Le vittime erano accusate di essere coinvolte nell’assassinio di uno dei leader houthi avvenuto 3 anni fa. L’Onu condanna. Tensione al sud ed est del Paese dove le proteste di una popolazione affamata che chiede servizi di base sono state represse nel sangue da parte delle forze governative
della redazione
Roma, 20 settembre 2021, Nena News – Nove persone sono state giustiziate sabato in Yemen perché accusate dai ribelli sciiti houthi di aver preso parte all’assassinio tre anni fa di uno dei loro leader, Saleh al-Sammad. Le uccisioni, scrive l’agenzia di stampa Saba pro-Houthi, sono avvenute nella piazza Tahrir di Sana’a (la capitale dello Yemen) e sono state compiute da un plotone d’esecuzione. Altre 17 persone sono state incriminate da una corte houthi per l’assassinio di al-Sammad: tra queste, figurano anche l’erede al trono saudita Mohammad bin Salman e l’ex presidente Usa Donald Trump che sono stati processati in contumacia.
Sulle uccisioni di sabato è intervenuto ieri il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres che ha condannato quanto accaduto spiegando che le esecuzioni “non sembrano aver rispettato i criteri di un processo giusto secondo il diritto internazionale”. Ma Guterres ha anche espresso preoccupazione “per un raid della coalizione a guida saudita a Shabwa (sud est dello Yemen) che avrebbe ucciso almeno 6 civili della stessa famiglia”. Il capo dell’Onu ha quindi ribadito che “attaccare direttamente i civili e le infrastrutture civili è proibito dalla legge umanitaria internazionale”.
Saleh al-Sammad, ex capo del Consiglio politico supremo dei ribelli sciiti, fu ucciso insieme ad altre 6 persone nel 2018 da un bombardamento della coalizione a guida saudita nella provincia occidentale di Hodeida. Allora l’Arabia Saudita definì l’assassinio di Samad come “una grande vittoria” nella battaglia contro l’Iran (che supporta gli houthi). Al-Sammad, disse Riyad, aveva minacciato di lanciare una serie di missili contro il territorio saudita, cosa che si ripete ormai da anni. L’ex capo del Consiglio politico dei ribelli sciiti è stato finora il più alto leader houthi ad essere assassinato da quando una coalizione a guida saudita ha dato avvio nel marzo 2015 ai raid in Yemen in seguito all’occupazione, l’anno precedente, della capitale Sana’a e di altre aree del paese da parte dei ribelli houthi.
Sono passati 6 anni e mezzo dall’inizio della guerra, ma si continua a combattere: sono ormai decine di migliaia le vittime tra i civili e milioni sono le persone a rischio carestia in quella che le Nazioni Unite definiscono la peggiore crisi umanitaria al mondo.
Intanto la tensione è alta nel sud del Paese dove la scorsa settimana, per diversi giorni consecutivi, si sono registrate accese proteste per chiedere alle autorità servizi di base e per fare in modo che la moneta locale (riyal) resti stabile. Un dollaro Usa, infatti, vale ormai nelle provincie meridionali del Paese più di 1.120 riyal e ciò rende di fatto i prezzi del cibo proibitivi per molti cittadini. Si pensi solo che nel 2015 un dollaro corrispondeva a 215 riyal. Le manifestazioni della scorsa settimana hanno portato all’uccisione di due manifestanti ad Aden da parte delle forze del Consiglio Transizionale meridionale (Stc) che, sostenute dagli Emirati arabi, controllano l’importante città portuale yemenita.
Non migliore la situazione nelle aree del Paese controllate dal governo riconosciuto internazionalmente (sostenuto dalla coalizione saudita e quindi rivale degli houthi): le forze governative hanno infatti ucciso due civili nella regione dell’Hadhramaut la scorsa settimana durante le proteste che chiedevano il rilascio delle persone arrestate nelle manifestazioni. Giovedì le autorità governative hanno annunciato il coprifuoco nel tentativo di placare le proteste che stanno avendo luogo di notte per evitare l’intenso caldo di settembre. Una mossa che finora non ha impedito a tanti di continuare manifestare nelle strade il proprio malcontento. Nena News