La prossima settimana sarà presentata la bozza ad un parlamento zoppo. Ankara se la prende anche con i repubblicani: il leader del Chp denunciato per insulti al presidente
della redazione
Roma, 9 novembre 2016, Nena News – Tra i primi a congratularsi con il nuovo presidente degli Stati Uniti c’è Ankara: il premier turco Yildirim stamattina ha mandato un messaggio a Donald Trump per ricordargli il caso Gulen. La Turchia vuole l’estradizione dell’imam ex alleato del presidente Erdogan, accusato oggi di (quasi) tutti i mali del paese.
“Ci congratuliamo con Mr. Trump – ha detto il primo ministro – Faccio appello al nuovo presidente da qui riguardo l’urgente estradizione di Fethullah Gulen, la mente, l’esecutore e il perpetratore del vergognoso colpo di Stato del 15 luglio”.
L’estradizione, aggiunge, segnerà un nuovo inizio nei rapporti tra Turchia e Stati Uniti. Rapporti che negli ultimi tempi potrebbero sembrare indeboliti: il presidente Obama non ha nascosto il fastidio per i modi autoritari dell’alleato, definendolo in privato alla stregua di un dittatore. Ma non ha mai messo in dubbio la centraltà della Turchia dentro la Nato e in Medio Oriente: dopotutto, a parte il no alla zona cuscinetto con la Siria (che Ankara sta comunque mettendo in piedi da sola), Washington ha permesso l’invasione turca di Siria e Iraq e ha mosso critiche solo a parole dopo le purghe di massa nel paese.
E, solo pochi giorni fa, ha praticamente regalato Raqqa alla Turchia con un accordo che stabilisce la gestione della città una volta liberata dall’Isis. Lì a combattere sono le Forze Democratiche Siriane: dopo 5 giorni di offensiva si sono avvicinate di 25 km alla città “capitale” del sedicente califfato e liberato una decina di villaggi. I kurdi di Rojava, che guidano la federazione mista, non nascondono la preoccupazione: ieri hanno denunciato il tentativo della Turchia di infiltrare due ingenti gruppi di miliziani anti-kurdi dalla frontiera nord, dal villaggio di Doda e dalla città di Kobane, bloccati dalle Ypg a difesa del confine.
Ma la guerra ai kurdi prosegue anche in casa, protagonista della repressione il Partito Democratico dei Popoli (Hdp), che conta oggi 12 deputati in prigione. Tra loro i due co-presidenti, Demirtas e Yuksekdag, portati in carceri di massima sicurezza. Ieri le agenzie kurde denunciavano le condizioni in cui Demirtas è detenuto: in una cella di isolamento, privato di libri e vestiti. Nella cella ha solo un letto e una coperta ma è riuscito tramite gli avvocati a mandare un messaggio all’esterno: tre fogli di carta in cui chiama la base a resistere insieme contro il fascismo.
Difficile definirlo diversamente: dopo aver quasi azzerato il gruppo parlamentare del principale partito di opposizione – non per grandezza ma per posizione – ieri il presidente Erdogan se l’è presa anche con il partito Repubblicano che dopo il fallito putsh del 15 luglio si era prostrato al potere dell’uomo solo al comando. In un comunicato stampa seguito agli arresti nell’Hdp, il Chp aveva infatti condannato le azioni del governo definendole “incostituzionali” e parlando di “colpo di Stato del presidente” , per poi chiedere il rilascio dei parlamentari e dei 9 giornalisti di Cumhuriyet portati via pochi giorni prima.
Troppo per Erdogan che ha deciso di denunciare il leader dei repubblicani, Kemal Kilicdaroglu, per insulti al presidente, diventato un reato penale gravissimo nel sistema politico ordito dall’Akp. Gli screzi giungono ad una settimana dalla presentazione della bozza di rifoma costituzionale voluta dal governo e che prevede il passaggio dal sistema parlamentare a quello presidenziale. Con l’Hdp e i suoi 58 deputati fuori dai giochi, sarà facile farla finalmente passare: con 316 seggi in parlamento e una maggioranza necessaria di 330, al partito di governo ne mancano 14 per introdurre una riforma alla costituzione che apra poi al referendum popolare. Nena News