In questi giorni del 2014 Israele lanciò la sua offensiva militare contro la Striscia che fece almeno 2.300 morti e distruzioni immense. Tre anni dopo 6.300 famiglie palestinesi non hanno ancora una casa e le condizioni di vita peggiorano ogni giorno di più per tutta la popolazione. Lanciato in Italia l’appello “Gaza deve vivere”
di Michele Giorgio
Roma, 8 luglio 2017, Nena News – Tre anni dopo l’offensiva israeliana “Margine protettivo” che ha ucciso almeno 2.300 palestinesi – 1.400 dei quali civili e tra questi 1/3 bambini -, 6300 famiglie della Striscia di Gaza (35mila persone), restano sfollate, senza una casa, spesso costrette a vivere ancora nelle tende e in alloggi di fortuna.
A ricordarlo e denunciarlo è il “Consiglio norvegese per i rifugiati” (Nrc), una delle più importanti Ong internazionali che assistono i profughi, che sottolinea inoltre il progressivo peggioramento delle condizioni di vita dei due milioni di abitanti, non più soltanto per il blocco di Gaza che Israele attua da oltre 10 anni ma anche in conseguenza dello scontro tra i movimenti palestinesi rivali Fatah e Hamas per il controllo di questo lembo di terra palestinese.
«Delle 11.000 case totalmente distrutte durante la guerra, poco più di un terzo sono state ricostruite», riferisce Nrc sottolineando che altre decine di migliaia di abitazioni furono danneggiate dai bombardamenti israeliani, con l’aviazione e l’artiglieria, che si concentrarono in modo particolare sulla fascia orientale di Gaza.
Ostacolata dal blocco israeliano, dai contastri tra Fatah e Hamas e dalla mancanza di assistenza dall’estero, la ricostruzione procede con drammatica lentezza. Sino ad oggi è giunto a Gaza solo il 30 per cento dei finanziamenti promessi tre anni fa dai donatori internazionali al termine dell’offensiva militare israeliana. L’Ong norvegese evidenzia che le restrizioni imposte da Israele hanno limitato fortemente l’ingresso a Gaza dei materiali per l’edilizia – secondo le autorità di Tel Aviv potrebbero essere usati da Hamas per costruire gallerie sotterranee – e che solo una quantità ridotta di cemento ha raggiunto la Striscia sulla base delle procedure annunciate dalle Nazioni Unite nel 2014 per facilitare la ricostruzione. Manca ancora il 46% del cemento necessario per continuare i lavori.
Israele lanciò la sua offensiva contro Gaza al termine di tre settimane di alta tensione, rastrellamenti e scontri in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, con morti e feriti palestinesi, durante le ricerche di tre giovani coloni israeliani rapiti nella zona tra Hebron e Betlemme e successivamente ritrovati uccisi.
La responsabilità di quelle uccisioni fu subito attribuita da Israele ad Hamas che ha la sua roccaforte a Gaza. Dopo incessanti bombardamenti dell’aviazione andati avanti per giorni – che causarono la strage di intere famiglie palestinesi all’interno delle loro abitazioni – le forze armate israeliane diedero inizio ad un’operazione di terra, perdendo decine di soldati negli scontri con i combattimenti di Hamas e di altre organizzazioni armate palestinesi.
Da parte sua il movimento islamico lanciò migliaia di razzi verso le città di Israele – anche a nord del Paese – provocando però scarsi danni ed un numero contenuto di vittime civili (tra i quali un bambino). La “guerra” – la terza in sei anni contro Gaza – durò 51 giorni ed ebbe fine grazie a un cessate il fuoco mediato dall’Egitto. Israele non ha collaborato con le indagini internazionali volte ad accertare crimini ed altri abusi a danno dei civili palestinesi e ha ripetuto in questi anni di aver agito nel rispetto delle leggi e convenzioni in tempo di guerra. Le forze armate israeliane si sono inoltre autoassolte al termine di una inchiesta interna.
Tre anni dopo i due milioni di abitanti di Gaza non solo fanno i conti con le conseguenze di quella offensiva altamente distruttiva ma sono vittime anche dello scontro tra l’Autorità nazionale palestinese e Hamas per il controllo della Striscia, da dieci anni nelle mani del movimento islamico.
Il presidente dell’Anp, Abu Mazen, ha adottato una serie di provvedimenti di “disimpegno” dall’assistenza alla popolazione di Gaza nel tentativo di costringere Hamas a rinunciare al controllo del territorio che stanno penalizzando solo i civili. Particolarmente pesante è stato il taglio del 40% del pagamento delle forniture di elettricità (da parte di Israele) che, unite allo stop dell’unica centrale elettrica della Striscia, da alcuni mesi lasciano Gaza con appena tre-quattro ore di elettricità al giorno. I recenti rifornimenti di gasolio per la centrale elettrica giunti dall’Egitto hanno solo leggermente alleviato il problema.
In Italia è stato lanciato nei giorni scorsi un appello “Gaza deve vivere per la vita di tutta la Palestina” a sostegno della popolazione della Striscia e per la fine del blocco israeliano e delle dispute tra le forze politiche palestinesi. Nena News