A segnare il destino di Khuza’a è stata l’operazione israeliana Margine Protettivo. Quest’estate bombe e colpi di mortaio hanno riempito le ore di questo villaggio rurale, a sud della Striscia di Gaza, poco lontano dalla linea di confine egiziana.
testo e foto di Federica Iezzi
Khuza’a (Striscia di Gaza), 15 dicembre 2014, Nena News – Case piegate su loro stesse o scheletri di casa. E’ così oggi Khuza’a. Della famiglia di Bilal e Nazmia fanno parte cinque bambini: Yazin, Tala, Deema, Osama Mohammed e Asma. Vivono alla periferia del villaggio. E sentono ogni giorno l’esercito israeliano sparare verso di loro da est.
La casa di Nazmia è collassata su se stessa. E’ rimasto miracolosamente in piedi il portone marrone. Non si apre più. O non hanno più il coraggio e la forza di aprirlo. Il nuovo ingresso è un telo bianco di plastica sporco di terra e pioggia, che nasconde uno stretto corridoio dove è ammassata poca roba da mangiare, pentole e taniche di acqua.
La camera, una piccola stanza con una finestra coperta dai detriti, ha semplicemente un pavimento protetto da tappeti di plastica, dal colore del legno. Ammassati sulle pareti rimaste in piedi, coperte e vestiti, imballati nei sacchi neri dell’immondizia. Lì si beve il tè e si dorme. Con un’ora e mezza di elettricità al giorno e niente acqua corrente.
Bilal racconta che ormai da agosto continua l’incubo dei messaggi sui telefoni, con cui si invita ardentemente gli agricoltori a lasciare le proprie case. Rischio: quello di venire colpiti dagli attacchi dell’esercito israeliano. Risalgono a solo qualche giorno fa, gli ultimi colpi partiti da Israele verso Khuza’a.
Nazmia ci dice che hanno distrutto la cucina della casa di sua madre. La sua famiglia ha abbandonato il villaggio dopo uno dei primi raid aerei. I vicini le hanno raccontato che i soldati israeliani hanno abusato della casa e poi hanno ordinato ad un bulldozer di continuare a devastarla. Dopo il massacro delle persone, l’esercito di Netanyahu ha iniziato il tiro al bersaglio con gli animali: capre, pecore, gatti e cani. Tutti morti per le strade insanguinate. Bambini e animali, uomini e anziani. Stessa sorte della gente del quartiere di al-Shujaiyya, a Gaza City. Per un soldato israeliano morto in battaglia, centinaia di civili palestinesi sterminati.
E pensare che per le strade di questo piccolo lembo di terra alle cinque del pomeriggio, nell’ora in cui il muezzin richiama alla preghiera con l’adhan, si respirava il profumo della carne cotta sul fuoco.
Deema, la figlia più grande di Nazmia, dice di non riconoscere più la moschea di Ibad Alrahman nel centro del villaggio. Cumuli di detriti custodiscono la cupola della moschea, rimasta intatta ma inavvicinabile. E’ stata fatta saltare sulla dinamite. Sulla strada adiacente, i soldati israeliani facevano mettere in ginocchio la gente, per averla sotto controllo. Oggi la moschea si è trasferita in una tenda cerea, illuminata da fari bianchi. All’entrata due secchi di alluminio pieni di acqua, per il lavaggio dei piedi. Uno per le donne, uno per gli uomini. Sul pavimento della tenda, tappeti rossi arabescati, accolgono gli abitanti di Khuza’a per la preghiera del venerdì. Nena News