Uno studio della ong Save the Children pubblicato ieri rivela che la metà dei minori siriani vive regolarmente sentimenti di dolore e di estrema tristezza. Molti di loro prendono droghe, si suicidano o si fanno del male pur di scappare agli orrori del conflitto che devasta da sei anni il loro Paese
di Roberto Prinzi
Roma, 7 marzo 2017, Nena News – I bambini siriani prendono droghe, tentano il suicidio o si fanno del male pur di scappare agli orrori della guerra in corso in Siria. A rivelarlo è uno studio pubblicato ieri dalla ong Save the Children dal titolo “Ferite invisibili: l’impatto dei sei anni di guerra sulla salute mentale dei bambini siriani”. Dalle interviste compiute su un campione di 450 persone (giovanissimi, genitori e operatori sociali) di sette govenatorati del Paese emerge un quadro drammatico: metà dei bambini ha detto di vivere regolarmente o spesso sentimenti di dolore e di estrema tristezza, il 78% ha dichiarato di provarli di tanto in tanto. Secondo lo studio di Save the Children, le principali fonti di paura per i minori siriani sono le bombe e il senso generale d’insicurezza che li circonda: due bambini su tre ha perso un proprio caro, è rimasto ferito o ha avuto la casa bombardata.
L’organizzazione riferisce che un bambino su quattro (circa 2 milioni e mezzo) sviluppa un disturbo mentale. Incubi, problemi nell’addormentarsi per paura di non svegliarsi più, enuresi notturna, rabbia, pensieri suicidi, depressione sono solo alcuni dei sintomi più comuni riscontrati nei minori siriani traumatizzati dai bombardamenti, dalla morte e dalla distruzione. “Mio figlio si sveglia urlando nel mezzo della notte. Un bambino è stato massacrato di fronte a lui così ha incominciato a sognare che qualcuno verrà a massacrarlo. Quando un bambino è testimone di una decapitazione, come può non aver paura?” si domanda Firas intervistato dall’ong. Secondo lo studio, l’esposizione a questi eventi traumatici porteranno probabilmente ad un aumento dei disturbi depressivi, ad un incremento dell’ansia da separazione e dello stress post-traumatico quando la guerra finirà.
Tamara, un’operatrice di Idlib, non usa mezzi termini: “i bambini [siriani] hanno perso la loro infanzia”. “Molti di loro soffrono d’involontaria minzione, ansia post traumatica soprattutto a causa del rumore delle esplosioni e delle bombe. Molti hanno difficoltà a parlare e balbettano. Alcuni soffrono di parziale amnesia. Altri di età compresa tra i 6 e i 15 anni non riescono a ricordare. La loro psicologia è cambiata: un bambino anticipa ora sempre un attacco”. Il pericolo non riguarda solo il presente, ma anche il futuro: un’intera generazione di bambini cresciuta in questo contesto di estrema violenza potrebbe crescere senza empatia per il prossimo. Ma al di là dei traumi, non sono pochi i casi dove i bambini hanno deciso di porre fine alla loro vita.
“Circa cinque mesi fa un bambino di 12 anni si è suicidato. Suo padre era stato ucciso in un attacco bomba. Gli hanno spiegato che era diventato un martire e che era andato in Paradiso, così il bambino ha pensato che se fosse morto lo avrebbe rivisto. E così si è impiccato con una sciarpa” racconta a Save the Children Sharif, un operatore della salute mentale. Un caso tutt’altro che solitario.
Nel corso dello studio effettuato dalla ong, la psicologa Marcia Brophy ha parlato con 458 siriani (adulti e giovanissimi) e ha osservato come lo stato costante di paura e ansia, conosciuto come “stress tossico”, abbia causato loro gravi problemi di salute mentale che possono diventare incurabili se non vengono trattati con il dovuto supporto. “Questi bambini, questi corpi sono in costante conflitto o fuga e il livello accumulato di stress tossico avrà indubbiamente conseguenze sul lungo termine” ha detto Brophy alla Reuters. In uno scenario di violenza, morte e distruzione ecco che il farsi male diventa quasi una risposta logica. “E’ estremamente preoccupante, ma non sorprendente se si pensa che vivono in un ambiente altamente stressante. E’ un modo di affrontare e fare i conti con una situazione davvero anormale” ha aggiunto la psicologa che ha invitato le comunità locali a parlare più apertamente dei disturbi mentali esortando le ong umanitarie a dare priorità ai problemi mentali. “E’ molto difficile parlare di questo argomento. E’ un tabù. Il sostegno psicologico e mentale deve essere integrato in qualunque risposta all’emergenza [umanitaria]” ha concluso Brophy.
La guerra, intanto, con tutta la sua violenza prosegue. L’esercito siriano si sta avvicinando in queste ore alla stazione di pompaggio dell’acqua di Khafseh (nord Siria) controllata dall’autoproclamato Stato Islamico (Is). L’obiettivo è chiaro: liberarla vorrebbe dire alleviare il problema delle risorse idriche ad Aleppo. Non diminuisce la tensione nella vicina Manbij dove appare sempre più imminente una resa dei conti tra le forze governative (insieme alle Forze democratiche Siriane) e i “ribelli” sostenuti da Ankara. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir
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