Il vice presidente statunitense ha poi attaccato l’Onu: “I tempi degli attacchi contro lo stato ebraico alle Nazioni Unite sono finiti”. Una Commissione della Knesset, intanto, dava l’ok alla bozza di legge che richiederà il sostegno di due-terzi della Knesset per la cessione di qualche parte di Gerusalemme ai palestinesi in un futuro accordo di pace
della redazione
Roma, 29 novembre 2017, Nena News – Il presidente statunitense Donald Trump starebbe “considerando attivamente” di trasferire l’ambasciata Usa in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. Parola del vice presidente statunitense Mike Pence. Parlando a New York in occasione del 70esimo anniversario del voto Onu per la Partizione della Palestina, Pence ha poi ribadito l’assoluta vicinanza dell’attuale amministrazione americana con lo stato ebraico: “Come dice il presidente Trump, l’America sta con Israele. Con noi, l’America starà sempre con Israele” sottolineando come con nessun’altra presidenza a stelle e strisce i rapporti con Tel Aviv siano stati così forti.
La vicinanza americana a Tel Aviv è apparsa evidente pure quando Pence ha fatto riferimento all’approvazione della risoluzione 181 che, esattamente 70 anni fa, promuoveva la divisione della Palestina storica in tre stati: “Israele non aveva bisogno di una risoluzione per invocare la sua esistenza perché questo diritto è evidente e eterno”. E’ un Pence spirituale quello che ieri ha preso la parola a New York: “Mentre Israele è stata costruita con mani umane, è impossibile non vederci anche la mano del Paradiso”. Standig ovation della platea del Queens Museum, luogo in cui in quel lontano novembre del ’47 si ottenne lo storico voto. Prima di concludere il suo discorso su Israele, il vice presidente ha colto l’occasione per lanciare un monito all’Onu: “I tempi degli attacchi contro lo stato ebraico alle Nazioni Unite sono finiti”.
Torna dunque prepotentemente al centro dell’attenzione la questione dell’ambasciata Usa: mettendo da parte i suoi slogan elettorali, Trump ha finora tentennato sull’argomento consapevole delle conseguenze politiche che tale decisione potrebbe avere nel mondo arabo musulmano. Rischi che, del resto, gli sono stati più volte ripetuti dagli stessi palestinesi. Quest’ultimi sanno benissimo che se implementato, tale atto legittimerebbe di fatto una volta e per sempre il motto israeliano di “Gerusalemme capitale indivisibile e eterna dello stato ebraico”. Una posizione per i palestinesi inaccettabile e che violerebbe “la soluzione a due stati” promossa dalla comunità internazionale che vede in Gerusalemme est la futura capitale del nascente stato di Palestina.
A inizio dicembre Trump dovrà prendere una posizione su questo tema: sebbene nel 1995 il Congresso degli Stati Uniti abbia passato una legge che dà l’ok allo spostamento dell’ambasciata statunitense nella Città Santa, una clausola al suo interno prevede – come finora è sempre accaduto – ai presidenti americani di rimandare di sei mesi in sei mesi il cambiamento di sede. Che farà Trump? Darà luce verde al trasferimento dell’ambasciata o rimanderà, come già fatto, di altri sei mesi la decisione? Vista l’imprevedibilità del vulcanico presidente americano è difficile dare al momento una risposta certa a questa domanda. Quel che è evidente, però, è che le parole di ieri di Pence hanno dimostrato, qualora fosse ancora necessario ripeterlo, che il nuovo “progetto di pace” a cui starebbe lavorando l’amministrazione americana sarà sicuramente (e nettamente) a favore della controparte israeliana.
Brutte notizie per i palestinesi sono giunte ieri anche da Israele dove la Commissione Legge, giustizia e costituzione della Knesset ha dato luce verde alla bozza di legge che richiederà il sostegno di due-terzi della Knesset (80 deputati sui 120 complessivi) per la cessione di qualche parte di Gerusalemme ai palestinesi in un futuro accordo di pace.
La proposta – promossa dalla deputata Shuli Moalem-Refaeli (Casa Ebraica) e passata in prima lettura a luglio – dovrà superare un secondo e terzo voto parlamentare prima di diventare legge. Al momento non è chiaro quando i due ultimi voti saranno compiuti, ma sicuramente il testo rientra tra le priorità della coalizione di estrema destra guidata da Benjamin Netanyahu. Il premier è stato molto chiaro a maggio quando ha dichiarato che la sovranità israeliana su tutti i luoghi sacri di Gerusalemme non sarà negoziata ribadendo come Gerusalemme (“unita”) sia la capitale d’Israele.
Negli emendamenti passati ieri, il governo israeliano rimuoverà il campo profughi di Shuafat e di Kafr Aqab (situati a Gerusalemme est, ma dalla parte est del muro israeliano) dalla municipalità di Gerusalemme e li trasferirà ad un non ancora esistente consiglio locale.
L’obiettivo della legge è chiaro: ridurre la popolazione araba della “capitale” israeliana. Ciò appare più evidente se si pensa che, contemporaneamente, il governo Netanyahu sta provando ad avanzare un’altra proposta che incorporerà nell’area municipale della città anche alcune colonie limitrofe con l’obiettivo di aumentare la presenza ebraica.
Progetti non tanto nuovi a dire il vero, ma che in questi anni – vuoi per l’estremismo del governo israeliano, vuoi per la sempre più palese indifferenza del mondo occidentale, vuoi per il mantra della guerra al “terrorismo” (islamico) e vuoi per l’oblio della questione palestinese nel mondo arabo “fratello” – appaiono trovare pochi ostacoli. Israele ha annesso la parte est di Gerusalemme nel 1980, ma l’atto non è stato riconosciuto dalla comunità internazionale che considera la sua zona orientale come futura capitale dello stato di Palestina. Nena News