Stamattina un nuovo attacco contro un college della polizia a Sana’a. Al Qaeda si rafforza, mentre il governo non riesce a gestire la riconciliazione con la minoranza sciita.
della redazione
Roma, 7 gennaio 2015, Nena News – Almeno 30 morti e oltre 50 feriti: è il bilancio dell’ultimo sanguinoso attacco compiuto stamattina a Sana’a, capitale dello Yemen. Un’autobomba è saltata in aria fuori da un college della polizia, dove si stavano svolgendo le pratiche di arruolamento di nuovi poliziotti, a poca distanza dalla banca centrale e della sede del Ministero della Difesa: ancora una volta i simboli delle istituzioni yemenite sono il target di gruppi estremisti che da anni destabilizzano il paese.
Per ora nessuno rivendica l’azione, ma è probabile che anche questa volta la responsabilità sia imputabile ad Al Qaeda, che nell’attuale crisi politica yemenita trova nuova linfa. “La situazione è catastrofica – ha detto un paramedico giunto sul luogo dell’attacco – Abbiamo trovato corpi uno sopra l’altro”. Il braccio yemenita di Al Qaeda, considerato tra i meglio organizzati e armati nel Golfo, approfitta dell’avanzata dei nemici Houthi e dei raid statunitensi per incrementare il proprio consenso e accogliere nuovi adepti.
Pochi giorni fa un altro attacco aveva colpito una manifestazione Houthi, uccidendo 49 persone; domenica a morire erano stati altri 4 sostenitori della minoranza Houthi, a sud del paese. Dalla caduta del presidente Saleh nel 2012, lo Yemen è preda di settarismi interni e lotte fratricide: da una parte Al Qaeda e i gruppi estremisti sunniti, dall’altra gli Houthi – minoranza sciita vicina all’Iran e all’ex presidente – che negli ultimi mesi ha assunto con la forza il controllo di parte del paese, compresa la capitale Sana’a. In un simile contesto, la crisi delle istituzioni politiche appare ancora di più un ostacolo alla riconciliazione interna: nonostante i tentativi di riavvicinamento del nuovo governo agli Houthi, la minoranza non intende cedere le posizioni guadagnate senza garanzie di accesso al potere politico.
Sabato scorso il leader Houthi, Abdelmalek al-Houthi, ha minacciato il governo di Sana’a di assumere il controllo della provincia di Marib, ricca di petrolio: “Se le autorità ufficiali non si assumeranno le proprie responsabilità, agiremo a favore dell’onorevole popolo di Marib”. A poco valgono i tentativi del presidente Hadi: ieri una delegazione di consiglieri ha incontrato il leader al-Houthi per discutere del deteriorarsi repentino della sicurezza in Yemen, della possibile federazione dello Stato e della bozza di costituzione yemenita.
Agli Houthi l’idea di dividere lo Yemen in sei entità amministrative non piace, considerandola un modo per distruggere l’unità del paese e trasformarlo in cantoni piccoli e deboli, soprattutto a livello regionale. La proposta era stata definita dalla conferenza del Dialogo Nazionale, formata da delegati provenienti da tutte le province yemenite, e che ha tentato la via federale per porre fine ai settarismi interni. Gli Houthi hanno chiuso la porta, forti del controllo esercitato su aree strategiche, dalla capitale alla città costiera di Hodeidah, sul mar Rosso, il secondo porto del paese.
Dietro alla crisi politica yemenita stanno le condizioni economiche in cui versa lo Yemen: il 50% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e l’economia si fonda quasi esclusivamente sul greggio, i cui proventi non sono distribuiti secondo politiche egualitarie. Una situazione caotica che facilita i movimenti di rottura e di protesta, come quello Houthi, che continua ad espandere i territori di controllo incontrando una minima resistenza da parte delle forze militari governative (sia perché incapaci di fronteggiare gli Houthi sia per la collaborazione stretta dal movimento sciita con alcune forze fedeli all’ex presidente Saleh).
Non mancano ovviamente le influenze regionali: la confinante Arabia Saudita – convinta che dietro gli Houthi ci sia il nemico Iran – teme l’espansione sciita nel paese, cortile di casa di Riyadh, e non è improbabile che prima o poi muova i fili di gruppi anti-sciiti per fermarne l’avanzata. Nena News