Il presidente yemenita Hadi ha denunciato ieri “l’inaccettabile” rimozione forzata di popolazione dalla capitale “temporanea” del Paese. Permane, in Kuwait, lo stallo diplomatico
della redazione
Roma, 9 maggio 2016, Nena News - Il presidente yemenita Abd Rabbuh Hadi ha denunciato ieri “l’inaccettabile” espulsione di cittadini del nord del Paese dalla città meridionale di Aden. Secondo fonti locali, la rimozione forzata di popolazione sarebbe stata decisa dagli ufficiali di sicurezza nominati dallo stesso Hadi. Pertanto, delle due l’una: o Hadi mente, o, come più verosimilmente, non ha il controllo nemmeno della “capitale temporanea” dello Yemen (Sana’a è ancora in mano ai ribelli houthi).
Sulla faccenda è intervenuto anche il neo primo ministro, Ahmed din Dagher. Din Dagher ha stigmatizzato quanto sta accadendo in città (“una dura punizione collettiva contro un gruppo di cittadini”) e ha chiesto al governatore della città e al capo di sicurezza di “controllare le azioni di tutti gli uomini sotto il loro controllo” affinché abbiano fine “questi atti illegali e incostituzionali” che violano “i più semplici diritti umani”. Secondo l’agenzia di stampa Saba, il premier ha anche esortato tutti coloro che sono stati trasferiti di “ritornare alle loro vite normali” ordinando alle autorità della città di proteggerli.
Più facile a dirsi che a fare. Aden, riconquistata a luglio dal governo, è stata più volte colpita da attacchi attribuiti al pericoloso braccio yemenita di al-Qa’eda e ad affiliati dello Stato Islamico (Is). I sostenitori del governo (sponsorizzato da Riyad e dal blocco sunnita) accusano l’ex presidente Ali Abdullah Saleh (alleato, per puro opportunismo politico, con i ribelli houthi) di sostenere gli attacchi dei miliziani così da indebolire i lealisti. Un’accusa, finora, mai ufficialmente provata.
A rendere più complesso il quadro politico vi è anche il fatto che alcuni gruppi separatisti del sud sono entrati a far parte delle forze armate e dei servizi di sicurezza una volta che la città è stata riconquistata dal governo lo scorso luglio. Un fatto di non poco conto: quest’ultimi, che ora pretendono di essere ricompensati per aver sostenuto Hadi, considerano la popolazione del nord come “occupante” e “invasore”. Molti cittadini settentrionali che si sono trasferiti nel corso degli anni ad Aden ed in altre città del sud sono inoltre accusati di aver tratto profitto del precedente regime di Saleh che avrebbe concesso loro terra e proprietà appartenenti ai residenti meridionali. Fino al 1990 lo Yemen era diviso in due stati. A sud vi era la Repubblica democratica dello Yemen con capitale Aden. Nel 1994 una nuova secessione fu repressa velocemente dalle truppe di Sana’a e da allora la popolazione del sud lamenta discriminazioni. Lo scorso mese, migliaia di separatisti hanno manifestato nelle strade di Aden chiedendo la secessione del sud.
Il separatismo è solo uno dei tanti problemi che affliggono il Paese. Da oltre un anno è in corso nello Yemen un devastante conflitto tra un blocco sunnita a guida Riyad e i ribelli houthi zaiditi (lo zaidismo è una setta dello sciismo). I colloqui di pace tra le due parti, iniziati il 21 aprile scorso, sono di fatto ad un punto morto. Oggi l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Yemen, Ould Sheykh Ahmed, ha esortato entrambe le delegazioni “a fare delle concessioni così da giungere a una risoluzione pacifica del conflitto. “I partecipanti ai negoziati in Kuwait – ha detto Ahmed – devono rispecchiare le aspirazioni del popolo yemenita. Sono certo che la popolazione voglia la fine di questa guerra”.
Governo e ribelli continuano però a litigare.
Gli incontri di ieri sono stati annullati e poco utile finora si è rivelata la mediazione del ministro degli esteri kuwaitiano, Sheykh Sabah Khaled as-Sabah, e di 18 ambasciatori (per lo più occidentali) per rimettere in moto il processo di pace. Non lo nascondono nemmeno gli stessi protagonisti. “Per il bene della pacificazione, abbiamo accettatto tutte le proposte che ci hanno inviato pur di compiere dei passi in avanti” ha dichiarato Abd al-Malek Mikhlafi, a capo della squadra negoziale governativa. “Ma, dopo tre settimane, non abbiamo ottenuto niente” ha aggiunto con amarezza. I ribelli e i loro alleati (principalmente gli uomini di Saleh) hanno denunciato all’inviato Onu i (presunti) nuovi raid aerei della coalizione sunnita che, a loro dire, avrebbero causato la morte di diverse persone.
I negoziati in corso in Kuwait seguono i due fallimentari tentativi di giugno e dicembre in Svizzera. Alla base delle trattative, vi è la risoluzione dell’Onu che impone il ritiro dei ribelli dalle aree occupate prima del marzo 2014 e la consegna delle armi. Nena News