Il 4 novembre 2016 il co-leader del Partito democratico dei popoli veniva arrestato. Una misura parte della più generale campagna governativa contro l’Hdp. Il politico resta nelle mire di Erdogan e della magistratura, mentre un’apertura “inattesa” arriva dai rivali politici kemalisti
di Dario Nincheri
Roma, 8 novembre 2021, Nena News – Il 4 novembre di cinque anni fa, a seguito di un’operazione di repressione voluta dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, dopo il fallito colpo di stato del luglio dello stesso anno, Selahattin Demirtaş – copresidente e figura carismatica del partito pro-curdo di sinistra Hdp – fu arrestato con l’accusa di sostenere il Pkk ed elogiare il suo fondatore Abdullah Öcalan.
Il partito curdo dei lavoratori (Pkk), storicamente in lotta contro il governo turco per ottenere l’autonomia del proprio popolo, è considerato un’organizzazione terroristica dalla Turchia, dagli Stati Uniti e dall’Ue. Oggi Demirtaş è detenuto in una prigione di massima sicurezza vicino al confine turco-bulgaro e rischia una condanna fino a 142 anni di carcere come conseguenza di molteplici imputazioni legate al terrorismo. Il politico curdo nega con forza tutto quanto l’impianto accusatorio, sostenendo che il suo partito ha sempre caldeggiato una soluzione pacifica al decennale conflitto curdo-turco.
Nonostante nel dicembre 2020 la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia ordinato alla Turchia di liberarlo, perché considera la sua una detenzione politica, il principale politico curdo del paese resta tuttora in carcere. Erdoğan, dal canto suo, continua a riferirsi al suo maggiore oppositore come a un “terrorista” che “indossa la maschera di un politico” e continua a respingere gli appelli per la sua scarcerazione che provengono anche dall’interno del suo stesso partito.
L’attrito con il leader dell’Akp si è esacerbato da quando, nel 2015 Demirtaş ha portato l’Hdp a uno storico risultato elettorale che lo ha reso il primo gruppo curdo a entrare nel parlamento turco. Il suo successo contribuì in larga parte alla perdita della maggioranza parlamentare che il partito di Erdoğan deteneva sin dalla sua salita al potere nel 2002.
L’Hdp è abituato a doversi confrontare con un clima politico avvelenato, sin dalla sua fondazione: subisce una pesante campagna denigratoria, portata avanti dal governo con l’aiuto dei media filogovernativi e sostenuta da parte della magistratura. Nato come espressione del movimento politico curdo il partito si è spostato negli ultimi anni su posizioni di impronta libertaria, diventando rappresentativo non soltanto del proprio popolo, ma di molte minoranze e movimenti di sinistra turchi.
Gli attacchi del governo non sono rivolti soltanto a Demirtaş, molti dei membri del movimento sono ciclicamente accusati di essere la copertura politica del PKK e, di conseguenza, di essere strumento di propaganda terroristica. Dopo l’istituzione dello stato di emergenza conseguente al golpe del 2016 altri parlamentari del gruppo sono stati arrestati e, durante l’assedio di Daesh a Kobane, la formazione politica è stata accusata di aver “incitato alla rivolta” per aver espresso sostegno alle Ypg (le Unità di Protezione Popolare legate al Partito di unione democratica, espressione siriana del Pkk, presente nelle regioni a maggioranza curda del nord della Siria).
I toni dello scontro politico sono aspri al punto che Erdoğan, durante una visita a Diyarbakir nel luglio di quest’anno, ha continuato ad accusare velatamente l’Hdp di essere responsabile, assieme al Pkk, della morte di tanti giovani “Sapete molto bene chi ha ferito il cuore delle madri di Diyarbakir. Sapete anche molto bene come coloro che hanno mandato i figli degli altri a morire sulle montagne crescano invece con cura i propri figli all’estero”, ha dichiarato tra le altre cose.
I contrasti tra lo Stato turco e la formazione filocurda sono così duri che si è arrivati alla richiesta di chiusura del partito, presentata alla Corte Costituzionale dal procuratore della Corte di Cassazione, e all’apertura di un processo – ritenuto pregiudiziale da più parti – che sarà decisivo per il futuro dell’Hdp.
Nonostante la narrazione filogovernativa, che vuole il paese unito in questa presunta lotta al terrorismo, si iniziano però a vedere le prime crepe all’interno della narrazione ufficiale.
Il leader del Partito popolare repubblicano (Chp), Kemal Kılıçdaroğlu, ha recentemente dichiarato che l’Hdp dovrebbe essere riconosciuto come un “interlocutore legittimo”, in primo luogo riguardo al problema curdo. Il Chp, storicamente noto per la sua linea strenuamente kemalista e nazionalista, in passato si è opposto con forza al processo di pace tra il governo di Ankara e il gruppo militante del Partito dei lavoratori del Kurdistan, sostenendo che nessun contatto diretto avrebbe dovuto essere tenuto tra gli attori legittimi dello Stato e i terroristi. Sotto la guida di Kilicdaroglu però, il partito pare aver cambiato linea nei confronti della cosiddetta questione curda.
L’apertura è arrivata dopo la recente visita nel nord dell’Iraq di una delegazione del Chp, che ha avuto il primo incontro ufficiale con il governo regionale del Kurdistan (Krg) e con il suo primo ministro Masrour Barzani.
Non tutti hanno visto di buon grado il colloquio tra le due realtà politiche, in primis i partiti della destra nazionalista turca, che non hanno mancato di sottolineare come, a loro avviso, questa apertura non sia altro che un tentativo di guadagnarsi parte del voto curdo in patria, ricordando quanto esso si sia rivelato importante durante le elezioni locali del 2019, contribuendo in larga misura alla vittoria dell’opposizione in città importanti come Istanbul e Ankara.
La leadership del Kurdistan iracheno è tradizionalmente legata all’Akp e sono noti gli stretti rapporti del presidente con la famiglia Barzani al potere; è facile perciò intuire quanto questo avvicinamento possa aver infastidito Erdoğan.
È inoltre di questi giorni l’ennesima uscita di Kilicdaroglu, che ha definito ingiusta sia la carcerazione di Selahattin Demirtaş che quella di Osman Kavala, il filantropo turco anche lui in carcere dal 2016 con accuse che il Consiglio d’Europa ha definito funzionali a metterlo a tacere e a dissuadere altri difensori dei diritti umani.
Parlando al suo gruppo parlamentare il leader dell’opposizione ha detto: “Voglio giustizia per conto di 83 milioni di persone. Perché Osman Kavala, Selahattin Demirtaş, studenti, militari e avvocati sono in prigione? La mia coscienza non lo accetta. Forse non hanno votato per il Chp, né provano simpatia per il nostro partito, ma il nostro dovere è opporci all’ingiustizia”.
Lo scontro, in vista elezioni presidenziali e parlamentari del 2023, si fa sempre più duro e, mentre Erdoğan non dà cenno di mollare, i giorni che Demirtaş ha passato in carcere si avvicinano inesorabilmente a superare la quota simbolica dei 2000. Nena News