“Mentre prepareremo il ricorso – si legge nella nota del Dipartimento per il commercio internazionale – non attribuiremo nuove licenze di export all’Arabia Saudita e ai suoi partner, che possano essere usate nel conflitto in Yemen”. Un’indiretta ammissione di quanto affermato dalle ong: quelle armi vengono utilizzate per commettere crimini contro i civili e contro l’umanità.
Una realtà che la Corte non è stata in grado di accertare, avevano affermato i giudici, secondo cui lo stop era giustificato invece dal mancato controllo del governo alla luce delle violazioni del diritto internazionale commesse da Riyadh in passato: “La questione se esisteva un percorso storico di violazioni del diritto umanitario internazionale da parte della coalizione e dell’Arabia Saudita in particolare – hanno scritto i giudici – era una questione che andava affrontata. Se anche non fosse stato possibile rispondere con ragionevole sicurezza, si doveva almeno tentare”.
Per questo, avevano affermato i giudici, la vendita di armi è “irrazionale e di conseguenza illegale”, superando la precedente sentenza dell’Alta Corte che nel 2017 aveva rigettato il precedente ricorso di Caat. Da parte loro gli attivisti avevano presentato numerose prove, raccolte anche da inchieste giornalistiche, che mostravano come l’enorme quantitativo di armi acquistato dalla coalizione negli ultimi anni dai governi europei era poi ampiamente usato in Yemen.
Londra è il secondo esportatore di armi a Riyadh dopo gli Stati Uniti: sei miliardi di dollari dal 2015, quando la guerra è cominciata, ovvero il 43% delle vendite totali di armi britanniche. Di questi 3,4 in aerei da guerra e 2,4 in missili, bombe e granate, oltre a 6.200 contractor britannici impiegati nelle basi saudite come addestratori e 80 uomini della Royal Air Force operativi nei centri di comando di Riyadh. Il valore, però, affermano le ong, è al ribasso: sarebbero da aggiungere le licenze accordate con il sistema Open Individual Export Licences, piuttosto opaco visto che non richiede un’autorizzazione.
Ma buone notizie arrivano anche dalla Camera dei Deputati italiana: stamattina il parlamento ha approvato la mozione della maggioranza – dopo che Pd e LeU ne avevano presentate di proprie per chiedere lo stop immediato alla vendita di armi a Riyadh e il transito per i porti italiani di armamenti diretti ai sauditi – che impegna il governo a “proseguire, in tutte le sedi competenti, l’azione volta ad ottenere l’immediato cessate il fuoco e l’interruzione di ogni iniziativa militare in Yemen”; “a valutare l’avvio e la realizzazione di iniziative finalizzate alla futura adozione, da parte dell’Unione europea, di un embargo mirato sulla vendita di armamenti ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti”; e “a continuare ad assicurare un’applicazione rigorosa delle disposizioni della legge 9 luglio 1990, n. 185, e ad adottare gli atti necessari a sospendere le esportazioni di bombe d’aereo e missili che possono essere utilizzati per colpire la popolazione civile e loro componentistica verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sino a quando non vi saranno sviluppi concreti nel processo di pace con lo Yemen”.
Ovvero stop all’invio di armi prodotte nella sede sarda di Domusnovas della Rwm Italia della tedesca Rheinmetall. Ora resta da vedere se la mozione sarà effettivamente applicata, un dubbio affatto peregrino visto che una legge in merito – proprio la 185/1990 citata dalla mozione – impedirebbe già di suo il traffico militare. Per ora comunque le associazioni italiane festeggiano il voto, con una nota però da non tralasciare: la mozione – come scrive su Twitter Rete Disarmo – non cita la riconversione dell’industria militare. La lotta continua. Nena News