Il centro per i diritti umani spiega in un suo dettagliato rapporto come le aziende degli insediamenti israeliani contribuiscono alla violazione dei diritti palestinesi
di Rosa Schiano
Roma, 21 gennaio 2016, Nena News – Poche ore dopo l’approvazione da parte del Consiglio per gli Affari Esteri dell’Unione Europea di una risoluzione che chiede che gli accordi tra lo Stato di Israele e l’Ue siano inapplicabili nei Territori occupati nel 1967, l’organizzazione Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto lungo e dettagliato sul modo in cui imprese israeliane ed internazionali hanno contribuito a costruire e finanziare gli insediamenti israeliani in Cisgiordania.
Queste aziende private, riferisce HRW, sono state coinvolte nelle politiche di insediamento traendone benefici e contribuendo ad esse, attirate dagli affitti bassi, dalle imposte agevolate, dai sussidi governativi e dall’accesso a manodopera palestinese a basso costo. Sono più di 500.000 i coloni israeliani che vivono in 237 insediamenti nella Cisgiordania occupata incluso Gerusalemme est, si legge nel documento. Oltre ai centri commerciali all’interno degli insediamenti, esistono circa venti zone industriali amministrate da Israele in Cisgiordania che coprono circa 1,365 ettari e coloni israeliani gestiscono la coltivazione di 9,300 ettari di terreni agricoli – denuncia l’organizzazione – ricordando che gli insediamenti violano inoltre la Quarta convenzione di Ginevra che vieta ad una potenza occupante di trasferire i propri cittadini all’interno dei territori occupati e di trasferire o dislocare la popolazione residente di un territorio occupato. Allo stesso modo, la confisca da parte di Israele di terra, acqua ed altre risorse naturali a beneficio degli insediamenti e dei residenti in Israele viola i regolamenti dell’Aia del 1907, che vietano ad una potenza occupante di espropriare le risorse di un territorio occupato.
Secondo HRW, nel fare affari negli insediamenti o con imprese degli insediamenti, le compagnie private contribuiscono ad una o più violazioni del diritto umanitario internazionale. Le società con sede negli insediamenti dipendono e traggono vantaggio infatti dalla confisca illegale israeliana di terra palestinese e di altre risorse e contribuiscono alla crescita degli insediamenti stessi. «Queste pratiche hanno come conseguenza il dislocamento forzato di palestinesi e pongono questi ultimi in enorme svantaggio rispetto ai coloni. Le restrizioni discriminatorie israeliane sui palestinesi hanno danneggiato l’economia palestinese e lasciato molti palestinesi dipendenti dal lavoro nelle colonie — una dipendenza che i sostenitori delle colonie citano per giustificare le imprese nelle colonie», afferma il rapporto.
Secondo Human Rights Watch, le aziende dovrebbero quindi cessare ogni attività all’interno degli insediamenti o a beneficio degli stessi, come il costruire alloggi e infrastrutture, o fornire servizi quali la raccolta e smaltimento dei rifiuti, esse dovrebbero inoltre smettere di finanziare, amministrare, commerciare con insediamenti o attività legate a insediamenti. L’organizzazione per i diritti umani tuttavia non fa appello al boicottaggio di queste aziende, si limita piuttosto ad invitarle a cessare tali attività e precisa che i consumatori dovrebbero essere informati sulla provenienza dei prodotti al fine di effettuare scelte consapevoli.
Il rapporto presenta esempi di aziende che contribuiscono alle violazioni dei diritti umani e ne traggono vantaggio, si tratta di casi legati a discriminazione, confisca di terre, restrizioni, abusi sul lavoro. Human Rights Watch afferma infatti che Israele riserva un trattamento privilegiato ai coloni ebrei israeliani in Cisgiordania mentre impone condizioni molto dure ai residenti palestinesi. Le corti israeliane ad esempio applicano la giurisdizione civile sui coloni, offrendo loro protezione legale, diritti e benefici di cui i palestinesi non godono e che sono soggetti invece alla giurisdizione della legge militare israeliana.
Il trattamento privilegiato riservato ai coloni si estende ad ogni aspetto della vita, afferma il rapporto. Da un lato, Israele fornisce ai coloni ed alle aziende con sede negli insediamenti terra, infrastrutture idriche, incentivi finanziari per incoraggiare la crescita degli stessi. Da un altro lato, Israele confisca terre palestinesi, dislocando in maniera forzata palestinesi, restringendo la loro libertà di movimento, impedendo loro di costruire nell’area della Cisgiordania sotto controllo amministrativo israeliano (tranne nell’1%) e limitando gravemente il loro accesso all’acqua e all’energia elettrica.
Secondo il rapporto, dunque, le aziende che hanno sede negli insediamenti contribuiscono al sistema discriminatorio messo in atto dal governo israeliano e ne traggono beneficio in tanti modi. Uno di questi è rappresentato dagli incentivi che il governo israeliano fornisce alle aziende degli insediamenti ma non ad aziende palestinesi del posto. Inoltre, spesso l’amministrazione civile rilascia autorizzazioni edilizie alle aziende degli insediamenti su terra confiscata o espropriata ai palestinesi in violazione del diritto internazionale, limitando invece le autorizzazioni per le imprese palestinesi. Il rapporto cita il caso delle cave del villaggio di Beit Fajjar, in Cisgiordania, da cui viene estratta la pietra. Israele ha rilasciato un permesso ad una compagnia europea di lavorare nella cava in un’area che Israele ha dichiarato appartenere al proprio Stato ed ha negato invece l’autorizzazione per quasi tutte le 40 cave di Beit Fajjar o per ogni altra cava di proprietà palestinese: l’assenza di permessi danneggia l’economia palestinese. Nel frattempo, Israele rilascia undici autorizzazione estrattive per la gestione di cave degli insediamenti in Cisgiordania nonostante lo sfruttamento di risorse in territori occupati violi il diritto internazionale.
Con riferimento all’impatto delle compagnie private, il rapporto evidenzia il caso dell’insediamento di Ariel e cita ad esempio il ruolo di una banca israeliana nella costruzione di un complesso di sei edifici chiamato Green Ariel. La banca finanzia il progetto e fornisce ipoteca ai compratori israeliani; il sito della banca informa della prevendita degli appartamenti in molti altri edifici in costruzione negli insediamenti. Il rapporto cita anche l’esempio di un’agenzia immobiliare con sede negli Usa e che, come altre agenzie, attraverso i propri rami in Israele offre proprietà in vendita ed affitto nell’insediamento di Ariel ed in altri insediamenti. Banche ed agenzie immobiliari aiutano così la crescita delle colonie.
“Le aziende private forniscono servizi di tutti i tipi ai coloni. Allo stesso tempo esse contribuiscono allo sviluppo economico degli insediamenti dando lavoro ai coloni ed entrate fiscali ai comuni degli insediamenti”, riferisce il rapporto. Ad esempio, riporta HRW, una compagnia privata fornisce servizi di gestione dei rifiuti negli insediamenti israeliani in Cisgiordania, incluso Ariel e la vicina zona industriale di Barkan. La compagnia gestisce una discarica nella valle del Giordano su terra che Israele ha confiscato e trae beneficio dai requisiti discriminatori di autorizzazione che favoriscono le compagnie israeliane al servizio degli insediamenti ma discriminano le compagnie palestinesi. Ancora, cita ad esempio il rapporto, nel 2004 Israele ha investito per migliorare le infrastrutture nella Valle del Giordano e l’Amministrazione Civile ha rilasciato l’autorizzazione necessaria, sebbene il sito tratti esclusivamente rifiuti israeliani e delle colonie. I palestinesi invece hanno dovuto lottare per ottenere finanziamenti e permessi per le discariche.
Tutte le discariche autorizzate per i palestinesi sono finanziate da donatori internazionali, precisa il rapporto, che denuncia anche un caso in cui Israele obbliga una discarica palestinese ad accettare rifiuti provenienti dagli insediamenti. Sono circa 55,440 i coloni, circa il 42% della forza lavoro degli insediamenti, impiegati nel settore pubblico o privato, le imprese inoltre pagano tasse ai comuni degli insediamenti, tasse che spesso sono inferiori a quelle applicate dentro il territorio israeliano. Dunque, secondo HRW, senza la partecipazione ed il supporto di queste compagnie private, il governo israeliano incorrerebbe in spese maggiori per sostenere gli insediamenti e i loro residenti.
A queste violazioni si aggiunge lo sfruttamento sul lavoro. L’assenza di una normativa a tutela dei lavoratori palestinesi che lavorano negli insediamenti li espone a trattamenti discriminatori, lavoro sottopagato e ad altri abusi. Nonostante nel 2007 la corte Suprema Israeliana abbia stabilito che la legislazione israeliana dovrebbe regolamentare le condizioni di lavoro dei palestinesi negli insediamenti dando loro il diritto di intentare causa ai propri datori di lavoro nelle corti israeliane per eventuali abusi, il governo non ha ancora implementato questa sentenza. L’assenza di controlli permette ai datori di lavoro degli insediamenti di pagare i lavoratori palestinesi al di sotto del salario minimo israeliano e di negare loro i benefici riservati invece agli impiegati israeliani. Secondo il gruppo per i diritti dei lavoratori Kav LaOved, almeno la metà delle compagnie degli insediamenti pagano i propri dipendenti palestinesi meno del salario minimo orario di 23 shekels (5.75 dollari), e la maggior parte di questi dipendenti ricevono dagli 8 ai 16 shekels all’ora (dai 2 ai 4 dollari), senza giorni di ferie, giorni di malattia o altri benefici sociali e niente busta paga. Nel rapporto di Human Rights Watch si citano casi di lavoratori palestinesi che lavorano dalle 12 alle 15 ore al giorno con o senza pausa e che guadagnano dai due ai quattro dollari all’ora.
Coloro che difendono gli insediamenti, aggiunge il rapporto, dichiarano che questi aiutano i palestinesi dando loro lavoro; in realtà, la discriminazione rafforza un sistema che contribuisce all’impoverimento di molti palestinesi della Cisgiordania mentre porta benefici alle imprese degli insediamenti. Un capo del consiglio del villaggio di Marda, villaggio agricolo i cui terreni sono stati in gran parte assorbiti dall’insediamento di Ariel, ha riferito all’organizzazione per i diritti umani che, mentre prima essi avevano circa 10,000 animali, ora ve ne sono a malapena 100, poiché non vi sono più spazi per farli pascolare, l’economia è collassata e la disoccupazione è aumentata. Di conseguenza, molti residenti dei villaggi non hanno avuto altra scelta che lavorare negli insediamenti.
Alla luce di queste gravi violazioni, Human Rights Watch invita dunque le imprese a cessare attività legate agli insediamenti. L’organizzazione invita anche gli stati a rivedere i loro rapporti commerciali con gli insediamenti al fine di rispettare il proprio dovere di non riconoscere la sovranità israeliana sui territori palestinesi occupati. «Ad esempio, gli stati dovrebbero richiedere e rafforzare una chiara etichettatura dei prodotti provenienti dalle colonie, escludere questi beni dal ricevere un trattamento tariffario preferenziale riservato ai prodotti israeliani e non riconoscere o fare affidamento ad alcuna certificazione di beni degli insediamenti rilasciata dalle autorità del governo israeliano che illegalmente esercitano giurisdizione nei territori occupati», aggiunge il rapporto. Nena News
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