La corruzione dell’apparato politico palestinese, scrive Tariq Dana, è strutturale e chiaramente percepita dalla popolazione, precedente alla nascita dell’Autorità Nazionale e sfruttata a proprio favore dall’occupazione israeliana.
di Tariq Dana – Al Shabaka
Ramallah, 29 agosto 2015, Nena News – Secondo un recente sondaggio, ben l’81% dei palestinesi che vivono nei territori occupati crede che esista corruzione nelle istituzioni dell’Autorità Nazionale Palestinese, percezione confermata dal rapporto annuale, recentemente pubblicato, della “Coalizione Palestinese per la Responsabilità e l’Integrità (AMAN)”, il ramo palestinese di ” Transparency International” [ong internazionale che si occupa di corruzione, non solo politica. N.d.tr.]. Tale percezione persiste nonostante i tanto decantati sforzi del palazzo dell’ex primo ministro Salam Fayyad di sradicare la corruzione – e si discosta dalle conclusioni dei rapporti internazionali che indicano un miglioramento del buon governo. Tariq Dana ipotizza che la corruzione sia strutturale nell’apparato politico palestinese e sia precedente alla creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese. Sostiene che il problema debba essere affrontato alla radice, non solamente attraverso misure convenzionali utilizzate in altri paesi, in particolare contro il contesto della prolungata colonizzazione e occupazione israeliana ed il modo in cui Israele favorisce e contemporaneamente sfrutta la corruzione.
Decostruire la corruzione: il sistema clientelare
La corruzione nelle istituzioni dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) non dovrebbe essere considerata soltanto una questione di malaffare amministrativo e finanziario perpetrato da individui irresponsabili il cui comportamento è dettato da avidi interessi personali. Gli scandali di cui i palestinesi spesso dibattono animatamente – come l’appropriazione indebita di denaro pubblico e di risorse, il nepotismo – sono una conseguenza di una corruzione di lunga data insita nella sottostante struttura di potere che governa il sistema politico palestinese e che era radicata nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) prima del processo di Oslo [gli accordi di Oslo, che hanno dato vita all’ANP. N.d.tr].
Negli ultimi anni gli sforzi compiuti per combattere la corruzione sono stati soprattutto di natura “tecnica” e si sono focalizzati su questioni quali definire codici di comportamento, migliorare le procedure di selezione e sviluppare misure preventive per affrontare specifiche violazioni. Pur se necessarie, queste misure non possono essere sufficienti se si ignorano le cause profonde di corruzione della politica. La natura della corruzione peculiare dell’ANP deve essere compresa per riuscire a combatterla efficacemente. La corruzione dell’ANP in Palestina è infatti un sistema che si autoalimenta. Forse il fattore principale della riproduzione e della persistenza della natura corrotta del regime palestinese è il “clientelismo ”. In Palestina il clientelismo è radicato nei valori sociali di parentela e nei legami familiari, che sono a loro volta formati da politiche settarie. Questi legami sociali e politici forniscono all’elite dominante uno strumento strategico per controllare gli elettori ed ampliare la rete di consensi attraverso la redistribuzione di risorse pubbliche per comprare la fedeltà politica, che a sua volta aiuta l’elite dominante a preservare lo status quo e a mantenere il suo dominio sulle risorse politiche ed economiche.
Il clientelismo inoltre contribuisce al clima di corruzione favorendo i propri elettori incompetenti ma leali ed escludendo persone preparate sulla base di criteri arbitrari. Così si alimenta la rivalità tra i “clientes” che entrano in competizione per dimostrare la propria fedeltà verso l’elite dominante. La corruzione viene ulteriormente rafforzata poiché uno dei modi in cui i potenti premiano i “clientes” fedeli è la tolleranza nei confronti delle loro malefatte finanziarie.
Il clientelismo ha caratterizzato storicamente i rapporti interni tra l’esecutivo dell’OLP, le istituzioni nazionali e gli elettori. La cerchia interna della leadership dell’OLP ha usato le reti clientelari sistematicamente per diversi scopi: estendere l’influenza sull’elettorato, escludere altre forze politiche e portare avanti il proprio progetto politico senza opposizione.
Per esempio, negli anni ’80 la leadership dell’OLP ha usato il “Fondo Sumud (risolutezza in arabo)” nei Territori Palestinesi Occupati (TPO) – che era formalmente gestito attraverso il comitato congiunto palestinese-giordano – , per premiare i suoi sostenitori ed escludere altri. Questo approccio ha incoraggiato la manipolazione e la monopolizzazione, ha introdotto prassi corrotte ed una sovrapposizione dei progetti di sviluppo. Ha inoltre contribuito a far sì che le vaste reti clientelari fossero funzionali ai progetti politici di Fatah e della leadership giordana. Mentre lo scopo dichiarato del “Fondo Sumud” era il sostegno all’educazione, all’agricoltura, alla sanità e ai settori abitativi, in realtà i principali beneficiari sono stati “i grandi proprietari terrieri della valle del Giordano, gli industriali, la pubblica amministrazione giordana (in Cisgiordania) e gruppi professionali che hanno ricevuto generosi mutui per la casa.”
Dopo gli accordi di Oslo, il regime di clientelismo è stato prevedibilmente ereditato dall’ANP ed ha costituito la spina dorsale della sua base istituzionale. Invece di perseguire un processo di costruzione istituzionale basato sul merito, il clientelismo è diventato un connotato distintivo della struttura istituzionale dell’ANP ed un potente strumento di esclusione ed inclusione. Questo si è affiancato allo stile personalistico ed irresponsabile del governo dell’ultimo presidente dell’OLP Yasser Arafat e della leadership politica palestinese.
L’ANP ha fatto in modo di assicurarsi la fedeltà dell’elettorato in larga misura offrendo accesso a risorse per la sopravvivenza economica, piuttosto che attraverso la persuasione in merito ai propri programmi politici, economici e sociali. In particolare il vasto settore pubblico dell’ANP è stato uno strumento vitale per creare dipendenza e garantire fedeltà. Ciò ha contribuito all’istituzionalizzazione della corruzione nel settore pubblico dell’ANP. In concreto ha fatto il gioco del governo israeliano, la cui intenzione nel firmare gli accordi di Oslo era quella di creare uno Stato clientelare che avrebbe potuto costantemente controllare attraverso le rendite distribuite all’ ANP tramite i donatori internazionali, insieme ad una strategia di frammentazione e contenimento territoriale.
Il settore pubblico dell’ANP attualmente impiega oltre 165.000 persone che dipendono interamente dai salari garantiti dagli aiuti internazionali all’ANP. Il settore della sicurezza è il più grande con il 44% del personale totale dell’ANP, ed assorbe dal 30 al 35% del suo budget annuale, superando altri settori vitali quali l’educazione (16%), la sanità (9%) e l’agricoltura (1%).
Il malfunzionamento del Consiglio Legislativo Palestinese (CLP) [il parlamento dell’ANP] e la completa assenza di un controllo legislativo sul budget governativo hanno esentato la presidenza e l’esecutivo da verifiche istituzionali e dal rendere conto pubblicamente della sua gestione delle risorse. Ciò ha agevolato il controllo dell’esecutivo sulla spesa pubblica e la sua abilità nel controllare l’elettorato usando la strategia del bastone e della carota. A sua volta, questo ha intensificato le irregolarità e le violazioni dei diritti del lavoro. Infatti l’impiego nel settore pubblico dell’ANP non implica necessariamente sicurezza del lavoro: se i dipendenti esprimono critiche verso le politiche dell’ANP possono essere costretti a dimissioni anticipate, privati del pagamento del salario o rimossi arbitrariamente dalla loro funzione. Possono anche incorrere in una serie di misure punitive, compreso il rifiuto di una promozione o il trasferimento in luoghi distanti.
Inoltre, dato che gran parte della società palestinese si basa su relazioni sociali tribali/di clan/familistiche, l’ANP ha cercato di sistemare le grandi famiglie per garantirsi la loro fedeltà. Quando l’ANP ha insediato il proprio Ministero del Governo Locale, vi ha inserito uno speciale dipartimento addetto alle questioni tribali/di clan. Il Ministero riconosce i mukhtars (capi di tribù/clan) e li autorizza a parlare a nome delle loro famiglie. Mentre il tribalismo è stato emarginato dal sorgere del movimento nazionale, negli anni ’90 l’ANP ha insediato alcuni rappresentanti di famiglie importanti in posti ministeriali sulla base di criteri tribali. Questi ministeri di conseguenza sono stati ampiamente occupati da parenti ed amici di ministri. Dopo le riforme statali degli ultimi anni ci sono state meno assunzioni basate su criteri familiari. Comunque però alcuni ministri si sono circondati di amici.
Il sistema clientelare è stato usato anche per cooptare e neutralizzare l’opposizione politica. Alcuni leader politici – indipendenti, di sinistra e islamisti – sono stati inseriti nel progetto dell’ANP che inizialmente rifiutavano. Sono stati loro offerti privilegi, vantaggi, accesso a posti prestigiosi nel settore pubblico, in cambio della fedeltà politica. In effetti, alcuni di questi personaggi cooptati sono diventati soggetti chiave delle politiche dell’ANP.
Il denaro e il potere delle élite
La corruzione annidata nel sistema politico palestinese è esemplificata al meglio dall’interrelazione tra potere e denaro al più alto livello dell’autorità politica. E’ la forma di corruzione più diffusa ed è anche la più difficile da scoprire perché le elite spesso godono di immunità sociale, politica o giuridica. Inoltre la complessità delle modalità con cui il denaro cambia di mano ed il suo carattere transnazionale – che può implicare mercato nero, riciclaggio e conti bancari esteri – rende questa forma di corruzione particolarmente difficile da individuare.
Quello che sappiamo della corruzione dell’elite generalmente viene alla luce in periodi di conflitti politici interni ai circoli di potere, quando accuse reciproche di malversazione su larga scala riempiono i titoli dei media. Per esempio, Mohammed Dahlan, ex uomo forte della sicurezza a Gaza, ha accumulato gran parte della sua ricchezza grazie al monopolio sulle importazioni chiave a Gaza negli anni ’90. Dopo la sua espulsione dal Comitato Centrale di Fatah a causa delle accuse di pianificare il siluramento del presidente della AP Mahmoud Abbas, sono state lanciate contro di lui molte altre accuse di corruzione, come quella di incamerare proventi fiscali per usarli per i suoi affari a Londra e Dubai.
Analogamente, Mohammad Rashid, ex consigliere economico di Arafat e alleato chiave di Dahlan, è stato condannato in contumacia per il trasferimento di milioni di dollari del Fondo di Investimenti Palestinese e la creazione di imprese fasulle. In risposta, Rashid ha rivelato che Fatah aveva un conto bancario segreto in Giordania, gestito dal presidente e da due suoi collaboratori. In ogni caso, la rivelazione della corruzione è il risultato di una lotta di potere piuttosto che di seri sforzi per combatterla. Il cattivo uso di posizioni ufficiali a fini personali è un altro aspetto della corruzione dell’elite. I casi venuti alla luce comprendevano uso personale non autorizzato di risorse pubbliche, affari illegali pubblici e privati e furto di proprietà pubblica. Queste prassi erano consuete negli anni ’90 ed hanno avuto un impatto negativo sull’immagine dell’ANP a livello locale ed internazionale. Secondo la prima verifica dei conti palestinese, condotta nel 1997, quasi il 40% del budget dell’ ANP – circa 326 milioni di dollari – è stato oggetto di appropriazione indebita.
Nonostante alcuni tentativi di riformare l’ANP negli ultimi anni, non sembra esserci stato alcun sostanziale progresso nel combattere il fenomeno. Secondo il rapporto “AMAN 2008″, l’abuso di potere per appropriazione indebita e spreco di proprietà pubblica si possono chiaramente rilevare nell’allocazione di terre statali ad individui o aziende. Il rapporto “AMAN 2011″ rivela la continuità di questa tendenza, in cui lo spreco di fondi pubblici resta la principale forma più evidente di corruzione.
Un’altra forma di arricchimento da parte dell’elite politica a spese della popolazione si può riscontrare nell’eccessiva sperequazione dei redditi in Palestina. L’indice Gini [che riguarda l’equità nella distribuzione del reddito. N.d.tr.] ha rilevato l’estesa diseguaglianza nei livelli di reddito tra i funzionari di alto rango ed il resto dei dipendenti dell’ANP nel 2013. Secondo recenti rapporti, alcuni funzionari del settore pubblico guadagnano un salario mensile di oltre 10.000 dollari, godendo anche di altri privilegi. Invece i due terzi dei dipendenti del settore pubblico dell’ANP guadagnano tra i 515 e i 640 dollari al mese.
Corruzione sotto occupazione
Israele ha ripetutamente favorito e sfruttato la corruzione nell’ANP. Lo ha fatto per gettare discredito sui palestinesi per la loro debolezza economica e sviare l’attenzione dal devastante impatto delle sue politiche coloniali sullo sviluppo sociale ed economico palestinese. Benché la corruzione nell’ANP sia indubbiamente deleteria sul piano economico, vale la pena notare che i suoi effetti sono di gran lunga secondari rispetto all’impatto della sistematica distruzione dell’economia palestinese da parte di Israele. Ci sono molti modi in cui Israele si rivela un attore fondamentale nello sviluppo della corruzione e nella protezione dei corrotti. Le posizioni di monopolio nel settore pubblico e privato occupate da individui delle alte sfere della burocrazia dell’ANP e dai loro partner nel settore privato non sarebbero stati possibili senza la collusione e collaborazione degli interessi israeliani ed il consenso dell’establishment politico e della sicurezza israeliano.
Un altro esempio è il coinvolgimento diretto di Israele nei cosiddetti “conti segreti” creati negli anni ’90 da alcuni funzionari palestinesi in tutto il mondo, inclusi conti gestiti nella Banca israeliana Leumi. Gran parte del denaro proveniva dalle tasse che Israele prelevava sulle importazioni palestinesi, che trasferiva direttamente su questi conti. Tra il 1994 e il 1997 si dice che Israele abbia trasferito 125 milioni di dollari su questi conti; nel solo 1997 pare che Israele abbia trasferito 400 milioni di dollari su conti palestinesi in banche israeliane. Benché il ruolo di Israele sia meno visibile negli ultimi anni, offre ancora un paradiso fiscale per i corrotti e fornisce loro protezione.
Al tempo stesso, la propaganda israeliana sfrutta attivamente la corruzione dell’ANP. Israele usa anche le accuse di corruzione dei palestinesi per trarne un vantaggio politico. Durante la seconda Intifada scoppiata nel 2000, Israele ha usato la carta della corruzione come parte di una più ampia strategia per disfarsi di Arafat ed imporre un processo di “riforma” sostenuto dall’esterno, adeguato al proprio progetto politico. In particolare, Israele ha sfruttato la preoccupazione internazionale per il “terrorismo” accusando Arafat di utilizzare risorse dell’NP per finanziare il terrorismo. Ha imposto con successo una ristrutturazione delle istituzioni dell’ANP appoggiata internazionalmente, indebolendo Arafat con la creazione del nuovo ruolo di primo ministro e la ristrutturazione del Ministero delle Finanze.
Come i palestinesi rispondono alla corruzione
I palestinesi che vivono sotto occupazione israeliana pensano che la corruzione sia uno dei problemi più seri che hanno di fronte, secondo solo all’occupazione stessa. Un sondaggio d’opinione del 2014 ha rilevato che il 25% dei palestinesi intervistati riteneva che la corruzione fosse un problema serio, al secondo posto dopo l’occupazione e le colonie, che raggiungeva il 29%. Queste percentuali non sono sorprendenti, dato che la corruzione riduce ulteriormente le già scarse risorse palestinesi e produce un’ampia gamma di problemi sociali, contribuendo alla disuguaglianza e danneggiando il tessuto sociale, per non parlare del danno alla lotta per la liberazione nazionale e per ottenere i diritti dei palestinesi.
La prima sfida interna alla corruzione dell’ANP fu nel 1997, quando il PLC (Consiglio Legislativo Palestinese) pubblicò un rapporto in seguito alla prima revisione del bilancio sopra citata. Il rapporto rivelava una vasta corruzione nelle istituzioni dell’ANP e conteneva pesanti accuse a tutti i ministeri.
Il rapporto fu un elemento cruciale in quanto aprì gli occhi alla popolazione palestinese sull’esistenza di reti di corruzione sistematica dentro l’ANP. In risposta, i palestinesi iniziarono a mobilitarsi e a chiedere riforme e trasparenza. Nel 1999, 20 importanti personalità, inclusi accademici, intellettuali e membri del PLC, firmarono il manifesto “La nazione ci chiama”, che accusava Arafat di “aprire le porte agli opportunisti per far dilagare la corruzione nelle strade della Palestina.” Le forze di sicurezza della AP arrestarono molti dei firmatari e li accusarono di minacciare l’unità nazionale.
Nel 2004, la crescente insoddisfazione popolare nei confronti dell’ANP sfociò in proteste di piazza riguardanti incarichi governativi ad alcuni personaggi notoriamente corrotti. Di fronte alla crescente pressione interna ed esterna sull’ANP, Arafat riconobbe l’esistenza della corruzione e promise che coloro che erano coinvolti nel malaffare sarebbero stati perseguiti.
La rabbia popolare contro la corruzione fu anche un importante fattore della vittoria elettorale di Hamas nelle elezioni parlamentari del 2006. Per molta gente, Hamas costituiva un’alternativa ed aveva guadagnato rispetto per l’efficienza dei servizi che forniva, soprattutto tra gli strati più poveri della popolazione. Comunque, dopo la formazione del governo guidato da Hamas nel 2006, esso iniziò a creare il proprio clientelismo nominando e promuovendo propri sostenitori in diverse posizioni governative. Ciò contribuì alla lotta di potere ed alla rivalità politica tra Hamas e Fatah. Finora, la competizione Hamas-Fatah sulle nomine costituisce un significativo ostacolo al processo di riconciliazione tra le due fazioni. Nel frattempo, gli anni di potere di Hamas nella Striscia di Gaza hanno portato il popolo a lanciare accuse di corruzione contro Hamas analoghe a quelle contro Fatah, soprattutto dopo che Hamas ha cominciato a trarre grandi profitti dall’economia dei tunnel tra il 2007 e il 2014, unitamente alla mancata trasparenza nella gestione degli introiti.
In parziale risposta all’insoddisfazione popolare, l’ANP ha istituito nel 2010 la Commissione Palestinese Anti Corruzione (PACC). La PACC ha il compito di ricevere le proteste del pubblico e di assicurare che i casi di corruzione siano trattati con rapidità ed efficacia. Benché la PACC sia dipinta come una commissione indipendente, sia finanziariamente che amministrativamente il suo capo è stato nominato con decreto presidenziale, e molti membri del comitato consultivo sono ex ministri, ambasciatori e consiglieri del Presidente. Alcuni casi di corruzione sono stati portati davanti alla giustizia, ma comunicati stampa e interviste di chi scrive segnalano che le indagini condotte sono selettive. Inoltre, i sondaggi della pubblica opinione indicano un aumento della sfiducia popolare nella PACC ed una sensazione di sistematica interferenza nel suo lavoro da parte della presidenza, del servizio di sicurezza e dei partiti politici.
Le campagne popolari contro la corruzione sono molto diminuite negli ultimi anni, in parte a causa del maggiore autoritarismo dell’ANP e della crescente repressione dei suoi servizi di sicurezza. Questa comprende il blocco di siti web che pubblicano notizie di diffusa corruzione dell’ANP.
Sradicare la corruzione
In questo articolo si è sostenuto che la corruzione nelle istituzioni palestinesi è strutturale ed è radicata nel sistema politico palestinese anteriore all’epoca di Oslo. Affrontare la corruzione attraverso misure tecniche e burocratiche non è sufficiente. Queste misure potrebbero essere controproducenti in quanto potrebbero fornire una cortina fumogena per nascondere le radici politiche che perpetuano gli incentivi e le opportunità per la corruzione.
L’eliminazione effettiva della corruzione richiederebbe una risposta strutturale che coinvolga l’intero sistema politico. Questo implicherebbe un efficace sistema di controllo legislativo, verifiche istituzionali ed un sistema giudiziario indipendente e ben funzionante. L’immunità dovrebbe essere tolta a qualunque persona, a prescindere dalla sua posizione, in caso di uso indebito diretto o indiretto del potere politico e delle risorse pubbliche. I rappresentanti della società civile dovrebbero svolgere un ruolo effettivo nel controllo delle istituzioni e delle risorse pubbliche. Inoltre l’industria degli aiuti internazionali costituisce un campo fertile per la corruzione e l’assenza di responsabilità. L’attuale sistema di aiuti necessiterebbe di essere riformato in modo da assicurarsi che non favorisca lo sviluppo della corruzione.
Comunque, è difficile intravvedere una situazione in cui queste misure siano accolte ed attuate nel prossimo futuro. La Palestina è uno Stato che non ha sovranità, in cui il popolo sopravvive a stento sotto una lunga occupazione di quasi 50 anni e un assedio di quasi un decennio. La maggioranza del popolo palestinese rimane fuori dalla Palestina, vivendo come esiliati e rifugiati in condizioni molto difficili, o come cittadini di seconda classe in Israele. La corruzione è stata un importante fattore che ha contribuito all’incapacità del movimento nazionale palestinese di raggiungere i propri obbiettivi ed ora è anche funzionale agli obbiettivi dell’occupazione israeliana. La corruzione rimarrà endemica dentro l’ANP finché gli stessi palestinesi non incominceranno a ristrutturare le loro istituzioni nazionali in base a principi democratici e a criteri di responsabilità, come parte di una più ampia strategia per perseguire l’autodeterminazione e i diritti nazionali palestinesi, compresa la libertà dall’occupazione.
Al Shabaka è un’organizzazione no-profit indipendente, il cui obiettivo è educare e promuovere il dibattito pubblico sui diritti umani e l’autodeterminazione dei palestinesi nell’ambito del diritto internazionale.
Questo documento di sintesi è stato redatto dal consigliere politico Tariq Dana, ricercatore esperto presso l’Istituto Ibrahim Abu-Lughod di Studi Internazionali, Università di Birzeit.
*Traduzione di Cristina Cavagna
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