottenere”. Nell’intervista si menzionavano anche le parole dette da Mohammad bin Sultan a un ufficiale americano qualche tempo prima: il principe, spiegava l’ufficiale, sarebbe anche pronto a levare il divieto di guida per le donne, ma starebbe aspettando il momento giusto per confrontarsi con il rigido establishment religioso del paese. “Se alle donne fosse stato permesso di cavalcare un cammello [ai tempi del Profeta Maometto, ndr], forse ora le lasceremmo guidare una macchina, l’evoluzione del cammello” aveva spiegato bin Sultan all’ufficiale.
Il problema, quindi, sarebbe la società. Più precisamente, come ha spiegato il principe nell’intervista, sarebbero “quelli che distorcono i dettami dell’autorità religiosa ufficiale per impedire alle donne di conquistare i propri diritti nel nome dell’Islam”. Ma chi sarebbe questa “autorità religiosa ufficiale” i cui dettami vengono distorti? Dal 1971 essa è fissata nel “Consiglio degli alti studiosi”, il più alto corpo religioso saudita, costituito da 21 studiosi (detti Ulema) scelti dal re. Sebbene essi consiglino il monarca sulla condotta religiosa da tenere e veglino sulla sua fedeltà all’Islam, come spiega il Columbia World Dictionary of Islamism, essi sono “soggetti all’autorità del sovrano”. In teoria, se re Salman volesse permettere alle donne di guidare, nessuno glielo impedirebbe.
La difficoltà sta nell’interpretazione della tradizione islamica, dove ulema, imam e sceicchi vari sparsi per tutta la penisola pontificano su ogni aspetto della modernità rapportandola ai tempi di Maometto. Sebbene, infatti, non esista una legge che impedisca alle donne di guidare, semplicemente le patenti non vengono rilasciate agli esponenti di sesso femminile: come ha spiegato perfettamente il principe Bin Sultan, un permesso omologo non esisteva 10 secoli fa ed è difficile cambiare le tradizioni locali in questo senso. Questo, e molti altri esempi, si devono all’adozione della Shari’a (la legge islamica) come base del sistema legale saudita in assenza di una Costituzione scritta, garante dei diritti fondamentali, e di un codice penale moderno, che riporti norme attuali e relative pene.
I clerici sauditi, solerti nel dare pareri ed emettere una fatwa per vegliare sull’applicazione della Shari’a, si sono sempre espressi in modo negativo sulle donne al volante. Il Gran Mufti Sheikh Abdulaziz bin Abdullah al-Sheikh, ad esempio, ha recentemente commentato che autorizzare le donne a guidare sarebbe “una questione pericolosa che non dovrebbe essere permessa”, perché “ gli uomini dagli spiriti deboli ossessionati dalle donne potrebbero finire per causare danni alle conducenti di sesso femminile, e i loro parenti di sesso maschile non saprebbero poi dove trovarle”. Ha voluto invece addurre una spiegazione scientifica lo sceicco Saleh al-Lohaidan: in un suo commento riportato sul sito sabq.org si legge che “le donne che guidano rischiano di danneggiare le ovaie e di partorire bambini con problemi clinici”.
Eppure, mai una voce di critica o di disappunto è stata levata dal clero saudita nei confronti di certi comportamenti poco islamici portati avanti proprio dalla casa reale saudita. Essa, tra eredi diretti – chiamati “altezza reale” – e indiretti – “altezza” e basta – conterebbe oltre 10 mila rampolli, alcuni dei quali dai comportamenti poco ligi alla religione e al pubblico decoro tanto zelanti nei confronti delle donne. Secondo quanto trapelato dai cablogrammi di Wikileaks, infatti, la nuova tendenza delle varie altezze sarebbe quella di farsi costruire discoteche nei seminterrati dei palazzi e dare festini a base di alcol, cocaina e prostitute. Non solo è rimasto celebre lo sgomento del personale del consolato americano a Jeddah, invitato da un giovane principe della famiglia al-Thunayan al suo Halloween party segreto con oltre 150 giovani ospiti della borghesia cittadina, ma lo è stato ancora di più il commento di un giovane partecipante alla festa: “I grandi party sono una tendenza recente. Fino a pochi anni fa, l’unica attività del fine settimana erano gli “incontri” tra piccoli gruppi all’interno delle case dei ricchi”.
Ricchi e immuni alla pubblica gogna islamica, a quanto pare. Dopo una breve ricerca, si trovano numerosi casi di reali sauditi arrestati all’estero per vari crimini affossati poi al ritorno a Riyadh. Come il principe Saud bin Abdulaziz bin Nasir al Saud, arrestato nel 2010 in un hotel di Londra con l’accusa di aver picchiato a morte il suo servo e amante, Bandar Abdulaziz, dopo settimane di abusi fisici e psicologici. O come il principe Nayef bin Fawwaz Al Shaalan, incriminato nel 2004 negli Stati Uniti e in Francia per il suo coinvolgimento in un’operazione di spaccio tra il Sud America e l’Europa: il principe avrebbe proposto a certi suoi conoscenti colombiani un contrabbando di cocaina a bordo del suo jet privato e il riciclaggio del denaro attraverso una banca di sua proprietà, la Kanz Bank, “l’unica banca privata islamica a Ginevra”. Tra gli ultimi casi celebri figura quello del principe Majed bin Abdullah bin Abdulaziz Al Saud, uno degli innumerevoli figli del defunto re Abdallah, arrestato nella sua casa da 37 milioni di dollari a Beverly Hills per uso di cocaina, ubriachezza molesta, sequestro di tre cameriere alle quali avrebbe gridato “Sono io il principe e faccio quello che voglio!”, minacciandole di morte e costringendole a guardarlo mentre si faceva sollazzare da un suo servo.
Eppure, tra comportamenti anti-islamici e sordide storie criminali censurate dalle autorità, alle donne ancora non è permesso guidare in nome del “peccato”. Anzi, sembra ci sia stato persino un passo indietro nel loro trattamento: accade a Riyadh, dove uno degli Starbucks coffee tanto popolari tra i giovani sauditi ha visto crollare il muro di “separazione” tra lo spazio maschile e quello riservato alle donne e alle famiglie. Ora sulla porta di ingresso campeggia un cartello scritto in arabo e in inglese: “Per favore, vietato l’ingresso alle donne sole. Mandare il proprio autista a prendere l’ordine. Grazie”. Nena News