L’attentato dello “Stato islamico” è avvenuto ieri all’interno di un compound militare. Ribelli houthi e governo yemenita, intanto, sarebbero pronti ad una nuova iniziativa di pace sponsorizzata dagli Usa. L’Onu lancia l’allarme: “profondamente preoccupati per le condizioni umanitarie nel Paese”
AGGIORNAMENTO
ore 13:40 ONU: “Sono circa 10.000 le vittime del conflitto yemenita”
Intervenendo oggi ad una conferenza stampa, il Coordinatore umanitario delle Nazioni Unite, Jamie McGoldrick, ha detto che “le vittime dei 18 mesi della guerra civile yemenita sono circa 10.000″. Un dato molto più grave rispetto alla stima dei 6.600 finora ripetuta da ufficiali e volontari. McGoldrick ha spiegato che il nuovo calcolo si basa su informazioni ufficiali fornite dalle strutture mediche presenti in Yemen. Un dato che purtroppo deve essere letto a ribasso: il coordinatore delle Nazioni Unite ha infatti riferito che alcune aree non hanno centri sanitari e i familiari delle vittime seppelliscono pertanto i loro cari direttamente.
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di Roberto Prinzi
Roma, 30 agosto 2016, Nena News – E’ stato un massacro l’attacco suicida dello “Stato Islamico” (Is) avvenuto ieri in un campo di addestramento di Aden nel sud dello Yemen: i morti sono stati 70, i feriti 67 (alcuni in gravissime condizioni).
Secondo le ricostruzioni delle forze di sicurezza locali, un attentatore suicida sarebbe riuscito ad entrare con la sua vettura nel compound militare dietro ad un camion che trasportava le colazioni per le reclute. A quel punto si sarebbe fatto esplodere uccidendo decine di persone che erano allineate per ricevere il pasto. Molte vittime – sostengono alcuni ufficiali – sarebbero rimaste seppellite dalla caduta del tetto della struttura a causa della violenta esplosione.
Aden, la “capitale temporanea” del governo yemenita, è stata spesso teatro di attentati terroristici che hanno preso di mira le forze di sicurezza, ma quello di ieri è stato “l’attentato più sanguinoso avvenuto in città” come ha osservato giustamente su al-Jazeera Hakim al-Masmari, redattore del quotidiano Yemen Post. La mattanza di ieri porta di nuovo al centro dell’attenzione la forza conquistata nel Paese dai gruppi jihadisti che, approfittando del caos generato dalla guerra civile, sono riusciti a conquistare vaste aree nel sud est dello Yemen.
Nel tentativo di frenare l’avanzata di al-Qa’eda nella penisola arabica (offshoot yemenita dell’organizzazione radicale islamica) e dell’Is da circa due mesi le autorità locali stanno addestrando centinaia di soldati ad Aden. E negli ultimi tempi i risultati sembravano essere incoraggianti: a inizio mese il governo yemenita era riuscito ad entrare a Zinjibar, capitale dell’instabile provincia dell’Abyan, dovendosi però fermare ad al-Mahfid per la strenua resistenza dei qa’edisti.
Nonostante questi successi militari, si è ancora lontani dall’aver “bonificato” l’intera parte meridionale del Paese dalle formazioni radicali islamiche: i jihadisti, infatti, continuano a controllare ampie aree della provincia di Shabwa e dell’Hadhramawt e, come l’attacco di ieri mostra nitidamente, riescono ad aggirare senza grossi problemi i controlli delle forze di sicurezza anche nei territori amministrati dal governo.
Gli attacchi devastanti di al-Qa’eda e dell’Is si vanno ad inserire nella già difficile situazione politica che vive lo Yemen sempre più lacerato dalla sanguinosa guerra tra la coalizione a guida saudita e le forze ribelli houthi. Un conflitto che, iniziato alla fine del marzo 2015, è ben lontano dal concludersi. Eppure i giorni che hanno preceduto l’attentato di Aden avevano mandato qualche timido segnale di speranza. Il governo yemenita sostenuto da un blocco sunnita a guida saudita, infatti, aveva accolto con favore il piano statunitense per riprendere i colloqui di pace (naufragati in Kuwait ad agosto dopo tre mesi di sterili trattative) che dovrebbero portare alla formazione di un governo di unità nazionale. Posizione che sembra essere condivisa anche dai ribelli (sostenuti dall’ex presidente Saleh e, sebbene non ufficialmente, dall’Iran) che dalla capitale Sana’a hanno definito “positiva” la proposta Usa.
Ma è stata soprattutto l’apertura del presidente yemenita Hadi a destare maggiori sorprese: come riportato dal sito sabanew.net, in un meeting tenutosi sabato a Riyad il suo esecutivo ha dato “un parere positivo alle proposte emerse nel vertice di Jeddah” a cui ha partecipato anche il Segretario di Stato americano John Kerry. Kerry vuole far avanzare la lenta macchina diplomatica: giovedì scorso aveva incassato l’ok dei rappresentati dei Paesi del golfo, della Gran Bretagna e dell’inviato speciale delle Nazioni Unite in Yemen, Ismail Ould Cheikh Ahmed.
La proposta americana offre agli houthi e ai loro alleati di entrare a far parte del governo d’unità, ma impone loro il ritiro da Sana’a e da altre aree occupate negli ultimi mesi e la consegna delle armi. Da parte loro i ribelli sciiti considerano la creazione di un esecutivo nazionale un passaggio necessario per porre fine al caos yemenita. Domenica, riferisce un’agenzia di stampa vicina alle forze sciite, “[gli houthi] hanno discusso i passi necessari da compiere per la fondazione di un governo al più presto possibile” in una riunione del Consiglio Supremo, un organismo politico creato di recente dai ribelli che ha suscitato non pochi malumori ad Aden. Il governo del presidente Hadi è pronto a riprendere il processo di pace, ma a condizione che venga rispettata la risoluzione Onu 2216 (ritiro degli houthi dai territori occupati e consegna delle armi).
Che una soluzione politica quanto più unitaria possibile venga trovata al più presto è assolutamente necessario: la situazione umanitaria è sempre più preoccupante. Anche la diplomazia internazionale – che per mesi ha sonnecchiato di fronte alla catastrofe vissuta dal Paese e ha di fatto perso tempo in Kuwait – sembra aver compreso che ora non può più aspettare, che deve agire. La mattanza di Aden servirà ad accelerare questo processo? Solo il tempo potrà dirlo. Giovedì scorso Kerry è stato laconico, ma chiaro: “la guerra in Yemen deve terminare il più presto possibile”.
Una speranza ribadita anche dall’Onu che ieri è tornata ad esprimere la sua “profonda preoccupazione” per le conseguenze dei combattimenti sui civili. Il coordinatore per gli Affari umanitari delle Nazioni Unite in Yemen, Jamie McGoldrick, ha invitato le autorità locali all’immediata apertura dell’aeroporto di Sana’a e alla ripresa dei voli commerciali nella capitale nel tentativo di alleviare la sofferenza della popolazione. Secondo l’Onu, in 16 mesi di guerra sono state uccise almeno 6.600 persone (stima rivista nettamente a ribasso se i considera che da tempo questo dato non viene aggiornato). L’80% della popolazione ha bisogno di aiuti umanitari. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir