Situazione tesa a Sana’a dove gli scontri tra gli ex alleati ha causato sabato sera la morte di tre persone. La coalizione saudita si difende dal massacro di venerdì (14 civili uccisi): “E’ stato un errore tecnico”
di Roberto Prinzi
Roma, 28 agosto 2017, Nena News – Continuano in Yemen gli scontri tra gli ex alleati: i ribelli sciiti e gli uomini dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh. Il bilancio delle violenze di sabato sera parla di tre morti: un ufficiale vicino a Saleh (il colonnello Khaled al-Rida) e due combattenti houthi.
La situazione è tesissima a Sana’a. Secondo alcuni testimoni, le forze dell’ex presidente sono state dispiegate nelle parti meridionali della capitale vicino agli uffici presidenziali ancora controllati da Saleh nonostante quest’ultimo abbia rassegnato le sue dimissioni nel 2012. E se la presenza di uomini armati dell’una e dell’altra parte non è un buon segnale per l’alleanza (e per i civili), a peggiorare il quadro sono le dichiarazioni bellicose del Partito del Congresso generale del Popolo (quello che fa capo all’ex presidente) che in una nota ha fatto sapere ieri che “rimanere silenziosi di fronte all’incidente aprirebbe le porte ad un conflitto che sarebbe difficile da contenere”.
A quale “incidente” si fa riferimento? Secondo fonti vicine al partito, agli scontri iniziati vicino ad un checkpoint gestito dagli houthi per una disputa su chi lo avrebbe dovuto controllare. Che la crisi tra i due contendenti è profonda lo dimostra anche il fatto che non sono poche le voci all’interno del blocco politico di Saleh che avvisano gli houthi che le scaramucce sanguinose di questi giorni potrebbero sfociare in una vera e proprio guerra nella capitale.
Il dissidio tra le due parti non sorprende più di tanto. Già al tempo in cui era stata ufficializzata l’alleanza (2014), alcuni analisti avevano definito l’unione tra le due forze semplicemente come una “mossa tattica”: da un lato i ribelli avrebbero approfittato del potere politico di Saleh per avere legittimità, dall’altro quest’ultimo avrebbe potuto utilizzare i primi militarmente sul terreno.
La rottura però è giunta la scorsa settimana: ufficialmente perché Saleh ha definito la leadership degli houthi “milizia” accusandola di incapacità nell’amministrare i territori controllati e nel pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici. I ribelli, a loro volta, hanno risposto per le rime dandogli del “traditore”.
Ovviamente non siamo di fronte ad una bagarre linguistica. In gioco c’è molto di più: consapevole dello stallo, dicono alcune fonti locali, l’ex presidente starebbe lavorando ad un’eventuale exit strategy. Da ex alleato di ferro saudita, avrebbe avviato una trattativa segreta con le petromonarchie per modellare una transizione senza gli Houthi.
Di questa lacerazione ne potrebbe approfittare la coalizione saudita che sostiene il governo di Hadi ad Aden (riconosciuto internazionalmente). Ma anche in questo campo non mancano profonde divisioni politiche: la frattura con i separatisti del sud appare al momento difficile da sanare. Inoltre la coalizione saudita che sostiene Hadi ha passato finora più tempo a “scusarsi” per i suoi raid mortiferi che a costruire un piano politico-militare alternativo ai tanto odiati ribelli sciiti (forse però il corteggiamento di Saleh potrebbe rappresentare una svolta a tal proposito). L’ultima strage in ordine di tempo targata dal blocco sunnita è avvenuta venerdì: nel bombardamento sono stati uccisi 14 civili nella capitale Sana’a. “E’ stato un errore tecnico” si è difesa ieri l’alleanza anti-houthi in una nota riportata dall’agenzia statale saudita. Il portavoce della coalizione, il Colonello Turki al-Malki ha detto di essere “rammaricato per il danno collaterale causato da questo incidente involontario” e ha offerto “le condoglianze alle famiglie e ai parenti della vittime”. La colpa, sostiene però la coalizione, è dei ribelli che usano i civili come “scudi umani” nelle aree residenziali sud della capitale. Sono quest’ultimi insomma i veri colpevoli, non i bombardieri dall’alto.
Eppure di errori “tecnici” la coalizione ne ha commessi tanti in questi quasi due anni e mezzo di guerra: la sola settimana passata, ha detto l’Onu, i jet sauditi hanno ucciso più di 42 civili (molti i bambini tra le vittime). A condannare i massacri di Riyadh è stata anche la Commissione Internazionale della Croce Rossa che ha definito l’ultima strage “vergognosa”. Amnesty International ha denunciato l’Arabia Saudita perché “ha fatto piovere bombe sui civili mentre dormivano”.
I raid continui, le violenze dei combattimenti, la gravissima carestia rendono la situazione umanitaria sempre più preoccupante nel Paese. Ieri il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres ha invitato le parti in lotta a permettere l’ingresso degli aiuti umanitari. “Stiamo facendo il nostro meglio per creare le condizioni per superare l’attuale stallo” ha detto Guterres dal Kuwait dove ha provato senza successo a disinnescare la crisi Qatar.
L’alto diplomatico internazionale ha poi detto che le Nazioni Unite stanno provando a facilitare la riapertura del principale aeroporto internazionale a Sana’a così come del porto di Hudeida, luoghi chiave per l’arrivo di aiuti umanitari. Aiuti che appaiono assolutamente necessari in un conflitto che, (cifre molte a ribasso perché ferme da tempo) ha già fatto 10.000 vittime. A questo dato vanno poi aggiunte le 2.018 persone morte da aprile di colera (ultimo aggiornamento fornito sabato dall’Organizzazione mondiale della Sanità).
Le parole di Gutterres appaiono tardive e giungono soltanto dopo che decine di organizzazioni della società civile yemenita hanno chiesto all’Onu di garantire l’ingresso alle ong per la consegna di aiuti umanitari nelle aree più disastrate del Paese. Intervenendo al Consiglio dei diritti umani dell’Onu, una coalizione dei gruppi ha parlato di “sfide crescenti” che affrontano ogni giorno “a causa delle restrizioni imposte sul loro lavoro”. “Gli aiuti umanitari non sono permessi nelle aree di Taez, da due anni sotto assedio. I difensori dei diritti umani e gli attivisti rischiano costantemente di essere uccisi o di vedere ristretta la loro libertà”. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir