Popolazione allo stremo, attentati dell’Isis, al Qaeda che si rafforza, droni Usa e chiusura al dialogo. Sono gli ingredienti che stanno facendo precipitare il Paese in una guerra civile
di Sonia Grieco
Roma, 24 giugno 2015, Nena News – Tutti invocavano una tregua, ma nessuno ha ceduto e così il negoziato indiretto tra i ribelli Houthi e il governo del presidente yemenita Abd Rabbo Mansour Hadi, svoltosi a Ginevra la scorsa settimana, è fallito. Mentre il Paese precipita verso un conflitto civile e si acuisce la crisi umanitaria.
Un dialogo avvolto dallo scetticismo generale (e segnato da una raffica di attentati contro moschee sciite, in coincidenza con l’inizio del Ramandan), che, nonostante gli sforzi dell’Onu che l’ha patrocinato, è stato segnato dall’intransigenza (Hadi pretendeva una resa incondizionata dei rivali, tra cui anche i fedeli all’ex presidente Saleh di cui è stato vice fino alla caduta nel 2012) e da scambi di accuse che hanno chiamato in causa le due potenze che si contendono, sul campo di battaglia yemenita, il primato regionale: l’Arabia Saudita, sostenitrice e finanziatrice di Hadi, e l’Iran, vicino agli Houthi. Alleanze di circostanza: Riad teme l’ingerenza di Teheran in quello che considera il suo giardino di casa (ma anche l’anello debole del suo bacino di influenza), proprio mentre gli ayatollah contrattano con Washington un accordo sul nucleare che potrebbe decretare la fine di un lungo isolamento. Gli Houthi, un clan dello Yemen settentrionale il cui nome è usato per identificare il movimento di combattenti Ansar Allah, hanno un legame con la Repubblica islamica dettato dagli interessi del momento, non certo dalla comunanza della fede sciita, né da un’alleanza strutturata e permanente.
Dunque, la guerra fredda tra Arabia Saudita e Iran si combatte in Yemen, poverissimo e trascurato dai media. I bombardamenti della coalizione di Paesi arabi guidata da Riad proseguono da tre mesi, come pure i combattimenti tra gli Houthi che hanno iniziato la loro avanzata dal Nord a settembre, occupando la capitale Sana’a e spingendosi fino a Sud, e le truppe fedeli al presidente in esilio a Riad. I morti sono quasi duemila e migliaia i feriti.
Ieri, le forze fedeli a Hadi hanno conquistato un varco alla frontiera (Wadee’ah) con il regno saudita. Un duro colpo ai ribelli sciiti, coadiuvati dai fedeli all’ex presidente Saleh, che comunque controllano altri tre varchi e buona parte del Paese, ragion per cui Hadi ha bisogno dei raid della coalizione per contrastare l’avanzata degli Houthi. Intanto, gli yemeniti si armano e si schierano con le varie fazioni in conflitto, mentre il Paese sta precipitando in una nuova guerra civile. Secondo giornalisti locali, l’acuirsi dei combattimenti ha spinto molte persone ad acquistare armi sul mercato nero per difendersi. La popolazione è sotto il tiro incrociato di Houthi e forze fedeli al presidente, cioè polizia, esercito e comitati di resistenza popolare, mentre dal cielo piovono le bombe della coalizione che hanno reso inutilizzabili diversi aeroporti.
Lo Yemen è isolato e devastato dal conflitto, e le notizie faticano a farsi strada tra internet che funziona male, l’elettricità che manca e le redazione e siti web sotto il controllo delle diverse fazioni in lotta. Il blocco marittimo e aereo imposto da Riad sta aggravando la crisi umanitaria. Il passaggio degli aiuti, inoltre, è complicato e rallentato dalla farraginosa burocrazia imposta dalla coalizione. È di questi giorni la notizia di tremila casi di sospetta febbre dengue, malattia infettiva endemica nel Paese, ma che rischia di mietere molte più vittime a causa dei danni alle già insufficienti strutture sanitarie causati dai bombardamenti e della carenza di farmaci. Scarseggiano anche cibo, acqua e carburante: secondo l’Onu, l’80 per cento dei circa 24,5 milioni di abitanti ha bisogno di aiuti umanitari. Aumentano le vittime tra la popolazione civile e l’emergenza umanitaria sta spingendo molti alla fuga verso il Corno d’Africa, da dove fino a poco tempo fa si imbarcavano i profughi somali, etiopi, eritrei che approdavano in Yemen (unico Paese della Penisola arabica ad avere sottoscritto la Convenzione sui rifugiati) per essere accolti dalle numerose Ong e agenzie Onu presenti in questo poverissimo Stato arabo.
E ad aggravare la situazione ci sono l’Isis, che si è fatto vivo con attentati kamikaze contro moschee sciite, ed Al Qaeda che in Yemen ha la sua filiale più forte e i campi di addestramento. I qaedisti stanno approfittando del caos per guadagnare terreno, ma continuano ad essere il bersaglio dei droni statunitensi, sempre in azione nel Paese. Le bombe di Riad e quelle di Washington hanno creato un clima di totale insicurezza, anche perché adesso il governo riconosciuto dalla cosiddetta comunità internazionale, quello con cui concordare l’impiego dei droni, è in esilio e pare che gli Usa siano tornati alla tattica dei cosiddetti “signature strike”, cioè si fa fuoco in base a modelli comportamentali (l’obiettivo si comporta come un terrorista) e non in base all’identificazione certa del bersaglio. È così che la Cia all’inizio di giugno ha fatto fuori Nasser al-Wuhayshi, leader del ramo yemenita di Al Qaeda e numero due di Ayman al Zawahri, e uomo di fiducia di Osama Bin Laden. Nena News
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